4 – le eliminazioni al primo turno subite da Borna Coric nei sette tornei successivi alla vittoria del secondo titolo della carriera all’ATP 5oo di Halle (dopo Marrakech nel 2017). Le quattro sconfitte all’esordio erano arrivate, aumentandone la gravità, contro tennisti oltre la 50°posizione del ranking: Medvedev a Wimbledon, Djere a Gstaad, Norrie a Shenzhen e Lopez a Pechino. Da luglio in poi, il nemmeno 22enne croato aveva fatto poco altro di positivo a eccezione degli ottavi agli US Open (persi malamente contro Del Potro) e dei due singolari vinti sulla terra rossa di Zadar nella semifinale di Coppa Davis contro gli Stati Uniti, contro Johnson prima e Tiafoe (al quinto set) poi, nell’ultima partita della sfida. A Shanghai, approfittando anche del grave infortunio occorso a Del Potro, ritiratosi dopo aver perso il primo set, Borna ha giocato un gran tennis, regalandosi la prima finale della carriera in un Masters 1000 dopo che a marzo, a Indian Wells, era invece arrivata la prima semifinale. Vi è riuscito non perdendo nemmeno un set, successivamente all’aver ceduto quello d’esordio nel torneo. Nell’ordine, Borna ha sconfitto Wawrinka (4-6 6-4 6-3), 69 ATP; Klahn (6-4 6-2), 104ATP; Del Potro (7-5 0-0 RET), 4 ATP; Ebden (7-5 6-4), 51 ATP, e, per la seconda volta consecutiva, Federer (duplice 6-4). In finale, contro l’attuale strapotere di Djokovic, il croato (sceso in campo con una vistosa fasciatura alla coscia destra) ha potuto poco: il serbo ha vinto 6-3 6-4. La top ten, a nemmeno ventidue anni, è sempre più vicina per Borna.
7 – le sconfitte subite sin qui da Roger Federer nel 2018. Quelle contro Kokkinakis a Miami e Millman a New York, avversari fuori dai primi 50 della classifica mondiale, sono le più deludenti ed evitabili, come dimostra anche la statistica che vede l’elvetico vincere quest’anno tutte le altre diciannove volte in cui ha affrontato tennisti al di sopra di quel ranking. Sono invece diciotto le vittorie ottenute (in venti partite) contro tennisti posizionati tra l’undicesima e la cinquantesima posizione del ranking ATP: le uniche due sconfitte sono arrivate per ben due volte (nella finale di Halle e nella semi di Shanghai) con un giocatore, Borna Coric, il cui valore e classifica sono molto vicini alla top ten. Le altre tre partite perse sin qui nel 2018 da Federer sono arrivate contro due top 5 – Djokovic e Del Potro – e un top 10 due volte finalista negli Slam, Anderson. Due di esse, particolare non trascurabile, sono giunte dopo aver avuto match point a favore. Il campione svizzero ha iniziato il 2018 con 17 vittorie consecutive, che gli hanno fruttato 3100 dei 5160 punti conquistati sin qui quest’anno (ovvero, il 60% di essi è stato ottenuto nei primi tre dei dieci tornei giocati). Dopo quella lunga serie di successi consecutivi, nella finale di Indian Wells – persa dopo aver fallito tre match point – Federer ha collezionato la prima delle tre sconfitte consecutive contro top 10 (Del Potro in California, Anderson a Wimbledon e Djokovic a Cincinati), risultato che ha interrotto le tendenza iniziale (vittorie contro Cilic a Melbourne e Dimitrov a Rotterdam).
