Un giorno di tennis e 24 ore scarse possono cambiare mille sensazioni e valutazioni, se non addirittura una vita…
Chi aveva visto Liam Caruana martedì aveva facilmente (troppo facilmente è il… dispositivo della sentenza d’appello che leggerete qui di seguito!) sentenziato che il ragazzo italiano cresciuto fra California e Texas, era – so di andarci pesante, ma ho parlato con un bel po’ di spettatori del martedì… e va tenuto presente, al riguardo, che a vedere i Next Gen è un pubblico mediamente più preparato, sofisticato e ben disposto di chi va a vedere gli Slam – un mezzo brocco piuttosto presuntuoso perché troppo spesso alla ricerca di colpi improbabili. Questa era stata la sentenza più parlata che scritta al termine del suo match perduto 4-1 4-1 4-2 con l’australiano figurativamente “adottato” da Lleyton Hewitt, e il più giovane Next Gen (in soldoni): “Ci sono 591 posti di differenza nel ranking ATP fra Alex de Minaur (17 febbraio 1999) n.31 e Liam Caruana, n.622 (22 gennaio ‘1998, quindi un anno di più), e si sono visti tutti!” .
I più benevoli, due amici toscani, mi avevano lasciato uno spiraglino di speranza: “Ma magari con un po’ più d’esperienza… farà figure meno cacine”. Ma oltre non si erano spinti neppur loro. Nella cronaca scritta Ubitennis era stato più… tenero, come si conviene ad un media equilibrato. Pur in un articolo dal titolo deciso. Nelle prime righe si era letto: “Nonostante il punteggio sottolinei la chiara superiorità del talento australiano, Liam ha fatto vedere sprazzi di buon tennis in ogni parziale”. Ciò dopo il match contro de Minaur che ha confermato di attraversare un ottimo periodo di forma e di trovarsi assai bene su questa superficie molto veloce. “È ben più veloce dello scorso anno! Forse hanno fretta di farci finire più alla svelta” ha detto Rublev, finalista un anno fa quando perse da Chung e certamente un ragazzo non privo di sense of humour. Comunque sia l’australiano ha battuto anche Rublev in 4 miniset (4-1 3-4 4-1 4-2), ma prima aveva strapazzato l’italiano del Texas lasciandogli appena la miseria di 4 game.
Premesso che la formula di questi incontri con i set a 4 games appiattisce i valori e consente a un giocatore più debole di fare match pari anche con uno molto più forte, resta il fatto che l’altra sera con de Minaur Caruana non era esistito. Eppure la formula era la stessa.
Ora, oltre ad aver già giocato un match di rodaggio, che certo lo ha aiutato, non so se sia stato perché Caruana conosceva Fritz fin da piccolo, e da piccolo lo aveva anche spesso battuto – non più negli anni più recenti però – e di conseguenza abbia sofferto di meno soggezione, fatto sta che contro l’americano che è n.47 del mondo Liam ha giocato alla pari, ha fatto 10 games e non più solo 4, ma soprattutto ha avuto le sue chances di portare a casa il terzo set, nel quale ha mancato tre set point al tiebreak perso soltanto 11-9. In particolare sul secondo set point ha forse commesso un peccato di gioventù ed entusiasmo quando si è buttato a rete seguendo la seconda palla di servizio. Sbagliando di poco una comoda volée.
Però il colpo più bello del match è stato il suo, una volée in tuffo sul lato più difficile – quello del rovescio, e lui che lo fa di solito a due mani si è dovuto allungare quasi in maniera… contro natura (“Non l’avevo mai fatto, me la sono sentita così, ho chiuso gli occhi e sono volato… non so come ho fatto!”) – proprio alla Boris Becker anni ’85-’89 – e poi Liam ha fatto vedere tutto il repertorio di un giovanotto cui non manca né il talento né la fantasia, ma semmai un po’ di equilibrio e continuità: attacchi, bella aggressività, stop-volley, botte senza paura di dritto come di rovescio. E il setpoint che ha deciso il terzo set per poco non lo ha annullato con un tweener alla… Federer (vabbè esagero un po’!). Insomma Liam sa far tutto, anche se non sempre, e nemmeno tanto spesso per ora. E, come potrebbe dire papà Giorgi, che ha sempre voluto che la figlia tirasse sempre tutto, anche la seconda di servizio (e chissenefrega se fa qualche doppio fallo di troppo!)… solo chi si abitua a tirare sempre, anche i colpi più difficili prima o poi li impara. E il giorno che gli stanno dentro sono dolori per tutti. Difatti Camila ha battuto – non per caso – già 9 volte avversarie che erano top-ten.
