A lezione da Federer. Quando il talento sbatte sul campione (Stefano Semeraro, La Stampa)
Ha visto sfilare magicamente la palla a fianco del paletto e ha spalancato la bocca, gonfio di ammirazione per Roger Federer. Poco importa che la metà campo e il punto perso fossero suoi: Nick Kyrgios è un tipo così. «Uno che in campo sa fare tutto e può accendersi in qualsiasi momento», ha concesso sornione Roger, dopo averlo battuto in tre set (6-4 6-1 7-5) ed essersi accomodato negli ottavi degli Us Open. Di solito è Kyrgios a recitare da illusionista, picchiando seconde palle più veloci della prima, smerciando volée no-look, giocando da sotto le gambe con la scioltezza di un mago della Nba. «Quando certi colpi li fanno a me, mi brucia», ha ammesso da anima candida. «Ma lui è Roger Federer». Il faro, il modello, l’uomo che non si può non amare. E imitare. Anche a costo, se ti chiami Kyrgios, di corteggiare il grottesco. «Sì, mi sono accorto che Nick a inizio partita copiava il movimento il mio servizio — ha ridacchiato Roger, vanesio come un politico imitato da Crozza – ma non è una novità. Non mi offendo, anzi. Vuol dire che funziona». Il match delle (sperate) meraviglie nel saturday night newyorchese ha funzionato soprattutto per un set, il primo, nel quale Kyrgios ha imitato l’illustre modello anche passandolo con il rovescio a una mano. Poi Federer si è espanso, indicandogli la distanza fra essere (un campione) e avere (un talento). Il maestro svizzero è eleganza messa al servizio dell’efficacia, anche nel servizio. Il discepolo australiano si fa ancora abbagliare dai suoi stessi lustrini, si svende per un applauso. Se sbaglia la prima di servizio può servire un ace di seconda a 230 all’ora, poi perde il filo della partita. Si spegne. Peccato, perché ha dimostrato di avere i numeri — e non solo quelli da circo — del fenomeno. «Nick mi ricorda di quando ero giovane, e volevo compiacere il pubblico», dice SupeRog. «Anch’io esageravo. Poi però l’adolescenza è finita, e sono cambiato. Perché non provo a spiegarglielo? No, deve arrivarci da solo»… [SEGUE].
Thiem nuovi orizzonti. Ora la rivincita con Rafa (Massimo Lopes Pegna, Gazzetta dello Sport)
Esulta con rabbia, Dominic Thiem. Perché finalmente butta il cuore oltre la rete, dove dall’altra parte sta il gigante buono Kevin Anderson. Lo atterra in tre set senza mai concedergli neppure una palla break: 7-5 6-2 7-6. Ma non è quello il punto: per la prima volta in uno Slam che non sia su terra sbuca nei quarti. Per ora, Parigi a parte, si era sempre fermato agli ottavi, per due volte negli ultimi due anni fatto fuori da Del Potro, 12 mesi fa combattendo per cinque set. «Già quel match era stato un passo avanti», dirà. Il cemento non è la terra rossa, dove viene considerato l’anti-Nadal, quantomeno il giocatore più temibile dopo Rafa. E dopo aver piazzato l’ultimo rovescio, a una mano, con cui chiude la sfida con il numero 5 del mondo, spiega finalmente felice: «Dai, questo cemento è abbastanza simile alla terra: un po’ più lento». Come dire, mi trovo perfettamente a mio agio anche qui. Quest’anno si era arreso al re del rosso in finale a Parigi, dopo aver raggiunto le semifinali nel 2016 e nel 2015. E ora avrà la possibilità della rivincita, dopo che lo spagnolo si sbarazza di Basilashvili non senza qualche difficoltà e lasciando un set dentro l’Arthur Ashe. Ma se Thiem si è guadagnato il nomignolo di anti-Nadal è perché lo ha già battuto. Tre volte (su sette): nel 2016 a Buenos Aires, a Roma nel 2017 e quest’anno nei quarti del Masters 1000 di Madrid, dove poi capitolò in finale contro Alexander Zverev. Era stato spazzato via a Montecarlo ad aprile raccogliendo le briciole di due game e si era depresso: «Se voglio superarlo devo per forza salire di livello». Quella determinazione si era vista proprio a Madrid, appunto, dove interruppe la straordinaria striscia del maiorchino di 51 settimane da imbattuto sulla terra e quella di 50 set consecutivi senza perdere. Il duello con Nadal di domani sarà un test importantissimo per capire quanto sia progredito anche su questa superficie… [SEGUE]. A 26 anni (oggi, splendido compleanno) è già vecchio per appartenere alla Next Gen, il futuro dovrebbe essere adesso. Deve solo cambiare registro nei mesi da agosto in poi. «Se ce la farò a diventare numero uno? È un sogno. Ma è roba per pochi e pensarci non porta a nulla di buono». Fra poche ore però dovrà pensarci eccome, perché il leader del ranking se lo troverà di fronte in carne e ossa. «Dovrò ricordare i tre match in cui l’ho battuto e non i sette in cui ho perso (2-1 per Nadal quest’anno, ndr)», scherza Thiem. Dopo aver conquistato i primi due set piuttosto agevolmente, Nadal aveva ceduto al tie-break del terzo e chiuso al quarto, ma concedendo un altro break. Ancora una salitaccia. Con Thiem non prevede una passeggiata: «Sarà durissima, ha una prima di servizio pesante. Ho visto l’inizio del suo incontro: è bravissimo».
