RESTO DEL MONDO – EUROPA 1-7
Dal nostro inviato a Chicago,
A. Zverev (Europe) b. J. Isner (World) 3-6 7-6(6) [10-7]
“Esibizione? È la parola più stupida che si possa usare per definire questa manifestazione. Non potrebbe essere più lontana dal vero”. Un desolato John Isner esordisce così nella conferenza stampa dopo il match d’apertura della seconda giornata perso contro Sascha Zverev dopo aver avuto un match point. Certo, gli allenamenti di giovedì erano stati piuttosto gigioneschi, le celebrazioni a bordo campo delle panchine danno quell’impressione di baracconata che presta il fianco a chi vuole denigrare la Laver Cup. Ma i giocatori vogliono vincere, ed in campo danno il 100%.
Con la figlia Hunter nata solo pochi giorni fa già impegnata a guardare il suo primo match dalla casa di Dallas (“non so quanto di ricorderà di questa partita, ma Madison mi ha mandato la foto della mia partita che passava in TV mentre lei cambiava il pannolino”), John Isner ha provato fino in fondo a guadagnare i due punti necessari al Team World per arrivare in parità, ma un passante di rovescio incrociato di Zverev gli ha negato questa gioia, seppur infinitamente più piccola di quella della paternità provata lo scorso weekend.
“La gente pensa che magari è tutta scena” dice Isner: le racchette scagliate a terra in frustrazione, la gioia della vittoria che fa cadere in ginocchio in mezzo al campo ed esplodere di gioia in panchina (tutti tranne Bjorn Borg, che come faceva in campo nei suoi anni migliori non tradisce mai alcuna emozione) – “ma dovremmo essere straordinari attori per fingere così bene”.
Eppure aveva iniziato nel migliore dei modi, Long John, spingendo sull’acceleratore con servizio e dirittone, portandosi subito avanti 3-0 nel primo set e chiudendo il parziale in mezz’ora cedendo solo quattro punti sul suo servizio. Dieci punti concessi dal battitore in dodici game portavano il secondo set al tie-break, dove sul 6-5 arrivava il match point di cui sopra, annullato dal cross di rovescio di Sascha Zverev, che poi di slancio vinceva il set e conduceva in porto senza esitazioni anche il match tie-break (4-0, 7-3, 9-6).
Per qualche motivo, l’elemento della competizione a squadre è capace di scatenare una molla inattesa in questi grandi campioni abituati a navigare continenti, tornei e allenamenti soli con i propri stretti collaboratori, circondati da conoscenti ed estranei che nella migliore delle ipotesi vogliono qualcosa da loro e nella peggiore li vogliono battere sempre. E forse è proprio questo il segreto: la voglia di vittoria. C’è enorme rispetto da parte di tutti per i propri colleghi: da quelli che hanno la fortuna di arrivare a giocare fianco a fianco con i loro idoli d’infanzia, agli idoli stessi, che da grandi atleti e uomini mantengono il massimo rispetto per i loro colleghi.
Queste manifestazioni hanno contribuito a consolidare le amicizie fugaci del tour in rapporti più profondi e duraturi, e contro gli amici non ci si sta mai a perdere, nemmeno a briscola. Soprattutto per questi professionisti che passano la vita ad imparare ad odiare la sconfitta più di quanto amano la vittoria. Questo fatto, unito forse all’assenza di unanimità su chi sia il “più grande”, fa si che ogni occasione sia buona per perorare la propria causa. C’è grande rispetto, certamente; non si vuole essere responsabili per i punti persi dalla propria squadra, soprattutto davanti a cotanti compagni, senza dubbio; ma non ci sarebbe da stupirsi se, in fondo in fondo, ogni occasione venisse considerata buona per “mettere fieno in cascina”.
È indubbio che il meccanismo delle competizioni a squadre funziona: “Questi eventi sono divertentissimi, piacciono a chi li gioca e a chi li guarda – dice Zverev – Forse dovremmo pensare ad avere una Champions League come fanno con il calcio, magari dedicando due mesi del calendario a qualcosa del genere”. In questo periodo di idee strampalate o meno su nuovi formati di competizioni ne stanno emergendo tante, ma il problema rimane sempre, oltre alla sostenibilità economica, anche quello di un calendario sempre più congestionato che si è ridotto a piazzare la Coppa Davis alla fine di novembre. “Mi piace molto giocare in Davis – ha dichiarato il giovane Sascha – ed in generale gli eventi a squadre sono uno dei miei momenti preferiti dell’anno, ma non giocherò mai una competizione simile a fine novembre. Sarò su una spiaggia da qualche parte. Non si può pensare di giocare a tennis undici mesi e mezzo l’anno”.
R. Federer (Europe) b. N. Kyrgios (World) 6-3 6-2
In modo molto simile a quanto fatto vedere allo US Open, Roger Federer, che esordiva in singolare nella “sua” Laver Cup, ha disposto in relativa scioltezza di Nick Kyrgios, portando l’Europa in vantaggio per 5-1. Sarà che l’australiano sente particolarmente questa manifestazione, tanto da dare l’impressione di impegnarsi di più qui che nei tornei del circuito, sarà che Roger ovviamente ci tiene per ovvi motivi, ma le partite tra i due che abbiamo visto sia a Praga l’anno scorso, sia qui stasera a Chicago sono state assolutamente godibili. Il talento di Federer che gioca a braccio sciolto è un bel vedere a prescindere, quello di Kyrgios va come sempre a sprazzi, ma il risultato è che il pubblico si diverte un mondo, il che alla fine è esattamente lo scopo e lo spirito della vicenda.
Un primo set chiuso 6-3, condito da finezze assortite, porta in vantaggio lo svizzero, ma il capolavoro arriva a inizio di secondo parziale. Nell’ordine, dritto lungolinea, palla corta fintata in avanzamento, cross di dritto, poi ancora lungolinea di dritto, ed è break a zero, un game da leggenda, che vale da solo il prezzo del biglietto (tutt’altro che economico, peraltro). Nick, indeciso tra l’ammirazione e la frustrazione, incassa il colpo, ma non riesce più a uscirne. Altro break per Federer, che sciorina lampi di classe infinita a ripetizione, con tanto di mini-polemica tra Kyrgios, l’arbitro e McEnroe (che non vedeva l’ora di fare un po’ di commedia in onore al suo stesso personaggio), e il match è in cascina per Federer e il “team blu”. “Chiaramente nell’enfasi della competizione la questione con l’arbitro mi è sembrata un fatto cruciale. Ma ora che le emozioni sono andate mi rendo conto che forse sono stato io a voler fare un po’ la prima donna” dice Kyrgios a mente fredda un’ora dopo il match.
6-2 Federer, quindi, applausi strameritati, e nonostante vent’anni di meraviglie viste nei campi di tutto il mondo, la sensazione di stupore per quanta qualità, quanta mano, quanta naturalezza abbia questo ragazzo quando gioca a tennis è incredibile come fosse la prima volta. Grazie Roger.
Luca Baldissera