Lieve, come un’abitudine che ritorna. Li abbiamo visti affrontarsi 45 volte e spartirsi quasi equamente le vittorie: solo una in più per Djokovic (23-22), che ha vinto le ultime due sfide, con il bilancio che raggiunge la perfetta parità sulla terra (4-4), sul cemento (17-17) e nei Masters 1000 (9-9). Dove Djokovic si è guadagnato un piccolo margine è nelle finali, poiché ne ha vinte 11 su 17, ma tra i sei trofei sollevati da Federer in faccia a Djokovic ben tre recano la scritta Cincinnati, teatro della prossima sfida a oltre due anni e mezzo di distanza dall’ultima. Per Djokovic è l’occasione di vincere l’unico Masters 1000 che manca alla sua collezione e contestualmente battere Federer su un campo in cui dallo svizzero le ha puntualmente prese, come accaduto solo a Shanghai (0-2) e Montecarlo (0-3) in questa categoria di tornei. Non è quindi un caso che alla versione un po’ svogliata di Toronto si sia sostituito qui a Mason un Djokovic cazzuto, motivato, capace di imporre a Raonic prima e Cilic poi l’ineluttabile legge che credevamo sepolta nei ricordi dei suoi anni migliori. Questi non torneranno, ma costituiscono un prezioso patrimonio di esperienze da cui Nole può attingere.
Se Djokovic ha tutta l’aria di chi vuole sfatare uno dei pochi tabù della sua carriera, Federer può contare sulla memoria muscolare che qui a Cincinnati è particolarmente vivida. Tra i tornei che ha vinto più volte è l’unico nel quale non ha mai perso una finale, a fronte di sette titoli (come a Dubai): uno in meno che a Basilea e Wimbledon, due in meno che ad Halle, dove però di finali ne ha perse almeno due per torneo. Non c’è dubbio che le condizioni di gioco in Ohio cadano sulle spalle di Roger come un abito di sartoria italiana, senza fare una piega, e gli permettano di gestire con tranquillità situazioni spinose come accaduto ai quarti contro Wawrinka, quando il suo connazionale è arrivato a due punti dalla vittoria. Djokovic però è un’altra faccenda, le peggiore da gestire per Federer dopo l’inarrivabile rebus a nome Nadal. Un Djokovic in fiducia preoccupa anche dove non ha mai vinto.
Il confronto è partito già in conferenza stampa, al termine della vittoria di Djokovic ai danni di Cilic, con la semifinale di Federer ancora da disputarsi. Un giornalista ricorda al serbo che Cincinnati potrebbe riavere la finale che ha deciso l’edizione 2015: “Beh, ovviamente spero che l’esito sia diverso. Ci troveremo di fronte dopo molto tempo, il che è abbastanza inusuale perché negli ultimi 10 anni ho sfidato Roger molte volte. Questa rivalità ha influenzato l’evoluzione del mio gioco. Qui a Cincinnati è senza dubbio una grande sfida per me perché storicamente lui ha dominato questo torneo e mi ha battuto diverse volte in finale. Si sente alla grande in queste condizioni e su questa superficie“.
Sbrigata la pratica Goffin, che si rivela più agevole del previsto in virtù del ritiro del belga dopo un solo set, a Federer è toccato affrontare la medesima questione. “Non affronto Djokovic dall’Australian Open 2016? Okay, non lo ricordavo” risponde lo svizzero un po’ spaesato, accertandosi poi con un’ulteriore domanda che quella di Melbourne sia stata davvero la loro ultima sfida. Quindi, ormai persuaso della bontà della statistica, fornisce un punto di vista interessante. “Penso sia bello, sembra quasi una novità. È diverso da quando ci affrontavamo spesso, capitava che ci fossimo incrociati nelle ultime settimane e tutti sapevano cosa aspettarsi. Ovviamente immaginiamo come potrebbe essere la partita ma nessuno, né noi, né voi né i tifosi ne hanno la certezza. Sono successe molte cose da allora, entrambi abbiamo dovuto affrontare un infortunio ed entrambi siamo tornati forti come prima. Sì, penso sia questo l’aspetto più interessante di questa sfida con Novak”.
Una dinamica che ricalca un po’ i 455 giorni trascorsi tra la finale di Basilea 2015 e quella dell’Australian Open 2017, ovvero la seconda interruzione temporale più lunga nella rivalità tra Federer e Nadal, dopo la quale lo svizzero ha vinto quattro sfide su quattro rovesciando l’inerzia di una rivalità che l’aveva spesso visto succube del maiorchino. Dovesse il tempo agire come ha agito sull’equilibrio del Fedal, i 934 giorni privi di sfide tra Djokovic e Federer dovrebbero favorire chi ha perso sei delle ultime nove sfide, ovvero lo svizzero. Non ci sono però elementi a surrogare con certezza questa tesi. La tenuta atletica di Federer sta palesando qualche crepa in più rispetto al 2017, quando fu praticamente perfetta.
Quest’anno lo svizzero è stato brillante a Melbourne, ha sfruttato il momento a Rotterdam – battendo un unico top 10 anche un po’ in ambasce, Dimitrov – ma già a Indian Wells è arrivato in finale col fiato corto, dopo aver rischiato di soccombere in semifinale contro Coric. A Miami è stato fermato subito da Kokkinakis, che negli ultimi due anni non ha fatto altro di più rilevante, ad Halle ha pagato a Coric in finale il tributo di una settimana faticosa, passata ad annullare match point a Paire e concedere sin troppo spazio a onesti mestieranti quali Ebden e Kudla. La sensazione è che lo svizzero abbia qualche goccia in meno nel serbatoio, sia sul lungo che sul breve, e spendendo più energie per arrivare in fondo ai tornei se ne ritrovi meno per vincere le finali. In questo senso la sfida al miglior Djokovic degli ultimi 24 mesi non è la più semplice da vincere.
No, ovviamente Federer non ha già perso questa finale. Banalmente perché non l’ha mai persa. Il suo 50% di possibilità di vincere – ha ragione lo svizzero, dopo oltre 900 giorni è dura sbilanciarsi – passa per la stessa strategia risultata vincente nelle finali del 2009, 2012 e 2015, nessuna delle quali ha superato l’ora e trenta di gioco. Guai a permettere al serbo di dilatare i tempi della partita allungando gli scambi: sopra le due ore, le chance di Federer comincerebbero a diminuire progressivamente. La chiave sarà probabilmente il servizio di Djokovic, che per sua stessa ammissione è ancora in fase di ricostruzione. Federer dovrà cominciare proprio da lì per incrinare le certezze del suo avversario e sembra averlo ben chiaro: “A Indian Wells e Miami ho visto un Novak stanco, qualcosa di molto raro. Ma non era ‘reale’, semplicemente non aveva avuto abbastanza tempo dopo l’infortunio. Adesso sta giocando un tennis molto solido ma credo abbia ancora margini di miglioramento. In quali aspetti del gioco? Un po’ tutti, a partire dal servizio“. Touché.
Il serbo qualcosa concederà, come ha sempre fatto questa settimana, e come al solito proverà a riprenderselo alzando il ritmo. Starà a Federer farsi trovare pronto in quel momento, o a Mason ci sarà un nuovo campione.