Con la vittoria di Ashleigh Barty su Wang Qiang si è concluso il WTA Eiite Trophy 2018. Mentre il torneo era in corso, WTA ha confermato che dal 2019 ne cambierà la collocazione nel proprio calendario tennistico: non sarà più l’ultimo evento della stagione, ma il penultimo, perché si svolgerà prima delle WTA Finals. Lo spostamento di data è un ulteriore cambiamento di una manifestazione che si è evoluta negli anni e che la scorsa settimana si è giocata per la decima volta. Dieci anni non sono pochi e cominciano a definire una storia di un certo significato; dalla sua creazione sono state tre le sedi che l’hanno ospitata: Bali, Sofia, Zhuhai.
A voler essere puntigliosi si potrebbe dire che c’è differenza tra il torneo svolto a Bali/Sofia e quello disputato a Zhuhai dal 2015. Nominalmente sono manifestazioni diverse, con sede diversa e criteri di selezione diversi. Ma in realtà rimangono strettissimi i punti di contatto tra i due eventi, non solo per gli appassionati e i media, ma anche per l’attuale CEO WTA, Steve Simon, che ne parla in questa intervista come di un torneo unico che nel tempo si è trasformato: “L’Elite Trophy si è evoluto nel corso degli anni, prima mostrando grandi campionesse provenienti dai tornei International e poi da un secondo gruppo che seguiva le big-8 che si affrontano a Singapore”.
Curiosamente quella che non è mai cambiata è invece la denominazione ufficiosa, che sin dall’inizio l’ha collegato strettamente al Masters, come un destino. In Italia infatti da sempre viene definito anche“masterino”, mentre in altre nazioni si sintetizza in “B-Masters”.
2009 – 2012: Bali e i contrasti con ITF
Il “masterino” in origine si chiamava “Tournament of Champions”, ed è nato nel 2009, un anno di importanti cambiamenti politici e regolamentari per la WTA. Nel 2009 viene riformato il Tour con l’obiettivo di razionalizzare gli spostamenti intercontinentali delle giocatrici, in modo che gli impegni principali si svolgano in aree limitrofe. Si modifica anche la denominazione dei tornei: da Tier a Premier e International. Cambia anche l’attribuzione dei punti che definiscono il ranking.
Tutte queste novità sono l’eredità del lavoro del chairman WTA Larry Scott, che lascia la guida della associazione nel luglio 2009 a una nuova manager, la canadese Stacey Allaster (in carica dal 2009 al 2015). In questa fase uno dei punti politici di difficile soluzione è il conflitto, più o meno esplicito, con i vertici ITF, che gestiscono i quattro Slam e la Fed Cup.
Che i rapporti tra WTA e ITF non siano idilliaci lo si capisce quando viene annunciato che WTA organizzerà un nuovo torneo, appunto il Tournament of Champions, le cui date sono esattamente le stesse previste per la finale di Fed Cup. Una concomitanza a prima vista senza senso, se non quello di cercare di sminuire l’importanza della manifestazione ITF a squadre. Non solo perché le partite si sovrappongono, ma perché inevitabilmente chi prenderà parte a un impegno dovrà rinunciare all’altro.
La prima giocatrice che si ritrova a dover scegliere tra la partecipazione a Bali e quella alla finale di Fed Cup è Flavia Pennetta, in quel momento numero 11 del ranking e vincitrice dell’International di Palermo. Pennetta opta per la finale di Fed Cup (vinta in trasferta contro gli USA), ma ci si chiede se sarà lo stesso per giocatrici meno legate alla maglia e che, anche questo conta, abbiano alle spalle federazioni meno ricche di quella italiana (che può ricompensare economicamente la partecipazione alla Fed Cup).
Il “Tournament of Champions” prevede un criterio di selezione non proprio semplice. Hanno diritto di partecipare le prime 10 giocatrici che nel corso della stagione hanno vinto almeno un torneo International (cioè la fascia più bassa tra i tornei WTA) con il ranking più in alto in classifica, escluse le prime otto che hanno giocato il Masters. Quindi il “Champions” nel nome va interpretato come “campionesse di un torneo International”.
Un criterio scelto evidentemente per promuovere i tornei di categoria International, ma che risulta poco intuitivo. In pratica accade questo: si prendono in considerazione solo le vincitrici degli International della stagione; si considera la loro classifica, e le dieci con il ranking più alto (escluse quelle che andranno al Masters) potranno contendersi i premi e i punti in palio a Bali. A loro si aggiungono due wild card, a discrezione di WTA e organizzatori, per arrivare a 12 nomi totali.
Dodici partecipanti: quattro gironi da tre giocatrici, con la formula di due partite a girone, più semifinali e finale. Seicento mila dollari di montepremi totali. Che per WTA il torneo sia importante lo si capisce dai punti messi in palio: chi riesce a vincere quattro partite conquista ben 600 punti. Nessun torneo garantisce così tanti punti WTA con appena quattro vittorie.
Bali 2009 si risolve in un derby francese, con la vittoria di Aravane Rezai su Marion Bartoli. Al termine del primo “masterino” un po’ a tutti (media, appassionati, addetti ai lavori) i punti assegnati sembrano eccessivi, e infatti WTA modifica le regole. Dal 2010 i punti complessivi per la vincitrice scendono da 600 a 375, le partecipanti da dodici a otto, con due gironi da quattro; una formula che ricalca quella del Masters vero e proprio. La protagonista delle edizioni 2010 e 2011 è Ana Ivanovic che vince il torneo la prima volta sconfiggendo in finale Alisa Kleybanova e la seconda Anabel Medina Garrigues.
Parere personale, da spettatore televisivo: l’ambiente del palazzetto di Bali non appare felicissimo. Si gioca indoor in un impianto piccolo, con le telecamere in posizione non ideale; e la camera principale che si muove durante lo scambio per seguire la palla quando finisce in zone angolate produce un effetto da mal di mare. Il risultato sono immagini non all’altezza di un evento che ha l’ambizione di diventare una manifestazione di prestigio. Sotto questo aspetto più che un “Masters B” sembra un “Masters C”:
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