Non si può dire molto di positivo del Federer visto a Shanghai: arrampicandosi sugli specchi, si può far solo notare che, seppur sia apparso durante la settimana in molti casi lento e falloso, è comunque arrivato in semifinale sconfiggendo tre top 30 (due dei quali in ascesa in classifica) e giocando per tre giorni consecutivi, nei quali è stato impegnato in campo per complessive circa sei ore. Medvedev, 22 ATP; Bautista Agut, 28 ATP, e Nishikori, 12 ATP, sono state le sue vittime e dopo partite del genere non sarebbe stato facile neanche per tennisti più giovani giocare bene affrontare questo Coric. Dopo il Masters 1000 californiano di marzo Federer ha mostrato vari problemi, forse inevitabili per un’atleta dotato di un immenso talento ma pur sempre trentasettenne, impegnato in uno sport logorante come il tennis. Roger compie un qualcosa di quasi sovrumano ad essere al numero 3 del mondo (2 sino alla scorsa settimana) in un’età nella quale i picchi di rendimento sporadici sono ancora possibili, a differenza però della continuità agonistica ad altissimo livello. Nonostante ciò, seppur Federer in alcuni match del 2018 sia apparso il fantasma di se stesso – non solo riferendosi al campione ammirato anni addietro, ma anche alla versione scesa in campo qualche mese fa – e sebbene sia inevitabilmente discontinuo nel corso della stessa partita e del medesimo torneo, non ce la sentiremmo di aggiungerci al de profundis che molti gli stanno intonando. Il campione svizzero ha pur sempre ottenuto, da Indian Wells in poi, in un periodo di netta involuzione come quello attraversato da giugno, duemila punti. Meglio di lui, in una classifica virtuale considerante solo i tornei successivi a Indian Wells, momento in cui si può far risalire l’inizio del suo calo, hanno fatto nove giocatori, giocando tra l’altro molti più tornei dello svizzero. Al livello comunque da top 10 conservato negli ultimi mesi di grande flessione, quando a Shanghai si è arrivati probabilmente al vertice più basso della parabola dei suoi risultati (nell’imminente indoor europeo Roger ha da sempre uno dei suoi terreni di caccia preferiti), possono aggrapparsi i tifosi del campione svizzero per sperare di vederlo ancora grande protagonista, magari non al vertice della classifica, ma saltuariamente in qualche grande torneo. Un po’ poco per chi con lui è abituato più che bene, ma (decisamente) meglio di nulla.
31 – le vittorie ottenute da Novak Djokovic nelle ultime trentatré partite giocate. Successivamente ai quarti di finale persi al Roland Garros con Cecchinato, il campione serbo ha perso solo due partite: la finale del Queen’s contro Cilic (unico confronto perso dei dieci giocati contro top ten da giugno in poi) e gli ottavi di Toronto contro Tsitsipas. In questi ultimi quattro mesi Nole ha vinto Wimbledon, Us Open e due Masters 1000 (Cincinnati e Shanghai), mostrando una superiorità schiacciante sugli avversari. Da dieci partite non perde nemmeno un parziale (l’ultima volta è stata il secondo turno contro Sandgren agli US Open), situazione di punteggio che ha ripetuto in ventidue delle trentuno vittorie ottenute nel periodo considerato. A Shanghai la sua prova di forza è stata davvero impressionante: ha sconfitto il numero 5 (Zverev) e 8 del mondo (Anderson), un top 20 in rampa di lancio verso la top ten (Coric), un altro che da questa settimana lo sarà (Cecchinato) e un buonissimo giocatore come Chardy, 41 ATP, lasciando per la strada appena 31 game, pari a una media di sei giochi a partita persi, senza subire neanche un break in tutto il torneo. A livello Masters 1000 succede appena per la quarta volta: prima del serbo, ci erano riusciti soltanto Federer (due volte a Cincinnati, nel 2012 e nel 2015) e Zverev, quest’anno a Madrid. RoboNole è tornato e la sua caccia al numero 1 della classifica si fa sempre più serrata .
33 – le vittorie complessive ottenute nel 2018 da Caroline Garcia nei 21 tornei giocati prima di arrivare a Tianjin. Un’annata non certo positiva per la 25enne francese, l’anno scorso balzata improvvisamente nella top 10 a seguito delle undici vittorie (di cui tre contro top 10 e due contro top 20) consecutive che le permisero di imporsi a Wuhan e Pechino. Riconfermarsi agli stessi livelli è stato molto complesso per Caroline che quest’anno aveva vinto quattro partite di fila esclusivamente al Mandatory di Madrid (semi), e tre solo agli Australian Open, al Roland Garros (ottavi) e al Premier di Stoccarda (semifinali). La francese è calata soprattutto nel rendimento contro le top 20, sconfitte solo tre volte su tredici. Nonostante ciò, dovendo difendere quasi tutti i punti a fine stagione e aggiungendo i pochi piazzamenti di cui sopra, ha raggiunto la quarta posizione in classifica. Scivolata al sedicesimo posto dopo aver perso i 1900 punti conquistati a Wuhan e Pechino l’anno precedente, ha continuato la trasferta asiatica a Tianjin. Caroline ha conquistato il titolo senza perdere un set, approfittando anche di un ritiro e di due qualificate incontrate sul suo cammino. Nell’ordine, ha eliminato Fang Ying Xun (6-4 6-1), 218 WTA; Yuxuan Zhang (6-3 6-4), 225 WTA; Petra Martic (6-4 1-0 ret.), 36 WTA; Su Wei Hsieh (6-3 6-4), 30 WTA. In finale, contro Karolina Pliskova, è tornata a sconfiggere (7-6 6-2) dopo cinque mesi una top 10, portando a casa il sesto titolo della carriera.