Sharapova indomita: occasione da prendere (Paolo Bertolucci, Gazzetta dello Sport)
[…] Maria possiede un carattere indomito, padroneggia con disinvoltura il palcoscenico, è esigente con se stessa, determinata nel raggiungere il risultato e non arretra nel corpo a corpo. Predilige comandare con i colpi di rimbalzo, la sua palla è tra le più pesanti del circuito e le partite seguono una traccia ben precisa, ma troppo definita e immutata nel tempo tanto da favorirne la lettura. Negli anni non ha corretto alcune imperfezioni tecniche, non ha cercato di variare le soluzioni e ampliare il bagaglio. È rimasta al palo ferma sulle sue convinzioni mentre il tennis si modificava. Resta comunque una protagonista assoluta e la spinta più forte potrebbe arrivarle dal sorridente tabellone: non sarebbe da lei lasciarsi sfuggire l’occasione per dare un senso a tutta la stagione.
Next, ma non ora. Il simbolo Zverev è fuori (Daniele Azzolini, Tuttosport)
Sarà meno facile di quello che aveva supposto, l’avviamento del giovane Sascha al tennis adulto. Ivan Lendl ne ha preso atto nella notte tra sabato e domenica, osservando il suo nuovo protetto perdere da Philipp Kohlschreiber, un tennista di buonissimi colpi e di rimarchevoli doti tattiche, che raggiunse la sua classifica migliore (16) quando Aleksander Zverev era appena uscito dalla categoria “pulcini”, ma che rispetto ai ragazzi di oggi sembra colpire la palla con un piumino. Intervistato dalla tivvù, Lendl ha raccontato di aver consolato Sascha (è un po’ come immaginare Mangiafuoco che corre a incoraggiare Pinocchio) e lo ha invitato a non buttarsi giù: «Stiamo lavorando per i tornei dello Slam del prossimo anno». Lendl non è uno che si tira indietro. Di Zverev, invece, ancora non si è capito. Il riferimento allo Slam, che mastro Ivan ha tenuto a sottolineare, spiega che nel team del giovane tedesco non c’è preoccupazione per il tennis che sa già esprimere, né per la sua tenuta in classifica (dove è giunto al terzo posto) e nei tornei del circuito, anche importanti come i Masters 1000. Anzi, proprio lì Sascha ha ottenuto i risultati migliori, con le vittorie di Roma e Canada l’anno scorso e di Madrid quest’anno. È negli Slam che tutto si complica. In quelli Zverev non è andato oltre i quarti di finale raggiunti quest’anno a Parigi. C’è un problema psicologico, questo è certo. Forse il ragazzo tende a fare degli Slam una montagna troppo alta da scalare. Ma potrebbe esserci anche altro, una reale difficoltà a gestire a suon di cazzotti i suoi match oltre il terzo set, o non avere ancora le contromisure per opporsi alle variazioni del gioco altrui. Sarà Lendl a tentare di venirne a capo, il compito che l’aspetta è pero delicato. Su Zverev il tennis ha scommesso forte. Da due anni è lui a capo della Next Gen, il campione promesso, il predestinato al soglio tennistico, e in molti si aspettano che sia lui a rilevare il posto di Federer e Nadal, quando i due lo lasceranno libero. Non è il solo, per fortuna, ma certo il più esposto sul piano mediatico. Denis Shapovalov e Stefanos Tsitsipas non sembrano meno forti di Sasha, anzi posseggono doti tennistiche forse superiori, una mano più educata, una varietà di soluzioni già più estesa. Ma hanno meno pressioni. Non solo. Con i Next Gen sono entrati definitivamente in scena i figli di Internet, i ragazzi con il pollice snodabile già nel corredo genetico. Pensano, parlano, agiscono tramite schermo, e su quello si fanno pure un’idea della vita e del mondo. Sono professionalmente già strutturati, ma non affrontano lo sport come una ricerca quotidiana di se stessi, non c’è curiosità nel conoscere gli avversari, inquadrarli, scoprirli, farsene un’idea positiva o negativa. Fanno un mestiere, li devono affrontare, ci giocano e tanto basta. Non saranno Federer e Nadal gli stilisti da cui questi ragazzi si faranno cucire la veste tennistica, nessuno di loro sembra ritenere indispensabile salire tanto in alto in quanto a ispirazioni e aspirazioni. I modelli saranno più accessibili, ma violenti e aggressivi. Sarà Del Potro il maestro da seguire, servizio, dritto e via. Scambi corti e andare al sodo… [SEGUE].