Per ora Liam, che ha 6 anni di meno di Camila, ma già ha dimostrato di saper lottare con tipi come Steve Johnson, 7-5 7-6 e poteva benissimo strappargli un set se non due, e da quel che si è visto, pure con tipi come Fritz – che gli americani considerano uno dei loro migliori prospects anche se ha avuto due anni difficili (forse perché a 19 anni si è già sposato e a 20 ha già un figlio? Beh, lì sì che ci vuole grande entusiasmo… e un pizzico di incoscienza!) – può permettersi di sognare. Anche Fritz ha ammesso di essere un po’ stranito dal fatto di ritrovarsi Liam dall’altra parte della rete: “Ero un po’ preoccupato prima di questa partita. Lui mi ha battuto tante volte quando eravamo bambini, mi rifilò un 6-2 6-0 nella semifinale di un National a Claremont. Siamo buoni amici, non so quante volte ci siamo affrontati dai 12 ai 14 anni, quindi ci ho pensato prima del match”. Stavolta l’ha spuntata lui…
Ora però calma e gesso, non sto scrivendo che Caruana diventerà un fenomeno e neppure – magari! – n.26 del mondo come Camila Giorgi battendo nove top-ten prima dei 26 anni. Scrivo però che lui non mi pare uno di quelli che, come Don Abbondio dei Promessi Sposi “se non ha il coraggio non se lo può dare”. Il coraggio e l’intraprendenza ce l’ha. Anche troppo. Si sta occupando di lui Umberto Rianna, un coach e soprattutto un uomo nel quale io personalmente ripongo grande fiducia, come del resto l’intelligente – e coraggioso… vi dirò poi qui sotto perché – papà Max Caruana. Di Caruana si è occupato a lungo (devo verificare se lo fa ancora, negli scarsi ritagli di tempo che gli concede la sua Accademia di Buenos Aires con Mariano Hood), Mariano Monachesi, un validissimo coach argentino, che in 20 ani di lungo corso si è occupato di fior di giocatori, quasi sempre argentini, Coria, Chela, Calleri, Canas, Zabaleta, ma ha lavorato anche in Spagna con Robredo, Almagro e altri. In tempi più recenti si era occupato anche di Gianluigi Quinzi, ma con il marchigiano il matrimonio non ha funzionato (d’altra parte Gianluigi ha già divorziato con più coach che Liz Taylor e Brigitte Bardot messe insieme con i vari mariti).
Dunque poche righe su papà Max Caruana, ex tennista di college in California, dove si è laureato con un Master in economia&business, sposato una prima volta giovanissimo con una moglie americana (che gli ha dato i primi tre figli), poi divorziato, tornato in Italia, altri due figli da una moglie italiana (anche lui, come… Fritz ha avuto certo coraggio e un misto di incoscienza: mettere al mondo cinque figli al giorno d’oggi non è uno scherzo!) fra i quali il piccolo Liam che, nato in Italia, solo a 5 anni si sarebbe trasferito negli States, prima California, poi Texas, ad Austin, città quasi di confine con il Messico (dove mi pare erano finiti anche John Newcombe con il suo ranch e forse anche Andy Roddyck). Per papà Max, che adora l’Italia ma si trova meglio in America, era più ragionevole tenere insieme negli Sates tutta la famiglia vecchia e nuova almeno per i figli. Appena lo incontrerò gli chiederò il perché di quel nome, Liam: perché fan dell’attore Liam Neeson? O del calciatore juventino Liam Brady che vinse tre scudetti di fila da bianconero giocando sempre con grande umiltà? Oppure per niente di tutto questo?
Contro Steve Johnson, al quale era approdato grazie a tutta una serie di ritiri di altri giocatori, Pella e Edmund fra gli altri, Liam era stato avanti 4-2 nel primo set… poi però si emozionò per l’impresa che stava compiendo e finì sconfitto. Dicevo di papà Caruna che viene presentato a volte come coach di Liam, anche se lui si schermisce e segnala che “no, io l’ho avvicinato al tennis, gli ho insegnato le prime cose, ma poi ho sempre cercato di metterlo nelle mani di chi ne sapesse più di me”. Un comportamento diverso, molto diverso dunque da quello di papà Giorgi… anche se all’inizio a sentir Sergio Giorgi (che a differenza di Max non aveva mai preso una racchetta da tennis in mano): “Io avevo inizialmente cercato la consulenza di qualche coach, ma non ho mai trovato uno che dicesse cose diverse da quelle che dicevo o potevo dire io”.