49 – la posizione migliore in classifica delle cinque avversarie superate da Camila Giorgi per vincere a Linz il suo secondo torneo della carriera. Un dato che non sminuisce affatto il valore del successo della nostra giocatrice in un piccolo evento (categoria International e montepremi da 250.000 dollari), ma comunque prestigioso (l’albo d’oro del torneo, nato nel 1991, vanta ex numeri 1 e/o vincitrici di Slam come Pliskova, Azarenka, Kerber, Kvitova, Ivanovic, Sharapova, Mauresmo, Henin, Davenport, Pierce e Novotna). Si è infatti giustamente molte volte parlato, a proposito della marchigiana, della mancanza di continuità che caratterizzava il suo rendimento. Non le è mai mancato il talento per confrontarsi quasi alla pari contro le migliori (nove successi contro le top ten, con una percentuale di vittoria del 38%), ma l’azzurra veniva poi spesso a mancare nelle cosiddette prove del nove, le partite contro tenniste con classifiche più modeste. Nel 2018 Camila, che da questa settimana salirà al suo best career ranking (28 WTA), è migliorata soprattutto in tale frangente, vincendo il 74% delle volte (solo nove sconfitte) in cui ha giocato contro tenniste dalla 51°posizione in poi (solo nel 2015, quando vinse il torneo di S’Hertogenbosch, fece da questo punto di vista leggermente meglio). Migliorando ancora in tal senso e confermandosi sui suoi standard contro le migliori, può arrivare per lei anche l’accesso nelle top 20. La sua classifica del resto è ottenuta avendo saltato tra febbraio e maggio importanti Premier che avrebbero potuto regalarle punti pesanti. Nelle condizioni indoor che tanto predilige (cinque delle sei finali sin qui raggiunte sono di tornei giocati in tali condizioni) Giorgi ha smarrito un solo set per conquistare il titolo austriaco: nell’ordine ha liquidato Parmentier (6-3 7-6), 49 WTA; Teichmann (7-6 6-3), 158 WTA; Gasparyan (6-4 3-6 6-2), 137 WTA; Van Uytvanck (6-3 6-4), 56 WTA; Alexandrova (6-3 6-1), 119 WTA. Il meglio deve ancora venire per Camila, ce lo auguriamo.
696 – la posizione di classifica nel gennaio 2017 di Matthew Ebden, dopo essersi operato nel febbraio dell’anno precedente al ginocchio sinistro. L’australiano nato a Durban (Sud Africa) ha recuperato un’accettabile posizione già alla fine della scorsa stagione, tornando nella top 80 del ranking ATP (grazie all’unica finale a livello maggiore ottenuta in carriera, sull’erba di Newport, e a vari successi nei Challenger) e compiendo così il più grande balzo in classifica (tra quelli terminati nella top 100) mai avvenuto. Il 2018 è stato senza dubbio l’anno migliore della sua carriera: mai entrato nella top 60, vi riesce a 30 anni già compiuti, grazie al suo primo terzo turno della carriera in uno Slam a Wimbledon (dove ottiene la seconda vittoria di sempre su un top 10, David Goffin). Quel risultato, assieme alla vittoria del nono challenger in carriera e alla semifinale a S-Hertogenbosh, ha dato ad Ebden a luglio il best career ranking di 43 ATP. Ottimi risultati per lui, sinora più vincente in doppio, dove aveva vinto quattro titoli e conquistato il doppio misto a Melbourne nel 2013 con Jarmila Wolfe. L’australiano è arrivato a Shanghai, dove giunse nei quarti già nel 2011, reduce da un’estate nella quale aveva ottenuto la semifinale ad Atlanta e i quarti a Chengdu. Nell’unico Masters 1000 giocato in Asia Matthew ha prima sconfitto Tiafoe (3-6 6-4 6-3), 40 ATP; poi, annullandogli un match point, ha ottenuto la terza vittoria in carriera su un top 10 (6-4 6-7 7-6), Thiem, e ha infine avuto la meglio su Gojowczyk (6-2 6-3), 67 ATP. I secondi quarti della carriera in un Masters 1000 sono stati nuovamente l’ultima tappa per Ebden, fermato col punteggio di 7-5 6-4 da Borna Coric.
