0 – le semifinali raggiunte in carriera nel circuito maggiore da Ons Jabeur prima del torneo di Mosca. La carriera della 24enne tunisina, campionessa juniores del Roland Garros 2011 (in finale vincitrice su Puig, dopo aver perso quella dell’anno precedente contro Svitolina) sembrava non riuscire mai a prendere una svolta positiva. Proprio nel Major parigino, partendo dalle quali, Ons nel 2017 è divenuta la prima tennista araba a raggiungere un terzo turno in un torneo dello Slam, superando per la prima volta in carriera una top ten, Cibulkova. Il 2017 è stato l’anno dell’accesso nella top 100: grazie ai quarti a Taipei, al terzo turno a Parigi e all’ingresso nel tabellone principale in ben sei tornei (tra cui Wimbledon), Ons sale sino al numero 83 del ranking WTA. Una prima metà di 2018 molto deludente – sino a marzo vince solo una partita e arriva a fine maggio avendo raccolto solo una semifinale in un ITF – la relegava al 180esimo posto del ranking. Da giugno inizia per lei la risalita in classifica: vince il 100k di Manchester, raggiunge i quarti a Bucarest e si qualifica agli US Open. Accede poi al tabellone principale del Premier di Pechino, dove supera la numero 1 del mondo Halep, ritiratasi dopo aver perso il primo set. Arrivata a Mosca da 101 WTA, ha prima penato nelle quali – dove ha superato Stollar, 127 WTA (al terzo set), Dart (solo al tie-break del set decisivo), 169 WTA e Grammatikopoulou, 170. L’inerzia è cambiata nel tabellone principale, dove ha trovato sicurezza e notevole rendimento per arrivare in semi senza perdere un set, contro avversarie titolate e prestigiose. La “signora Kamoun” – si è sposata giovanissima, tre anni fa, con un fiorettista olimpico suo connazionale – ha lasciato una manciata di game a giocatrici del calibro di Makarova (6-1 6-2), 61 WTA; Stephens (6-3 6-2), 8 WTA; Kontaveit (7-5 6-1), 21 WTA. Nella prima semifinale della sua carriera del circuito WTA ha penato un po’ di più contro una delle tenniste in assoluto più in forma del momento, Sevastova, 11 WTA, perdendo un set (6-3 3-6 6-3) per poi diventare la prima tunisina della storia a raggiungere una finale nel circuito maggiore. Nella partita che valeva il titolo, opposta a Kasatkina, Ons è stata avanti 6-2 4-1 prima di subire la rimonta della russa, anche a causa dei crampi di cui è stata preda nella parte conclusiva del match.
1 – la finale in carriera raggiunta nel circuito maggiore da Kyle Edmund, quando la scorsa settimana è tornato per la seconda volta a giocare l’ATP 250 di Anversa, dove nel 2016 raccolse la prima semifinale a livello ATP della carriera. Eppure il 23enne britannico da più di due anni è nella top 50 e, dopo le semifinali raggiunte a Melbourne lo scorso gennaio, è costantemente nella top 30 (e da maggio nella top 20). Una classifica costruita dal britannico nato a Johannesburg (Sud Africa) sulla continuità di rendimento, che in questo 2018 solo in quattro casi lo ha visto inciampare alla partita d’esordio nel torneo. Sono state queste le sconfitte più amare della stagione, contro tennisti non nella top 50 e, in un paio di casi, ai limiti della top 100: Sela a Indian Wells, Tiafoe a Miami, Seppi a Montecarlo e Lorenzi agli Us Open. A New York, dopo l’eliminazione al primo turno, il britannico aveva dichiarato in conferenza stampa di sentirsi, a partire dal periodo successivo a Wimbledon, svuotato psico-fisicamente e momentaneamente non in grado di dare il meglio di sé. Dopo aver partecipato alla Laver Cup a Chicago (giocando un solo singolare, vinto contro Sock), Edmund ha mostrato di aver ritrovato la forma e nella trasferta asiatica ha fatto un buon bottino di punti e di fiducia (semifinale a Pechino, quarti a Shanghai). Ad Anversa è dovuto stare in campo meno di due ore per conquistare la finale, a pochi mesi dalla prima in assoluto, raggiunta sulla terra di Marrakech: dopo aver saltato il primo turno con un bye (era la prima testa di serie del tabellone), ha sconfitto Ramos (6-0 6-2), 64 ATP; poi nei quarti ha approfittato del ritiro di Ivashka e in semi ha regolato facilmente Gasquet (6-3 6-4), 28 ATP. Molto più complessa la vittoria in finale: Gael Monfils, 38 ATP, ha richiesto due ore e mezza prima di arrendersi (3-6 7-6 7-6) e concedere il primo titolo della carriera a Edmund. Per Kyle, un altro gradino della crescita salito.
