Il 16 agosto 2018 verra’ ricordato come il giorno della morte della vecchia Coppa Davis, 118 anni dopo la sua nascita. Mr. Dwight Davis si starà girando nella tomba, incredulo. Però però però anche lui avrebbe potuto aspettarselo. Erano anni che in tanti, quasi tutti, stavamo dicendo che era obsoleta, che non rispecchiava più i tempi, le vere forze in campo.
Ma ne rispettavamo il suo fascino, per averne vissuto mille episodi, mille emozioni, ciascun patriota soffrendo per il proprio Paese in match memorabili, in maratone indescrivibili, in rimonte incredibili, pazzesche. In sconfitte inattese, imprevedibili, come in exploit fantastici. E quando non si poteva tifare per la propria squadra, era quasi impossibile non sceglierne un’altra per la quale tifare. Adorandone i protagonisti.
Da innamorato del tennis e della Davis, anche se io per primo non sopportavo chi la considerava e spacciava per un campionato del mondo espressione della potenza tennistica di un Paese…quando la si poteva vincere anche con un solo grande giocatore e un buon doppista – idem dicasi per la Fed Cup, sia chiaro – e se ne serviva per raccontare panzane ai propri sudditi, ai politici più ignoranti per ottenere favori, prebende, ho sognato da bambino di poterla giocare, da dirigente di poterla organizzare, da giornalista di poterla raccontare.
Da italiano e…patriota sono contento che almeno una vecchia Davis l’abbiamo vinta nel ’76 e penso con riconoscenza al Fato e a Nicola Pietrangeli che si batté più di tanti politicanti da strapazzo, incluso quel Giancarlo Baccini de Il Messaggero che manifestò davanti alla sede del CONI (“No, no, non giochiamo le volée con il boia Pinochet”) per impedire la nostra benedetta trasferta del ‘76 in Cile e che per l’appunto è stato inviato dalla nostra federazione a rappresentarci ieri in Florida e a votare per la riforma voluta da Haggerty …Il sospetto che si sia trattato di un voto di scambio per la garanzia di poter disporre dei diritti Tv della nuova Davis per SuperTennis fino almeno al 2021, è trapelato da più parti, ma certezze non ce ne saranno fino a che il delegato non le confessasse.
Su un punto crediamo che tutti, riformatori e non, possano concordare. La vecchia amata Davis aveva parecchie rughe. Qualche modifica era necessaria per restituirle maggiore credibilità e interesse. Per evitare che il Paese campione a dicembre fosse già eliminato a febbraio, per approntare un calendario che tenesse in maggior conto le necessità dei giocatori più forti costretti fra trasferimenti da un capo all’altro del mondo e con cambi di superficie improbabili a dedicare alla Coppa ben più delle settimane imposte dal calendario. Troppo spesso abbiamo potuto constatare che il campione che riusciva a conquistarla da eroe nazionale diventava l’anno dopo una sorta di traditori-disertore. Chi legge e conosce di tennis e di Davis sa di cosa parlo.
Per 16 anni di presidenza ITF Ricci Bitti non ho e non abbiamo cessato di segnalare che qualcosa andava fatto. Senza successo. Non si è mossa foglia. Ricci Bitti ha difeso la propria poltrona nel più completo immobilismo. Haggerty, e solo un americano poteva farlo, ha preso il toro per le corna e, spaventato anche da iniziative congiunte che volevano mettere in pratica Atp e australiani, ha ideato questo sconquasso facendo baluginare negli occhi di tante federazioni povere, un gran bel pacco di milioni, tremila milioni per 25 anni. Grazie al Kosmos del calciatore Pique’ e all’inattesa sponsorship di Larry Ellison, uno degli uomini più ricchi del mondo, oltre che il magnate di Oracle e del torneo di Indian Wells diventato il primo dei Masters 1000.
Le elezioni hanno decretato la vittoria di Haggerty – che ha rischiato tantissimo; se avesse perso si sarebbe dovuto dimettere…Ricci Bitti se ne è guardato bene dal correre quel rischio – nella percentuale necessaria, oltre il 67 per cento ed è inutile oggi ipotizzare e speculare sulla correttezza dei votanti, sulla potenza dei soldi e delle Tv spingono per eventi brevi e più facilmente commerciabilizzabili, sulle solite cose che sono state sempre scritte quando i mondiali di calcio finiscono in Qatar, i Giochi olimpici invernali a Sochi, etcetera etcetera. Cosa fatta capo ha. Basta recriminare, insinuare, lamentarsi. Due terzi delle 142 nazioni votanti hanno fatto una scelta che va rispettata, quali che siano state le ragioni che, Paese per Paese, l’hanno ispirata.
I tre set su cinque restano il baluardo degli Slam, anche se c’è già chi -Djokovic e altri – è pronto a discuterli anche lì. Di partite in casa o fuori ce ne sarà una l’anno. La rivoluzione Haggerty – vedi nostro articolo di due giorni fa – stravolge la vecchia formula, ma pur avendomi lasciato assai perplesso …mi auguro sinceramente che abbia successo. E non mi sento di escludere che col tempo non lo abbia. Magari fra 5 o più anni ci ritroveremo a ringraziarlo per averla ideata, per essere riuscito a creare un evento davvero di rilevanza e interesse mondiale. Come il mondiale di calcio? Magari! Però quello si disputa ogni quattro anni. Non ogni anno. E Haggerty si era reso conto che nemmeno la biennalità sarebbe stata gradita a due terzi delle nazioni votanti.