A questo proposito, e quasi a supporto della teoria – assai discussa e direi discutibile – di papà Giorgi, devo però ricordare di aver conosciuto negli anni tanti genitori che di tennis non sapevano proprio nulla e tuttavia erano riusciti a tirar su veri campioni. Qualcuno li avrebbe poi “trasferiti” alle cure di coach più esperti, ma non tutti per la verità. Che Sergio Giorgi possa avere ragione? Penso forse più a padri di ragazze che di ragazzi, e mi viene in mente, in ordine assai sparso e con qualche differenza che ora non ho il tempo di sottolineare, Karoly Seles, Peter Graf, Stefano Capriati, Damir Dokic, Richard e Oracene Williams, Jim Pearce (cambiò cognome in Pierce quando uscì dal carcere di Sing Sing dove era stato detenuto), Yuri Sharapov, e poi anche qualche signora, Melanie Hingis-Molitor, Judy Murray, Yzenita Mladenovic, Raissa Islanova in Safin (mamma di Marat e Dinara), la signora Istomin (mi sfugge il nome… sto scrivendo di getto), Mike Agassi, il papà dei Bryan e quello dei tre fratelli rhodesiani-zimbabwensi Black, lo zio Toni per Rafa, il fratello Carl Chang per Michael, e chissà quanti non mi sono venuti a mente e li ricorderete magari voi nei vostri post.
Tutto ciò per dire che, evidentemente, la qualità dei coach è certamente importante per aiutare i giovani a progredire… ma manca la controprova che affidandoli ad altri “estranei” al gruppo familiare, i risultati sarebbero stati migliori. Tuttavia anche qui Tsitsipas ha per coach papà Apostopolos, Fritz papà Guy Henry – ed è assente anche Tessa Shapovalov perché suo figlio era… troppo stanco. Apro qui un inciso: ma… mister Chris Kermode e signori responsabili dell’ATP ma come avete potuto permettere a Shapovalov di saltare un evento imperniato sui migliori under 21, promosso e strombazzato da due anni perché… il giocatore più atteso e meglio classificato era un po’ stanco?! Roba davvero poco seria. E annunciata quando? La sera prima del sorteggio? C’è stato il rischio di rovinare una promozione di mesi. E se un altro dei Next Gen si fosse fatto male davvero? O avesse detto di essere stanco anche lui? La FIT avrebbe dovuto far causa… se ad essa non convenisse far buon viso a cattiva sorte per mantenere buoni rapporti con una futura star come Shapovalov e con l’ATP. Milano è fra le tante città, si dice siano 40 ma mi sembra una boutade del CEO ATP Chris Kermode raccontata a Supertennis, che aspirerebbe a ospitare le finali mondiali ATP se e quando Londra dovesse essere abbandonata.
E allora. tornando ab ovo, bisogna convenire che se c’è la giusta alchimia può funzionare anche il rapporto genitore-figlio anche quando il genitore non sa nulla di tennis. Di solito è accaduto che un erede ha mostrato di avere un tale talento che il genitore ha detto (a se stesso e all’erede): “Meglio che me lo gestisca io, e magari lo sciupi io, piuttosto che un altro”. Se a seconda delle circostanze quel genitore abbia pensato che fosse meglio sottrarlo alle grinfie di coach ancora meno preparati, o addirittura della Federtennis del suo Paese o anche di un altro Paese, non è dato sapere perché non tutti i casi, i genitori, le federazioni, sono uguali.
Vorrei chiudere con un sorriso che alleggerisca la pesantezza di quel che ho scritto. Nel ricercare i nomi dei coach dei Next Gen presenti a Milano, anche solo per scoprire se avessero tutti o solo alcuni per coach un genitore o un vero maestro, ho potuto appurare che quel tennista polacco dal nome improbabile, quasi una parolaccia per noi, Hurkacz, ha un coach che si chiama Kanczula. Beh nessuno mi toglierà mai dalla testa che in polacco non debba essere una parolaccia. Un doppio Hurkacz/Kanczula da noi verrebbe interpretato come uno scherzo maleducato e di cattivo gusto.