2 – i russi che potrebbero chiudere il 2018 nella top 20: sia Daniil Medvedev che Karen Khachanov hanno buonissime chances di riuscirci, una prospettiva resa concreta, dopo i punti incamerati dai due all’ATP 250 di Mosca. Entrambi classe 96 (il primo è più grande di tre mesi) sono i nuovi esponenti di una scuola che, dopo gli anni di Kafelnikov (ex numero 1 al mondo, con due Major in bacheca), Safin (anche lui riuscito a issarsi in vetta al ranking e vincitore di due Slam) e Davydenko (ex 3 ATP e vincitore delle ATP Finals) aveva vissuto anni di crisi, in particolar modo a seguito del fisiologico calo di Youzhny (ex 8 ATP e vincitore di 10 titoli in carriera). In coincidenza del ritiro del “colonnello” dall’attività agonistica, una scuola che anche nel femminile negli ultimi vent’anni ha profuso una serie di campionesse (Sharapova, Safina, Kuznetsova, Miskyna, Dementieva e, proprio in questi giorni, si è affacciata nella top ten Kasatkina, classe 97) il tennis russo torna protagonista con prospettive rosee di avere presto almeno un nuovo top ten. Non va nemmeno dimenticato che Andrej Rublev, classe 97 e 78 ATP, in questi mesi incappato in una crisi di risultati, ha il talento per essere un protagonista futuro del circuito. A Mosca si giocava la scorsa settimana la VTB Kremlin Cup, l’ATP 250 più ricco della settimana (montepremi da quasi un milione di dollari), storicamente feudo di tennisti russi (vincitori di 14 delle 28 edizioni già disputate). In semifinale si sono incontrati – per la prima volta in partite ufficiali con punti in palio – proprio i due giovani rappresentanti del tennis russo: ha avuto la meglio Khachanov, vincitore 6-1 6-7 6-3 sul connazionale. In finale, il nativo di Mosca ha vinto il torneo di casa incamerando il successo – come nei primi due turni contro Rosol (6-4 7-5) e Basic (6-2 7-6) – senza perdere un set: Mannarino, 49 ATP, si è arreso in 54 minuti, e Karen, vincitore con un duplice 6-2, ha potuto mettere in bacheca il terzo titolo della carriera, dopo Chengdu (nel 2016) e Marsiglia (nel 2018).
