IL BUIO E POI LA LUCE – Dopo la sconfitta contro Marco Cecchinato al Roland Garros, il de profundis tennistico di Novak Djokovic era ormai nell’aria. Dopo un 2017 disastroso con 6 mesi giocati male e altrettanti saltati per infortunio, la sua prima metà del 2018 era stata al limite del tragico sia in campo che fuori: zero titoli, zero finali raggiunte e una sola semifinale peraltro persa abbastanza nettamente con Rafael Nadal a Roma. Senza contare l’allontanamento di Agassi e Stepanek dalla sua sua panchina, selezionati appena pochi mesi prima, e il ritorno di Marian Vajda (che si rivelerà poi decisivo) con cui le strade si erano separate nel 2017-
Insomma, una confusione totale che poneva profondi dubbi non tanto sulla qualità del suo tennis quanto sulla voglia di tornare a essere il giocatore che per due anni tra il 2014 e il 2016 aveva dominato il tennis tanto da completare un Grande Slam “sporco” tra Wimbledon 2015 e Roland Garros 2016.
La stagione sui prati ha lasciato intravedere il risveglio di Nole con la finale persa di un soffio contro Marin Cilic al Queen’s, uno dei rarissimi match in cui il serbo non è riuscito a vincere dopo aver avuto un match-point a disposizione. Tuttavia Djokovic sceglie di non giocare la settimana precedente a Wimbledon e dunque di non difendere il suo ultimo titolo, quello di Eastbourne 2017. Di conseguenza 250 punti vanno in fumo e Nole si ritrova di nuovo fuori dai primi 20: nel ranking del 2 luglio si posizione al n.21, poco meglio del n.22 che aveva toccato il 21 maggio e il 18 giugno.
Da lì in avanti la storia è ormai nota: l’inattesa cavalcata di Wimbledon con rocambolesca vittoria su Nadal in cinque set, l’ultimo dei quali a oltranza al termine di un match giocato in due giorni, segna la rinascita del fuoriclasse di Belgrado che in quattro mesi scalerà di nuovo la classifica ATP grazie a 28 vittorie in 29 partite, portando a casa due Slam (Wimbledon e US Open) e due Masters 1000 (Cincinnati e Shanghai). La vittoria in Ohio gli è valsa anche il “Career Golden Masters“, avendo il serbo vinto tutti i 9 Masters 1000 attualmente in calendario almeno una volta. In questo lasso di tempo l’unica sconfitta è arrivata negli ottavi a Toronto contro Stefanos Tsitsipas, poi finalista del torneo.
IL DUELLO CON RAFA – Se Roger Federer ha segnato e continua a segnare la Storia del tennis da tre lustri, è chiaro che il duello per il miglior tennista degli anni ’10 di questo Secolo è sempre stato quello tra Nole Djokovic e Rafa Nadal, d’altronde molto più vicini anche anagraficamente. Lo spagnolo ha sfruttato un’esplosione precoce sulla terra rossa nel decennio precedente, ma Djokovic dal 2011 in poi ha potuto contare su una polivalenza superiore che gli ha permesso di recuperare quasi completamente il gap. Al momento il conto degli Slam dice ancora +3 Rafa ma il serbo sarà il principale favorito anche in Australia, torneo che ha già vinto sei volte nell’arco di undici anni, dopo aver trionfato a Wimbledon e US Open. Quella di lunedì prossimo sarà la terza volta in cui Djokovic toglie la vetta del ranking al maiorchino: la prima volta accadde proprio dopo averlo battuto nella finale di Wimbledon, il 4 luglio 2011. La seconda volta ancora dopo il trionfo a Wimbledon del 2014 (in finale su Federer in cinque set). Nadal lo aveva scavalcato invece il 7 ottobre 2013 poche settimane dopo averlo battuto nella finale dello US Open.
In questo caso specifico va segnalato che la pazzesca rimonta di Djokovic è stata anche favorita dal pessimo rapporto di Nadal con in campi in cemento: su dieci tornei a cui era iscritto nel 2018 fino a Parigi-Bercy, per dieci volte Nadal non ha concluso regolarmente il torneo con otto forfait e due ritiri a partita in corso (Australian Open e US Open). Unica eccezione il torneo vinto a Toronto, paradossalmente l’unico dove Djokovic ha perso negli ultimi 4 mesi. Se si aggiunge anche il forfait al torneo del Queen’s su erba, è facile notare come Rafa abbia preso parte ad appena dieci tornei e nei due Slam su cemento, come detto, si è ritirato a partita in corso. Djokovic ha invece preso parte a tutti gli Slam, tutti i 9 Masters 1000 e due ATP 500, a dimostrazione di una salute fisica nettamente migliore o in ogni caso di un approccio più lungimirante alla stagione.
Djokovic può dunque realizzare una pazzesca impresa: chiudere l’anno al numero 1 dopo essere stato fuori dai primi 20 nella medesima stagione. Nessuno ci è mai riuscito da quando esistono le classifiche ufficiali. È invece accaduto una sola volta che un giocatore raggiungesse la prima posizione partendo da un ranking così basso nella stessa stagione: nel novembre del 2000, quando Marat Safin conquistò per la prima volta in carriera la vetta della classifica, vi riuscì dopo aver iniziato la stagione al 24esimo posto ed essersi trovato 38esimo a febbraio, nonché ancora 35esimo a fine aprile. Furono sette i titoli vinti dal russo in quella stagione, dei quali uno Slam (US Open) e due Masters Series (Toronto e Bercy), ma furono sufficienti a rimanere in vetta appena due settimane: a chiudere l’anno da numero 1 fu infatti Gustavo Kuerten.
Con il torneo di Bercy ancora in corso e le Finals alle porte, dove peraltro la presenza di Nadal è da ritenersi ancora in dubbio, le probabilità che Djokovic riesca nell’impresa fallita da Safin sono molto consistenti.