Rino Tommasi diceva sempre: “Non siamo qui a vender tappeti!” per rispondere a quei produttori che a volte, se la partita che commentavamo era noiosa per il tipo di gioco dei protagonisti o perché a senso unico, ci volevano persuadere a usare maggior enfasi onde far incollare una maggiore audience al teleschermo. Il duo Matusa, Rino e Gianni, e il duo Primavera (nome che Rino aveva affibbiato a Roberto Lombardi e al sottoscritto), dovevano cercare di trovare altri spunti per risollevare una brutta partita, ma senza spacciarla per grandissima. Allora stanotte, dopo la seconda giornata dell’US Open 2018, confesso di essermi trovato in difficoltà, perché la giornata è stata davvero moscia e tutti si sono buttati a raccontare quanto caldo facesse – 38 gradi e un sole che picchiava da far paura, un’umidità sulla quale arrivavano voci contraddittorie, da 86 a 46 – e invece in sala stampa un freddo da far paura, tanto che non mi sono mai tolto il golf. Salvo quando mi sono schiacciato le dita nell’abbassare la sedia – e chissenefrega! direte voi, ma c’è mancato poco che svenissi dal dolore e sono dovuto andare al Pronto Soccorso con le dita che parevano fratturate ma per fortuna non credo che lo siano; passare tutto il pomeriggio con la sinistra in un bicchiere di ghiaccio non è stato piacevole.
Esaurite queste assai poco interessanti amenità, l’unico sadico divertissement della giornata è stato cercare di intuire quale giocatore sarebbe crollato per primo una volta che si superavano le due ore di gioco. Nole Djokovic, che ricorderete non essere stato a lungo un valido testimonial della resistenza in condizioni climatiche difficili, a un certo punto ha chiesto all’arbitro di farsi portare cestino “nel caso che mi venga da vomitare”. Non sarebbe stato un bello spettacolo, ma almeno sarebbe successo qualcosa di memorabile, al di là della prima applicazione di una heat policy che avevamo fin qui visto solo in Australia e anche per incontri femminili giunti al terzo set in condizioni giudicate proibitive. Mai però nel singolare maschile. L’evento, come tutti quelli che si manifestano senza una storia alle spalle, ha provocato un bel po’ di discussioni. Il che significa che tutto c’era fuorchè unanimità di pensiero. Travaglia, una delle due prime vittime – vedi cronaca – ha sostenuto che tale policy avrebbe dovuto essere applicata fin dall’inizio della giornata (“Perché – ascoltate l’audio – non è che alle 11,30 facesse meno caldo che a mezzogiorno quando a partire dalle 13 l’USTA ha deciso di stoppare i match all’inizio del quarto set purché almeno uno contendenti chiedesse la sospensione. Tutti i match dovevano essere messi nelle stesse condizioni”).
Certo è che noi nella sala stampa frigidaire abbiamo avuto notizia dell’implementazione della heat policy, quando si stavano disputando le fasi finali del secondo set. In teoria Travaglia e il polacco dal cognome… milanese (“Urka veh!”) avrebbero potuto godere di quel break, ma nessuno è stato così pronto da avvertirli. Fabio Fognini più tardi si è invece mostrato assai perplesso sull’innovazione: “Secondo me o si gioca o non si gioca. Non è giusto interrompere. Se io sono in vantaggio due set a uno magari voglio continuare, e anche se in svantaggio mi fossi reso conto che il mio avversario è più stanco di me”. Ogni giocatore si regola sulla base della propria esperienza, qui a New York e altrove. Così Sascha Zverev che ha vinto a tempo record lasciando pochi game, cinque, al più fortunato dei lucky loser, Polansky lucky in quattro Slam! – ha negato che le condizioni fossero così impossibili: “A Washington erano molto peggio!” ha affermato con l’abituale sicumera. Chissà se avesse perso 7-5 al quinto dopo quattro ore se avrebbe detto le stesse cose. Inevitabile è stato poi chiedere al responsabile della comunicazione Chris Widmaier, se si fosse pensato – dopo che lui ha previsto condizioni ancora più “brutal” per la terza giornata!” – all’ipotesi “australiana” di coprire i tetti dei due campi che lo consentono. Rimedio poco convincente per l’Armstrong perché lì, stranamente, non hanno previsto di dotarlo di aria condizionata. No deciso invece all’idea di abolire in queste circostanze lo shot-clock che conta i 25 secondi fra la fine di uno scambio e l’inizio del punto successivo. Ma questo è il segreto di Pulcinella, perché gli arbitri hanno la discrezione di quando dare il via al conteggio…quindi il problema non si pone sul serio. E se il match si protraesse al quinto? Ci sarebbe la possibilità di un’altra sospensione? Una risposta chiara non è pervenuta. Gli americani dopo cinque o sei rinvii delle finali si sono messi di buzzo buono per non restare indietro con i tetti retrattili, ma a un caldo africano del genere non erano preparati. Vedrete che l’anno prossimo, o forse già quest’anno, lo saranno.
