Mentre quasi ancora riecheggiano tra i corridoi vuoti dello United Center le grida di gioia delle oltre 95.000 persone che lo scorso weekend hanno assistito dal vivo alla Laver Cup, è tempo di stilare un primo bilancio di questa manifestazione che certamente ha avuto il merito (se di merito si può parlare) di polarizzare gli addetti ai lavori. Un numero consistente di tecnici, critici ed appassionati l’hanno considerata solamente l’ennesima baracconata messa insieme per foraggiare i conti in banca dei soliti noti e l’hanno più o meno saltata a piè pari. Altri invece hanno abbracciato la formula e la diversità di quest’invenzione di Tony Godsick, il manager di Federer, e l’hanno promossa a novità più eccitante del panorama tennistico da tempo immemorabile.
Dopo aver assistito all’intero weekend di Chicago che ha saputo confermare lo strepitoso successo commerciale della prima edizione di Praga dodici mesi fa, proveremo a formulare un giudizio su questo nuovo evento elencando ad uno ad uno i suoi aspetti positivi e negativi per poi sintetizzarli in una valutazione complessiva.
I “PIU’“ DELLA LAVER CUP
Appeal commerciale – Inutile girarci intorno, Godsick e il suo team hanno fatto jackpot! Biglietti andati in fumo in prevendita, spalti gremiti fino dal venerdì pomeriggio, la grande trovata di allestire una Fan Zone ad ingresso gratuito all’esterno della United Arena (era necessario un biglietto, ma lo si poteva scaricare tranquillamente da internet senza pagare nulla) per creare una zona di interazione con gli sponsor ed osservare da vicino i campioni che si allenavano sul campo secondario. Non capita spesso di poter vedere Federer, Djokovic, Zverev e compagnia bella mentre si allenano senza pagare nulla. Una grande festa per il tennis e per le casse di Team 8, Tennis Australia e tutti gli investitori nella Laver Cup (tra cui anche la USTA).
Partecipazione del pubblico – Gli appassionati che vanno a vedere la Laver Cup di solito rimangono più che soddisfatti: partite di alto livello, agonismo genuino in campo, incertezza del risultato fino alla fine grazie anche alla formula, organizzazione in impianti di livello mondiale che consentono un’esperienza più che piacevole. Chi ci va, di solito vuole tornare.
Offerta disegnata in base alla domanda – È probabilmente uno degli elementi di maggiore impatto nel successo globale della manifestazione. Il tennis è in larga parte “star-based”: gli appassionati vogliono andare a vedere il loro beniamino o i loro beniamini, non uno specifico torneo. Tuttavia nei tornei tradizionali la formula rende piuttosto complicato riuscire ad ottenere questo risultato: non si conosce il programma in anticipo (anche se alcuni tornei hanno provato a rispondere a questa richiesta del pubblico rendendo nota con larghissimo anticipo la sessione che vedrà il primo turno delle ‘vedette’, come per esempio la Rogers Cup), non si sa quante partite ogni atleta giocherà e quando, ci sono parecchi elementi che devono incastrarsi perfettamente. Lo ha fatto notare anche Federer nella conferenza stampa finale: “Credo che sia uno dei problemi che abbiamo attualmente nel circuito. In un torneo tradizionale, se un fan compra un biglietto non può sapere chi vedrà e quando. Potrebbe capitare che alcuni di noi devono vincere diversi turni prima di arrivare alla partita che gli appassionati vogliono vedere. Questo è un aspetto che a volte rende difficile vendere il nostro sport”. Questa manifestazione consente di programmare con largo anticipo la trasferta, dura solo tre giorni e si è sicuri di vedere i propri beniamini giocare più partite.
Momento di networking per i giocatori – I tennisti sono essenzialmente da soli con il loro team per tutto l’anno. Questo momento di ‘team bonding’ è sicuramente una boccata di aria fresca per loro. Basta guardare le conferenze stampa di fine torneo, non servono altri commenti.
Formula azzeccata – le partite con il match tie-break finale ed il sistema di punteggio globale che tiene il punteggio in bilico fino alla fine sono la quadratura del cerchio per una manifestazione di grande appeal televisivo. Allo stesso tempo le regole del tennis tradizionale non sono state strapazzate come nel caso delle NextGen Finals, mantenendo un forte legame con il tennis “classico”.
