[2] F. Fognini b. [1] J.M. del Potro 6-4 6-2
I record, si sa, sono lì apposta per essere superati. E le voci, almeno talvolta, per essere messe a tacere. Appena due settimane fa Fabio Fognini vinceva sulla terra rossa di Bastad il suo settimo titolo in carriera, strappando a Paolo Bertolucci la seconda posizione all time del tennis maschile italiano e riaccendendo il solito dibattito sulla sua effettiva dimensione tennistica. La questione vera non era il valore dei suoi titoli – indiscutibile, tutte quelle coppe non arrivano per caso – quanto la possibilità di ottenerne anche al di fuori della sua comfort zone di superficie e calendario.
Mettendoci la faccia, come spesso ama ripetere, alla prima occasione Fabio ha strappato e riscritto buona parte di quella paginetta di numeri: in un’ora e venti di serata messicana al limite della perfezione, il trentunenne di Arma di Taggia si è preso all’Abierto de Tenis Mifel di Los Cabos la prima coppa sul cemento, nonché la prima ottenuta infilando un top 10 lungo il percorso. E non uno a caso ma Juan Martin del Potro, uno dei migliori tennisti della stagione se non dell’ultimo biennio, che nella Bassa California del Sud si era presentato a caccia del best ranking di numero 3 – spiando i risultati di Alexander Zverev a Washington, finora impeccabile – e della “doppietta col sombrero” che era riuscita a Sam Querrey lo scorso anno. E che invece torna a casa da questo ATP 250 con appena sei giochi rimediati in finale (record negativo in carriera), oltre a un po’ di inattesi dubbi per la testa.
Sulla testa di Fognini, invece, soltanto le buffe treccine simbolo di una scommessa persa con il suo team. Aveva intenzione di liberarsene un paio di match fa, ma forse la scaramanzia ha avuto la meglio e all’appuntamento finale si è ripresentato con lo stravagante look pieno di mollettine colorate. È stata l’unica concessione alla follia però, perché dallo 0-3 iniziale Fabio ha giocato la partita migliore possibile, infilando un parziale di cinque giochi a zero in mezzo a ognuno dei due set. Persino la partenza ad handicap, gestita con la stessa calma con cui si è lasciato scivolare addosso gli inevitabili drittoni di “Palito”, mostrava i segni di un piano tattico ben preciso: Fognini ha impostato il match sulla diagonale del rovescio, muovendo l’enorme argentino verso i corridoi laterali per aprirsi la possibilità di una palla corta o di un vincente diretto. Nonostante l’assenza di coach Franco Davin, mentore del suo avversario dalle prime fasi della carriera fino al lungo stop per le operazioni al polso del 2015, ci è riuscito nella maggior parte delle occasioni.
Del Potro ha abboccato all’amo, affidando il lato debole a un inoffensivo slice e mostrandosi col passare dei giochi sempre più passivo, privo di idee e falloso con i fondamentali migliori. Il merito però è quasi tutto di Fabio, che ha strappato alla seconda palla del’altro oltre il 70% dei punti. Per entrambi quello della finale era il primo vero test della settimana, dato che un tabellone morbido aveva dato loro una mano nel riprendere la mano con la superficie dura che avevano salutato a marzo, e quello promosso è stato lui, bravissimo a settare il proprio livello su quello della sfida. Dal primo allungo verso il titolo, il break nel secondo set ottenuto con risposta bloccata e passante lungolinea, il numero uno d’Italia non si è più guardato indietro e ha chiuso i conti con due punti emblematici: un lungo scambio in cui ha costretto l’avversario all’errore di dritto e una meravigliosa volée da sotto rete, dopo la quale è bastato tendere il braccio per la stretta di mano conclusiva.
The Fabulous Fognini is the 👑 of Los Cabos! @fabiofogna defeats Juan Martin del Potro 6-4 6-2 at @AbiertoLosCabos to earn his 8th career title and first Top 5 win in over 15 months! pic.twitter.com/HGYnMFJUcy
— Tennis TV (@TennisTV) August 5, 2018
“Aver vinto contro un giocatore come Juan Martin mi dà molta carica, perché ho sempre saputo che sarei riuscito a batterlo prima o poi” ha detto Fognini alla stampa al termine dell’incontro. “Era uno degli obiettivi della mia carriera riuscire a vincere un torneo sul veloce e riuscire a farlo superando in finale un top player. Sono davvero felice“. Quella contro Del Potro è la dodicesima vittoria in carriera contro uno tra i primi dieci giocatori al mondo, la quinta contro uno dei primi cinque (aveva battuto due volte Nadal, una a testa Nishikori e Murray): una finale contro un avversario di questa caratura un italiano non la vinceva dal 1991, quando Omar Camporese superò niente meno che Ivan Lendl sotto il tetto di Rotterdam. Le prime due teste di serie di Los Cabos si ritroveranno la prossima settimana a Toronto per la Rogers Cup, stavolta nella stessa metà di campo dato che sono iscritti insieme al tabellone di doppio.
Il terzo titolo stagionale di Fognini non arriva per caso, come non per caso torna la posizione di numero 14 persa la scorsa settimana. La differenza con sette giorni fa però è che adesso il suo best ranking, impolverato ormai da quattro anni, dista appena un centinaio di punti (al momento in quello slot di classifica c’è Pablo Carreno Busta, apparso peraltro non in forma smagliante nelle ultime uscite). Per difendere l’intero bottino dei Masters 1000 di Canada e Cincinnati 2017, gli sarà sufficiente un successo tra quarantotto ore contro Steve Johnson. Se il titolo a Los Cabos cambierà le prospettive di Fabio riguardo i mesi a venire, saranno i prossimi incontri a dircelo: di certo essere arrivato in fondo a un evento diverso può dargli la fiducia per fare bene ovunque, che è poi l’unica arma per entrare in quella famigerata top 10 che non vede bandierine tricolori dai meravigliosi anni 70. Quelli in cui la raggiunsero Panatta e Barazzutti, per intenderci.
Dopo la terra rossa, Fognini saluta per quest’anno anche l’amica America Latina. Portando con sé un sorriso che può rimane inalterato sia guardando indietro che sbirciando in avanti, e che per una volta può essere esteso al resto del movimento nazionale: dalla fine di Wimbledon in poi, gli azzurri hanno conquistato la bellezza di quattro titoli in tre settimane. Chiedere di prolungare questa media nei grandi tornei in arrivo è troppo, ma trasportando il morale alto nel continente nordamericano l’Italia potrebbe togliersi altre piccole soddisfazioni. Anche un “rimandati con lode” potrebbe bastare allo scopo. Però… perché porre limiti?