Caldo a parte, non è successo granchè e quel che è successo non ci ha rallegrato. Lunedì avevano perso quattro teste di serie uomini e tre donne, ma soprattutto erano usciti di scena nomi di probabili protagonisti, Halep e Dimitrov. Nella seconda giornata niente di tutto ciò. Lunedì gli italiani avevano fatto meglio del previsto, quattro vittorie e una sconfitta. Martedì hanno fatto peggio: tre sconfitte e una sola vittoria. Quindi a fine primo turno il bilancio è attivo, ma di stretta misura: 5-4. Non mi ero sbilanciato su Travaglia perché conoscevo poco il polacco che lo ha battuto, ma credevo che Cecchinato ce l’avrebbe fatta con il vecchio e quasi pensionato Benneteau. Invece ha perso per la quarta volta al primo turno sul cemento. Lottando, ma non quanto basta, perché se si hanno 14 palle break, oltre alle tre trasformate, qualche volta l’occasione va sfruttata. Certo la smorzata micidiale che gli ha consentito tanti exploit a Montecarlo, Budapest, Parigi, non ha la stessa efficacia. E i tempi per rispondere con quelle sbracciate così ampie, sono diversi. E’ anche vero però che occorre avere pazienza. Tre sconfitte su quattro sono state onorevoli. Gli auguro di non commettere lo stesso errore che fecero Cancellotti e Volandri, persuasi di dover giocare solo sui campi rossi. Da Gaio contro Goffin invece non era giusto attendersi miracoli, che infatti non sono avvenuti. Quanto a Fognini con il giovane americano Mmoh, ho temuto il peggio quando nel quarto set è stato indietro. Però il ragazzone di colore è chiaramente ancora molto inesperto e ha commesso diverse ingenuità. Millman, prossimo avversario di Fabio, ne dovrebbe commettere di meno, senza essere un fenomeno.
Per la giornata di oggi sogno: a) di guarire b) una gran partita di Camila Giorgi coronata da una vittoria su Venus Williams che in Australia sfumò di un soffio c) che suo papà Sergio non venga ad assistere alla conferenza stampa della figlia, perché la Camila che abbiamo potuto intervistare a Wimbledon quando papà non c’era – l’audio è a disposizione – era sorridente, disinvolta, simpatica, estroversa e a momenti anche spiritosa. Quando c’è papà invece non spiccica una parola. Lo guarda prima di dire A, e quando l’ha detta, implora l’approvazione. Se sentite l’audio della sua intervista di lunedì capirete perché scrivo quel che scrivo, a costo di inimicarmi per sempre papà Giorgi che quando era in guerra legale con la FIT chiedeva spesso appoggio. Quando si è messo d’accordo si è invece ricordato soltanto che diversi anni fa mi regalò due biglietti a Wimbledon per i miei padroni di casa quando gli feci presente che il marito, per un cancro al fegato, aveva i giorni contati. Difatti è poi morto.
L’altro giorno mi ha fatto pena un giornalista americano che non conosco e che ha provato a fare le uniche due domande in inglese a Camila a proposito del suo possibile duello con Venus Williams. “Sarà una bella partita”. Il poveretto ci ha riprovato azzardando inconsapevole della combinazione letale padre-figlia nelle conferenze stampa una domanda amarcord su quel match combattutissimo avvenuto in Australia. La risposta è stata secca: “È passato tanto tempo”. Che invece non era poi così tanto… salvo il fatto che certamente Venus ha qualche annetto in più e l’altro giorno ha dovuto combattere una durissima battaglia per avere il sopravvento su un’ altra ex campionesse dell’US Open, la Kuznetsova. Il collega ci ha guardato con aria afflitta, non dico disperata (ma di sicuro alle conferenze di Camila non lo vedremo più…). Un maligno potrebbe pensare che proprio questo fosse l’obiettivo recondito di Camila, ma vi assicuro che lei non è così maliziosa. Semplicemente quando c’è papà Sergio, lei è un’altra persona. E non la migliore.
Stanotte (per voi) Lorenzi con Pella non è favorito: “L’ho battuto in Davis, ma sul cemento è un altro sport”. Ecco un altro che tende a sottovalutarsi. Seppi spera di sfruttare la sua maggiore esperienza contro il talento Shapovalov, ma dovrebbe girargli tutto bene, perché i problemi all’anca che lo perseguitano da un bel po’, non sono svaniti. Se il match si mette male, addio. Anche se Andreas era un grande maratoneta quanto stava bene. Khachanov mi pare più forte ed esperto di Sonego, che però non ha nulla perdere dopo avere goduto della condizione di lucky loser. Per il programma odierno… fate prima a consultare la nostra quotidiana rubrica. Del Potro con Kudla, in un campo fornace, mentre non credo che Rafa con Pospisil nel secondo match notturno e Serena nel primo con la Witthoeft (perseguitata dalla scontata battuta, Carina di nome e di fatto) possano perdere. Spero di non dover vendere… tappeti stasera.
Ubaldo e l’Hall of Famer Steve Flink discutono sul caldo torrido, la “heat policy”, le fatiche di Novak Djokovic e i tanti ritiri (video in inglese)