Organizzazione impeccabile – Sicuramente hanno potuto contare su un budget importante, finanziato da sponsor di assoluto livello (da Mercedes a Rolex, da JP Morgan a Barilla, da Wilson a Moet&Chandon), ma gli organizzatori hanno fatto un lavoro superbo. Il branding soprattutto è stato perfetto: tutto l’impianto era “vestito” con i colori ed il logo della Laver Cup, tutto era stato trasformato per dare un aspetto unico all’intera zona di gioco ed alla Fan Zone.
I “MENO” DELLA LAVER CUP
La divisione in squadre è poco naturale – Europa contro Resto del Mondo è una divisione abbastanza forzata, che funziona ora ma potrebbe non funzionare in futuro. Bisognava inventarsi qualcosa e non c’era troppo margine di manovra, ma potrebbe rendere difficile l’identificazione dei tifosi nelle squadre, anche se a Chicago davvero non sembrava.
Il sistema di punteggio è eccessivamente artificiale – Anche se il progressivo aumento del valore delle vittorie consente di mantenere il risultato in equilibrio fino alla fine, si tratta di uno stratagemma senza nessun tipo di giustificazione tecnica e sembra molto forzato.
Partecipazione ad inviti – Al momento le squadre vengono composte dagli organizzatori esclusivamente su invito, e la mancanza di criteri oggettivi di partecipazione è uno degli aspetti che più avvicina la Laver Cup ad una esibizione.
Sono contenti anche i perdenti – Non è bellissimo da vedere, ed è un segno che ci vorrà un po’, magari un bel po’, prima che questa diventi una gara vera. Quando si perde nei tornei di solito non si festeggia come ha fatto il Team World domenica sera. Erano quasi più contenti loro dei loro avversari.
Potenziale danno al circuito del tennis “vero” – I giocatori impegnati a Chicago non sono andati a giocare i tornei ATP in programma quella settimana, e forse nemmeno la successiva. Questo sicuramente non farà piacere agli organizzatori che investono tempo e soldi nell’organizzazione dei 250 in programma in questo periodo dell’anno. Inoltre, se questo tipo di formato “a squadre” dovesse prendere piede, come la Kosmos sembra stia cercando di architettare dopo aver preso il controllo della Coppa Davis, il tour potrebbe risentirne. Oggi come oggi, organizzare un’esibizione quadrangolare con quattro Top 20 costa più o meno come organizzare un ATP 250, solo che si incassa 3-4 volte tanto. Allora perché non lasciare perdere il torneo e buttarsi sulle esibizioni? Perché al tennis serve un circuito per far crescere i giocatori giovani affinché diventino i campioni di domani. Bisogna mantenere il circuito “vero” per avere una struttura atta a filtrare i tennisti forti da quelli meno forti.
BILANCIO
In un mondo perfetto, l’ultimo problema analizzato potrebbe essere risolto facilmente se ci fosse una sola organizzazione che controllasse il mondo del tennis professionistico ed avesse a cuore la sua salute: si potrebbero organizzare queste “semi-esibizioni” a squadre per far cassa (e consentire ai tennisti di trovarsi in una squadra una volta ogni tanto) ed utilizzare i proventi per finanziare il circuito di Challenger e ATP 250 che è sempre con l’acqua alla gola.
Purtroppo però non siamo in un mondo perfetto, e questi due elementi apparentemente contrapposti ma sostanzialmente complementari del tennis vengono orchestrati da organizzazioni differenti, con fini a volte anche in conflitto tra loro e non sempre attenti alle esigenze dello sport in generale.
“Speriamo davvero di non fare un pasticcio anche con questo” ha detto McEnroe alla fine dell’ultima giornata. E credo si possa essere d’accordo con lui. Il tennis ha trovato un bel gioiello, che se gestito in maniera oculata può permettere allo sport di crescere la base di appassionati senza rovinare la storia e la tradizione del gioco e con compromessi tutto sommato accettabili per quel che riguarda i regolamenti. Dedicare tre giorni l’anno alla Laver Cup dovrebbe essere possibile, speriamo di poterci riuscire e di non dover buttar via il bambino con l’acqua sporca.