Petra Kvitova
Sul piano numerico Kvitova al Masters è stata la peggiore, visto che ha vinto un solo set su tre partite disputate. Sicuramente le condizioni di gioco non l’hanno agevolata, ma dubito che anche con un campo più rapido avrebbe potuto fare strada. Da diversi mesi infatti il suo rendimento è sceso e dopo la prima parte di stagione con 5 tornei vinti è andata incontro a un calo fisico e mentale. La vittoria a Birmingham in giugno si può considerare il punto di confine. Qualche dato a conferma. Vittorie-sconfitte contro le Top 10: prima parte di stagione 7-1, seconda parte 0-3. Vittorie-sconfitte totali: prima parte 38-7, seconda parte 9-10.
Forse le due doppie imprese che ha compiuto nei primi mesi, quando ha vinto consecutivamente San Pietroburgo/Fed Cup/Doha e poi Praga/Madrid, le sono costate troppo. È raro che una giocatrice vinca due tornei una settimana dopo l’altra, proprio per il grande sforzo che è richiesto, e Kvitova non dispone certo di un fisico da maratoneta. A questo aggiungerei la batosta di Wimbledon, dove si è presentata da favorita ed è stata invece eliminata al primo turno.
Del suo Masters in positivo ricorderei la decisione di affidarsi in alcune occasioni al serve&volley o agli attacchi in controtempo, dopo essersi resa conto che da fondo non riusciva a sfondare e non poteva permettersi di sostenere troppi scambi prolungati in sequenza. Se non altro abbiamo visto qualche variazione e qualche punto più creativo.
Naomi Osaka
L’altra protagonista che ha chiuso il torneo a zero vittorie, come Kvitova. Però Osaka ha fatto complessivamente meglio: nei due match che ha giocato integralmente ha perso solo al terzo set (contro Stephens e Kerber), mentre è stata costretta al ritiro contro Bertens per un problema alla gamba sinistra. Segno che anche lei aveva chiesto molto al suo fisico, in particolare nell’ultimo periodo, con il torneo di Tokyo disputato quasi a ridosso della vittoria agli US Open.
Al contrario che per Kvitova, il modo con cui sono arrivate le sconfitte di Naomi mi fa pensare che con un campo più rapido la sua prima partecipazione al Masters avrebbe potuto avere un destino diverso. Il suo problema è stato soprattutto esecutivo, con errori evitabili che la miglior Osaka non compie; mentre sul piano tattico non ha interpretato male la superficie, anzi: probabilmente è stata la prima a rendersi conto che nello scambio da fondo i colpi incrociati stretti rendevano più del solito e ne ha eseguiti parecchi, specie con il rovescio. In sostanza tatticamente ha dimostrato di essere rapida nell’adattarsi, prendendo contromisure intelligenti.
A detta di tutte coloro che hanno vissuto l’esperienza, il periodo successivo alla prima vittoria in uno Slam, specie se conquistato da giovani, è uno dei più complessi per la carriera di una giocatrice. Cambia completamente lo status nel circuito, l’agenda degli impegni extratennistici e il rapporto con l’ambiente esterno (stampa, social etc). Naomi non fa eccezione, e quindi una fase di assestamento sarebbe del tutto fisiologica.
Angelique Kerber
Il 2018 di Kerber in sintesi: vittoria nel primo impegno stagionale (in gennaio a Sydney); poi la semifinale agli Australian Open e soprattutto il successo di Wimbledon in finale su Serena Williams, che ha significato il terzo Slam in carriera. Al di fuori di questi tornei, Angelique ha giocato sotto ai suoi standard, e Singapore non ha fatto eccezione.
Secondo me anche lei non è stata aiutata dalla superficie esasperatamente lenta: le prime qualità di Kerber sono legate agli aspetti difensivi, ma questi emergono ancora meglio su campi più rapidi, dove spicca la sua eccezionale mobilità e dove può appoggiarsi alla potenza avversaria per sostenere lo scambio. Invece su un campo così lento quasi tutte riuscivano a difendere, e in più Angelique si è trovata spuntate le armi del contrattacco, visto che in condizioni simili la sua palla non risultava abbastanza incisiva. A questo aggiungerei la questione mentale: per vincere sul campo di Singapore occorreva essere disposte ad affrontare fasi di sofferenza; ma la Kerber post Wimbledon, forse inconsciamente appagata, non ha recuperato la grinta e l’agonismo dei giorni migliori.
Caroline Wozniacki
Il Masters di Wozniacki si è deciso nell’arco di pochi minuti, nei game finali del secondo set contro Svitolina. Per come funziona il regolamento delle Finals, aggiudicarsi quel set era decisivo. Elina ha avuto la meglio (5-7, 7-5, 6-3) e le ha tolto le ultime speranze di confermarsi “maestra”, dopo la vittoria dello scorso anno.
Nella conferenza stampa successiva alla sconfitta, Caroline ha fatto un bilancio della stagione 2018: ha detto di ritenerla la migliore della carriera, visto che è riuscita a tornare numero 1 del mondo (in febbraio) e a vincere finalmente uno Slam. Ma la dichiarazione più importante è arrivata subito dopo, quando ha spiegato che le è stata diagnosticata una malattia autoimmune, l’artrite reumatoide, con cui dovrà fare i conti per il futuro:
Notizia davvero triste, che chiarisce i problemi che il fratello maggiore di Caroline aveva evidenziato alla vigilia degli US Open (vedi QUI). Patrik Wozniacki aveva raccontato che Caroline soffriva di una “infiammazione diffusa” per la quale aveva cominciato a prendere un farmaco con l’autorizzazione della WADA (l’agenzia antidoping), visto che faceva parte di quelli proibiti. E se si deve ricorrere a una esenzione della WADA, significa che si tratta di qualcosa di serio. Poi la vittoria di Pechino aveva fatto pensare che il peggio fosse ormai alle spalle. Ma non era così.
Dopo aver saputo la notizia, ho pensato alle eliminate del gruppo bianco, Kvitova e Wozniacki, e a quanto hanno passato di recente. Petra è tornata in Top 10 malgrado il medico che l’aveva curata alla mano accoltellata ritenesse molto difficile il recupero ai livelli pre-incidente. D’altra parte Caroline ha vinto a Pechino un Premier Mandatory poche settimane dopo avere appreso una diagnosi tanto difficile da digerire. Evidentemente per affermarsi a livello mondiale occorre possedere non solo talento tennistico, ma anche una tempra e una forza nell’affrontare le avversità fuori dal comune.
a pagina 3: Le semifinaliste: Pliskova e Bertens