1810 – i punti di Marco Cecchinato nella Race To London, che lo collocano alla 17° posizione della classifica che considera i soli punti conquistati nel 2018. Un patrimonio molto importante, capace tra l’altro di regalare al siciliano il grosso vantaggio psicologico di giocare libero mentalmente dall’ansia di difendere punti sino ad aprile (a marzo ci sono attualmente soli 80 punti in scadenza, relativi alla vittoria del Challenger di Santiago). Nei primi mesi del prossimo anno, fatta eccezione per febbraio e i tornei sulla terra rossa sudamerica, il siciliano sarà però “costretto” a giocare dove sino a due settimane fa non aveva mai vinto una partita: su tappeti indoor (prima vittoria contro Lacko a San Pietroburgo) e sul cemento all’aperto (si è sbloccato contro Baghdatis a Pechino). Marco, entrato questa settimana nella top 20 del ranking ATP, grazie alle due belle vittorie al Masters 1000 di Shanghai ottenute al tie break del terzo sia contro Simon (6-7 6-4 7-6, salvando match point), 31 ATP; che contro Chung (4-6 7-6 7-6 rimontando da 1-3 nel terzo), 26 ATP, può sfruttare nei prossimi mesi l’essere costantemente una testa di serie alta nei tabelloni dei prossimi tornei. Un vantaggio non da poco per ottenere punti che potrebbero portarlo presto anche a insidiare Fognini come numero 1 azzurro (intanto, da questa settimana sono due i tennisti italiani nella top 20, come non accadeva da 39 anni). Dipenderà molto da come proseguiranno gli evidenti progressi tecnici di Cecchinato su superfici a lui sin qui ostiche. In tal senso, fanno maggiormente ben sperare le vittorie contro giocatori molto competivi sul cemento all’aperto come Chung e Simon, piuttosto che preoccupare la netta sconfitta patita da Djokovic (il serbo gli ha lasciato 4 game): giocatori molto più rinomati hanno fatto poco meglio di lui. Sulle doti da gran combattente (sono già dodici le rimonte compiute quest’anno da Marco) e sulla pulizia tecnica dei suoi colpi, del resto, nessun dubbio.
2000 – l’anno di nascita di Dayana Yastremska, vincitrice del titolo all’International di Hong Kong. La tennista ucraina, seguita in passato nella sua crescita tennistica da due coach italiani (Gianluca Marchiori prima e Marco Girardini poi) era balzata all’onore delle cronache lo scorso luglio per essere diventata la prima giocatrice in assoluto nata dal 2000 in poi ad arrivare nella top 100. Vi era riuscita soprattutto grazie a buoni risultati negli ITF: un titolo – ottenuto a inizio luglio a Roma al circolo Antico Tiro a Volo – due finali e una semi. Dayana, anche prima tennista ‘millennial’ a vincere un ITF nel marzo 2016, nella carriera da juniores si era distinta raggiungendo la finale a Wimbledon, sempre due anni fa, persa contro Potapova. La tennista ucraina aveva ottenuto le prime vittorie nel circuito maggiore nel maggio 2017, quando sconfisse anche Petkovic per arrivare ai quarti. Per riuscirci nuovamente in un tabellone principale del circuito maggiore ha dovuto attendere lo scorso agosto: nel Premier di New Haven ha sconfitto Collins, 36 WTA. La sua crescita è stata costante ed è arrivata a Hong Kong dimostrando di meritare già ampiamente la classifica, sulle soglie della centesima posizione: aveva vinto in undici delle diciassette occasioni in cui aveva affrontato top 100 e in tre delle quattro in cui dall’altra parte della rete aveva una top 50. A Hong Kong ha vinto cinque partite di fila senza perdere un set: Stollar (6-4 6-4), 129 WTA; Zheng (6-3 6-3), 58 WTA; Kucova (6-3 6-2), 317 WTA; Zhang (7-5 6-4), 40 WTA sono state eliminate. In finale, contro una tennista reduce da un mese di ottimi risultati come Qiang Wang, 25 WTA, non ha tremato, vincendo facilmente (6-2 6-1).