3 – gli anni trascorsi dall’ultima delle diciassette semifinali raggiunte nel circuito maggiore da Ernests Gulbis (Vienna 2015, persa contro Johnson). L’appena 30enne lettone, uscito da luglio 2016 dalla top 100, quest’anno si era fatto notare nel circuito maggiore solo a Wimbledon, dove era partito dalle quali e arrivato agli ottavi dopo aver sconfitto Dzhumur e Sascha Zverev, allora 3 del mondo. Per il resto, nel 2018 aveva raccolto una sola semifinale in un Challenger sulla terra e ben poco edificanti otto sconfitte contro tennisti non presenti nella top 200. L’incostanza del rendimento, la scarsa voglia di seguire con costanza una condotta di vita professionale – senza dimenticare gli infortuni – hanno sin qui condizionato la carriera di un tennista capace di sconfiggere diciotto volte i top ten (tra i quali Djokovic, Murray, due volte Federer, Del Potro) e tante altre tennisti che non lo erano al momento in cui li ha affrontati con successo, ma attualmente tali (Cilic, Dimitrov, Isner, Anderson, Thiem). Tuttavia, un giocatore del suo talento, ex top ten, vincitore di sei titoli e capace di raggiungere una semi in uno Slam (Roland Garros 2014) e in un Masters 1000 (Roma 2010) può sempre risorgere improvvisamente dalle proprie ceneri. Arrivato a Stoccolma avendo giocato e perso l’ultima partita al primo turno delle quali a Chengdu contro Gerasimov, 258 ATP, nella capitale svedese, dove mancava dalla semifinale persa nel 2013 da Ferrer, ha vinto quattro partite di fila senza perdere un set. Ernests ha infatti regolato nelle quali Eriksson, 388 ATP, e Benneteau, 61 ATP; poi, nel tabellone principale Mikael Ymer (6-4 6-3), 289 ATP e Denis Shapovalov 86-2 6-4), 30 ATP. Nei quarti ha perso un set contro Jack Sock (4-6 6-3 6-4), 18 ATP. In semifinale, sconfiggendo Isner (1-6 6-3 6-3), 10 ATP, è riuscito, come non gli accadeva dagli Open del Canada nel 2013, ad avere la meglio nello stesso torneo di un un top 10 e due top 30. Con i punti incamerati in Svezia, questa settimana sfiora il ritorno nella top 100, un traguardo fin troppo stretto per uno dal suo talento.
6 – la striscia di tornei consecutivi nei quali Stefanos Tsitsipas aveva vinto al massimo due partite. La serie negativa con la quale si è presentato a Stoccolma è iniziata successivamente alla clamorosa finale conquistata lo scorso agosto a Toronto, dove divenne il più giovane tennista nella storia dell’ATP Tour a sconfiggere nel corso dello stesso torneo quattro top ten (Thiem, Anderson, Zverev e Djokovic, in quella che è sinora l’unica sconfitta rimediata dal serbo da Wimbledon in poi). La prima finale in un Masters 1000 della carriera (e seconda in generale dopo quella all’ATP 500 di Barcellona) lo aveva fatto salire al 15esimo posto del ranking e diventare il più giovane tennista tra gli attuali top 20. Dopo il Canadian Open, il contraccolpo di una settimana così importante si è fatto sentire per un fresco ventenne, che aveva iniziato la stagione da 91 ATP: successivamente alla finale persa contro Nadal, il primo tennista greco a entrare nella top 100 aveva vinto solo una delle sei successive partite disputate. Si era parzialmente ripreso tra Tokyo (quarti) e Shanghai (ottavi) e, iscrittosi per la prima volta a Stoccolma, sede del Inthrum Stockholm Open, ATP 250 dalla gloriosa tradizione, ha ben pensato di vincere il primo torneo della carriera in una sede piccola, ma prestigiosa. Nell’albo d’oro della competizione svedese, svoltasi per la prima volta nel 1969, si trovano infatti, oltre a tanti campioni di Major (tra i quali il nostro Adriano Panatta), tanti ex numeri 1 (Biorn Borg, John McEneroe, Mats Wilander, Stefan Edberg, Boris Becker, Ivan Lendl e Roger Federer). In qualità di terza testa di serie, ha saltato il primo turno, e ha poi sofferto per eliminare (6-4 3-6 6-3) la sorpresa degli US Open, Millman, 33 ATP, che tornava per la prima volta in un tabellone principale dopo New York. Dai quarti in poi Stefanos non ha più perso un set: Kohlshreiber (6-3 7-6), Fognini (6-3 6-2) e Gulbis (duplice 6-4) poco hanno potuto fare per opporsi. A Star is born.
