E nel 2018 comincia una sorprendente trasformazione. Che qualcosa nel suo gioco stia cambiando lo si intuisce già a Melbourne, gennaio 2018. Agli Australian Open sconfigge al terzo turno la giocatrice di casa Ashleigh Barty disputando un match di impressionante consistenza: 6-4, 6-2. Con il pubblico tutto schierato per Ashleigh, si esalta al servizio (dodici ace), ma mostra anche una sorprendente solidità nel palleggio. Sembra lanciata per un grande torneo, ma si presenta svuotata mentalmente contro la numero 1 Simona Halep, che la supera al quarto turno senza appello: 6-3, 6-2.
Allora non era ancora del tutto chiaro, ma Naomi stava attraversando un processo di trasformazione del proprio tennis tanto rapido quando profondo. Gli effetti quasi definitivi di questo processo si comprendono già in marzo, con la vittoria a Indian Wells, il torneo probabilmente più ambito al di fuori degli Slam e del Masters. Con una serie di partite eccezionali supera nell’ordine: Sharapova, Radwanska, Vickery, Sakkari, Pliskova, Halep e Kasatkina. In semifinale contro Halep lascia appena tre giochi alla numero uno del mondo (6-3, 6-0), ribaltando l’esito di qualche settimana prima.
Le prestazioni di Naomi in California non lasciano dubbi: nel giro di pochi mesi è diventata una tennista diversa. Da superattaccante si è trasformata in attaccante, cioè in una giocatrice meno estrema, disposta ad affrontare scambi più lunghi, rischiare meno e attendere con maggiore pazienza il momento di provare il vincente. Consapevole anche di poter andare incontro a conseguenze indesiderate, come la possibilità di perdere il controllo dello scambio e doversi sacrificare in situazioni difensive. Per esempio la “nuova” Osaka durante il confronto sulle diagonali invece che cercare il colpo definitivo cambiando lungolinea (come avrebbe fatto in passato) preferisce spesso adottare la soluzione opposta, cioè stringere di più l’angolo della stessa diagonale per mandare fuori campo l’avversaria; oppure lavora sulla variazione di intensità e parabola del topspin per ottenere il punto attraverso l’errore altrui invece che con il proprio vincente.
Intervistato ai recenti US Open, Sascha Bajin ha spiegato con molta chiarezza che cosa ha provato a fare insieme a lei (dal minuto 1’50” del video): “Naomi ha sempre avuto grande potenza, anche prima che arrivassi io. Ma non aveva del tutto chiaro come gestirla e controllarla. Forse non sapeva quando era il momento giusto di “premere il grilletto” e quando invece no. Forse non sapeva che ci sono anche altri modi per esercitare pressione sull’avversaria, semplicemente lavorando sul ritmo della palla. Dunque quello che ho cercato di fare è mantenere la sua potenza grezza, facendole però capire che ci sono anche altri mezzi per mettere in difficoltà l’avversaria”.
Facile a dirsi, ma estremamente difficile a farsi. Per molte ragioni: tecniche, fisiche, mentali. A mio avviso quello che è riuscito a Naomi è un cambiamento eccezionale, perché è molto più di un affinamento: è quasi una trasformazione strutturale. E che sia avvenuta nel giro di pochi mesi mi lascia ancora più sorpreso. Come spiegarla? I dati di fatto portano per forza a dare grandissimi meriti al nuovo coach, ma mi sembra impossibile che tutto questo possa essere frutto soltanto di input esterni. Mi spiego: forse Bajin si è reso conto che un tipo di gioco più articolato era già nelle corde di Naomi, più della impostazione precedente. Probabilmente questo tipo di tennis era più affine alla natura profonda di Osaka, e una volta compreso questo Bajin ci ha lavorato per metterlo in campo al meglio. Con i risultati straordinari che abbiamo tutti visto.
Se analizziamo attraverso quali soluzioni si esprime il cambiamento, ci troviamo di fronte a una lunga lista di novità: maggiore topspin su alcuni colpi, uso dello stesso topspin non solo in chiave offensiva ma anche difensiva, per rallentare lo scambio nelle situazioni di difficoltà. Inserimento di maggiori risposte interlocutorie, a volte anche arretrando la posizione di attesa della battuta. E poi: miglioramenti nella esecuzione dei chop difensivi, ma anche nell’esecuzione dei cross stretti in funzione aggressiva.
Accanto a questi progressi tecnici ci sono quelli fisici: maggiore resistenza nello scambio prolungato, aumento della mobilità e della capacità di invertire la direzione in orizzontale, che ha permesso a Naomi di crescere in modo sostanziale nelle fasi difensive.
E poi ci sono i progressi mentali: la capacità di soffrire nelle situazioni difficili, accettare che anche nei momenti in cui l’ansia potrebbe spingere a soluzioni definitive a volte si può puntare sull’errore dell’avversaria, etc.
A scanso di equivoci: con tutto ciò non voglio dire che questo sia l’unico modo possibile per vincere; ad esempio Ostapenko ha conquistato il Roland Garros rimanendo la stessa superattaccante di sempre, semplicemente eseguendo al meglio il proprio tennis. Ma probabilmente per Osaka questo è davvero il tennis a lei più congeniale.
a pagina 3: La vittoria agli US Open