Intanto, a quel che ho appreso – ma devo verificare – il board si sarebbe fatto dare la facoltà di modificare le regole della futura Davis senza dover ricorrere a nuovi consulti assembleari! Se così è potrà fare quel che vuole. Quando vuole. La Davis 2018, giunta alle battute finali, sarà l’ultima vecchio modello. Alcune sfide avranno poco senso. Ma pazienza.
L’Italia, poiché giunta nei quarti, sarà una delle dodici teste di serie del primo turno che si giocherà nel primo weekend di febbraio. Se lo giocherà in casa o fuori dipenderà da chi capiterà come avversario. Se lo passerà si ritroverà fra le 18 che a fine novembre giocherà o a Lille o a Madrid ( francesi e spagnoli hanno naturalmente votato a favore della riforma…e per far votare Giudicelli, il presidente corso- francese che disponeva di 12 voti e era inquisito per un processo di diffamazione l’assemblea di Orlando ha votato una sorta di liberatoria), insieme alle quattro squadre semifinaliste del 2018 e a due wildcard. Anche le wildcard sono state oggetto di trattative, di scambio di voti. Il Belgio per esempio avrebbe garantito i suoi 6 voti alla riforma solo se gli fosse stata garantita la wild card per aver disputato due delle ultime tre finali. I piccoli Paesi africani, asiatici e sudamericani, di fronte alla prospettiva di poter incamerare diversi soldini si sono fatti convincere abbastanza facilmente.
Alla fase finale parteciperanno dunque 18 nazioni suddivise in sei gironi di tre squadre ciascuno. A me il tennis a girone, senza eliminazione diretta, ma con calcoli ragionieristici di set, game persi per capire chi arrivi primo nel proprio girone, chi secondo per poi stabilire quali saranno le due migliori seconde che andranno ad accompagnare le prime dei sei gironi per qualificare le otto nazioni nei quarti…non mi piace per niente. Non mi pare una cosa seria. Spero non si arrivi a dover contare i punti dei tiebreak!
Ma è certo vero che da giornalisti ritrovarsi con giocatori e colleghi di 18 Paesi sarà un’esperienza interessante. Diversa. Stimolante. Per questo motivo, pur non condividendo gran parte delle modifiche della nuova Davis, mi sono ritrovato a non considerare una catastrofe la vittoria dei Riformatori. Anzi, quasi quasi. Certo ritrovarmi nelle mani di un’organizzazione privata che dovrebbe gestire un evento per 25 anni mi lascia parecchio perplesso. Vero che le varie sigle, ITF, ATP, WTA, hanno fatto spesso carne di porco di tante situazioni – i calendari in primis, certe attribuzioni in secundis – che non è detto che un privato debba fare peggio, però oggi come oggi le perplessità permangono.
E’ vero che certe finali di Davis hanno interessato solo quei paesi che le disputavano. Ma almeno per quei Paesi l’atmosfera era fantastica. Penso a Belgio Gran Bretagna a Gent, a Croazia-Argentina a Zagabria, a Francia-Svizzera a Lille, per risalire a Svezia-USA a Göteborg 1984, o Francia-Usa a Lione 1991… e ovviamente tutte le sette finali dell’Italia, ancorché sei perdute…Indimenticabili. Se a Lille o a Madrid andassero in finale, senza che i tifosi delle squadre finaliste abbiano potuto minimamente programmare una trasferta dopo che le semifinali sarebbero state giocate poco prima, due squadre che non fossero ne’ francesi (nel caso di Lille) ne’ spagnole (nel caso di Madrid) e magari extraeuropee, sudamericane o altro…sai che tristezza!!!
Come in tutte le cose ci vuole anche fortuna. Magari gli organizzatori ce l’avranno e io gliela auguro con tutto il cuore. Così come auguro all’ITF che il conflitto con l’ATP non si radicalizzi. E’ chiaro che i giocatori staranno più volentieri dalla parte dell’ATP che da quella dell’ITF, a meno che i soldi ITF Kosmos e Ellison siano talmente tanti da indurli a miti consigli. Quanto può incidere la vecchia guardia dei Federer (piu’ interessato allo sviluppo della Laver Cup), dei Nadal, dei Fab Four ultra trentenni? E i giovani…Zverev, Tsitsipas, Shapovalov, saranno prigionieri dei loro manager? O decideranno autonomamente? O saranno in mano all’Atp?
La peggior cosa che potrebbe capitare sarebbe che si creassero due eventi, uno a fine novembre e l’altro a gennaio, il primo ITF e il secondo ATP che si spartissero i campioni, di fatto decretando il fallimento di entrambi gli eventi. E danneggiando pure la Hopman Cup e la Laver Cup che sono eventi nel cuore della lobby australiana.
Prevedo un braccio di ferro. Sulle ceneri della vecchia Coppa Davis. Ma meno male che come mago non valgo un granché.