8 – le partite vinte da Andreas Seppi negli ultimi otto tornei ai quali aveva partecipato. Il 34enne bolzanino, dopo un’ottimo inizio di 2018 – ottavi agli Australian Open, semifinale all’ATP 500 di Rotterdam (sconfiggendo Sascha Zverev), semifinale al 250 di Budapest, vittoria di un challenger in Australia – testimoniato dalle ben ventiquattro vittorie raccolte sino ad aprile, ha avuto un fisiologico calo, che non gli ha però impedito di conquistare i quarti sulla terra di Ginevra e sull’erba di Halle. Dopo Wimbledon, e il periodico riposo terapeutico per il trattamento all’anca al quale da un paio di anni si sottopone, è tornato a giocare solo a Winston-Salem, ma non vinceva due partite di fila da giugno. A Mosca, uno dei suoi tornei preferiti (nelle sue cinque precedenti partecipazioni, ha vinto il titolo nel 2012, ottenuto una semifinale e due quarti) è tornato a vincere tre partite di fila, tra l’altro senza perdere un set: Klizan (6-1 7-6), 47 ATP; Herbert (con un duplice tie-break); 51 ATP; Krajinovic (6-4 7-6), 34 ATP. In semifinale contro Mannarino, 49 ATP sconfitto quattro volte su sette nei precedenti (l’ultima, vittoriosa, appena un paio di settimane fa a Shanghai), si è però arreso, lasciando spazio al 30enne francese, vincitore col punteggio di 7-5 7-5.
10 – il best career ranking raggiunto da Lucas Pouille lo scorso marzo. Era quello un periodo d’oro per il 24enne transalpino: dopo aver vinto a ottobre l’ATP 500 di Vienna (terzo titolo del 2017), era stato eroe a dicembre del quinto match della finale di Davis 2017, regalando alla Francia la decima insalatiera d’argento. L’inizio del 2018 sembrava continuare l’ascesa nel rendimento e nei risultati, come testimoniato dal titolo all’ATP 250 di Montpellier e dalle finali a Marsiglia e Dubai. L’aria della top ten non ha però fatto bene a Lucas, che da quel momento in poi si è tolto soddisfazioni solo quando ha giocato con la sua Francia, vincendo entrambi i singolari a Genova (contro Seppi e Fognini) e a Lille, nella semifinale, contro Bautista Agut. Nel circuito, invece, nei quattordici tornei ai quali si è iscritto da Indian Wells in poi, ha vinto solo dieci partite (e solo una di queste contro un top 50). Uno scadimento di forma davvero notevole, che lo ha portato fuori dalla top 20. A Stoccolma ha continuato a deludere, perdendo con un duplice 6-4 da Sandgren, 62 ATP. Se questa settimana a Vienna non arriva almeno in semifinale, molto probabilmente non sarà nemmeno tra i primi 30, come non gli accadeva da maggio 2016, quando con la semifinale la sua carriera ebbe una svolta.
104 – la posizione in classifica di Daria Kasatkina quando, 18enne, tre anni fa esplose nel grande tennis e conquistò, dopo essersi qualificata, la semifinale al Premier di Mosca, confermando quanto di buono fatto vedere il mese prima con il raggiungimento del terzo turno agli US Open. Iniziava così la scalata di Daria, che chiudeva già il 2016 e il 2017 (anno nel quale batteva numero 1 e 2 del mondo, Kerber e Halep) nella top 30. Quest’anno, dopo una pessima trasferta australiana (una vittoria in tre tornei) arrivava l’esplosione che le consentiva di raggiungere il best career ranking (11 WTA). Una posizione permessa dai punti conquistati con la semifinale a San Pietroburgo, e le finali a Dubai e Indian Wells (dove sconfiggeva tre top 10). Dopo il Mandatory californiano, Daria, che pure raggiungeva i quarti al Roland Garros e a Wimbledon, ha subito un grosso calo di rendimento. Da luglio in poi, ha vinto due partite nel corso dello stesso torneo solo a Wuhan, dove comunque si è fermata agli ottavi. A Mosca, pur sconfiggendo una sola top 30 e una top 40, ha confermato il legame speciale col torneo della capitale russa (oltre alla semifinale del 2015, nel 2016 era arrivata ai quarti, mentre l’anno scorso si fermò solo in finale, perdendo contro Georges). In questa edizione 2018, per la precisione, ha avuto la meglio su Tsurenko (6-4 7-6), 26 WTA; Cornet (3-6 7-5 6-4), 43 WTA; Pavlyuchenkova (6-4 6-3), 40 WTA; Konta (6-4 6-3), 44 WTA, e in finale – combattuta e equilibrata – su Jabeur, 101 WTA, per 2-6 7-6 6-4. Un titolo che è valso l’accesso per la prima volta in carriera nella top ten e il biglietto per Singapore, dove alle WTA Finals in corso è la prima riserva.