La recente finale femminile dello US Open ha portato con sé un’ondata di polemiche d’una veemenza e durata probabilmente mai viste per una partita di tennis. La faccenda è diventata quasi politica, e sicuramente sociale, negli Stati Uniti. Se ne è discusso lungamente a livello internazionale, e chiunque avesse anche solo un accenno di piattaforma pubblica non ha esitato a esprimere un’opinione.
La partita ha però anche sollevato questioni più prettamente tennistiche: cosa può essere detto al giudice di sedia nella foga del momento e cosa no? Esiste un’uniformità nell’applicazione delle regole o la differenza tra un giudice di sedia all’altro provoca confusione e, fondamentalmente, l’impressione che si favorisca sistematicamente un giocatore sull’altro, un sesso su un altro e via così (scriviamo mentre Fognini ha lanciato la racchetta in almeno cinque occasioni diverse nella finale di Chengdu senza essere penalizzato per questo)? Soprattutto, ha senso ancora che esista l’infrazione per coaching, utilizzato dalla quasi totalità dei giocatori in entrambi i circuiti e di rado segnalato dal giudice di sedia?
Come saprete, il circuito WTA ha permesso da qualche anno che nei suoi tornei le giocatrici facessero ricorso al supporto dell’allenatore durante i cambi campi, qualora lo volessero (non se ne fa un uso spropositato e c’è chi, come le sorelle Williams, non ne ha mai usufruito). Il coaching rimane vietato dagli spalti, e quindi durante il gioco. Nei Grandi Slam però, gestiti dall’ITF, e nel circuito ATP, non è prevista la possibilità di usufruire di consigli durante i cambi campo. La BBC ha deciso perciò di chiedere al presidente dell’All England Lawn Tennis Club, Philip Brook, di esprimere un’opinione sulla finale e sull’utilizzo del coaching (che, ricordiamo, è stata la prima infrazione chiamata a Williams).
Brook, che era a New York per la finale, ha finalmente aperto le porte a un dibattito sull’argomento: “Quello che vorremmo chiedere a chi ha testato l’introduzione del coaching (che è stato provato anche a New York nelle quali e tra i junior, ndr) è: convinceteci delle ragioni per cui è una buona idea. La situazione, così com’è, è molto confusionaria per tutti. Wimbledon, così come altri, crede che sia arrivato il momento di avere una conversazione matura su dove sia diretto lo sport”.
Brook ha proseguito: “A Wimbledon non siamo necessariamente quelli più semplici con cui intavolare una discussione. Se si dicesse: ‘Votiamo per introdurre il coaching, è positivo per il tennis’, probabilmente voteremmo no. Nel caso in cui però il resto dello sport volesse farlo e ci fossero ragioni valide, allora Wimbledon potrebbe dare il suo assenso’. A novembre dello scorso anno, l’amministratore delegato del torneo Richard Lewis aveva detto ad ESPN di essere ‘contrario in principio’ all’introduzione del coaching.