Ogni anno i magnifici otto che si qualificano per la rassegna finale vengono ribattezzati “Masters”, “Maestri”, appropriandosi del vecchio nome che lanciò questo torneo nel 1970. Ma c’è decisamente un “Maestro” che è meno maestro degli altri. Sì, perché con gli altri Maestri almeno qui a Londra perde sempre. Si chiama, a dispetto del fatto che ha vinto uno Slam all’US Open 2014 e che ha giocato anche due sfortunate finali (Wimbledon 2017 e Australian Open 2018), Marin Cilic. Con il suo antico coach Goran Ivanisevic, vincitore di un Wimbledon e sconfitto in altre tre finali sempre a Wimbledon, Cilic è certamente il più forte tennista croato di tutti i tempi, sebbene ci siano stati fior di campioni come Franulovic e Pilic eppure…
Devo fare una premessa: ho grande simpatia per Marin Cilic, uno dei tennisti più gentili, cordiali, educati che ci siano fra i tennisti forti e quelli meno forti. È uno dei pochi che ti saluta sempre per primo. Non so se dipenda dal fatto che è stato a lungo in Italia, a Sanremo con Bob Brett, e abbia avuto in qualche modo mie … referenze, ma non ho l’impressione che sia cortese e carino non soltanto con me ma con tutti. Ma se scrivo quel che scrivo, e che se qualcuno gli riferirà non gli farà forse tanto piacere, è perché prima di ogni cosa viene il giornalismo. Non credo, tuttavia, che Cilic farà… il Fognini. Anche perché questo pezzo, che sottolinea una sua certa, o probabile, fragilità mentale in rapporto al suo eccellente potenziale e a un record che comunque non si discute – fosse nato in Italia, di qua dall’Adriatico, sarebbe un idolo assoluto – è basato su dei numeri, su dei fatti. E Cilic è certo uomo intelligente per capire che se sottolineo qualcosa che è accaduto nella sua storia più recente non è certo perché ce l’ho con lui. Non ce l’ho affatto, ci mancherebbe altro. Ma… non l’ho mai avuta nemmeno con Fognini. Solo che Fabio e altri del suo entourage non l’hanno capito. E mi hanno, anzi, sempre attribuito, anche tutti i commenti critici che i lettori hanno postato su questo sito. Pubblicarli non significa condividerli in toto. Alcuni sì, altri no. Ma ormai, da tempo, ho rinunciato a spiegarlo a chi non vuol capire.
Con la sconfitta patita questo lunedì nella 02 Arena 7-6(5) 7-6(1) con Zverev, il tennista di Medjugorje, ha stabilito un record di non poco conto: ha perso la bellezza di nove partite su 10. Rimediando anche stese memorabili fin dalla sua primissima partecipazione, cioè nel 2014 quando esordì contro Djokovic per beccare un 6-1 6-1 e proseguendo con Berdych per subire un 6-3 6-1 non meno umiliante. E sì che qualcuno su questo si è divertito a infierire sul ceco, a ribattezzare il povero Berdych – per anni fra i topo ten, vittorioso in un paio di Coppe Davis e finalista a Wimbledon – con l’impietoso nomignolo di Perdych! Che dire allora, dopo quell’esordio… fragoroso alla rovescia, di Cilic? Dopo quelle due batoste fu più… carino con Marin Stan Wawrinka, che in mezzo a due 6-3 quell’anno del battesimo croato da Maestro gli lasciò almeno un 6-4 di consolazione.
Un Cilic senza vergogna (scherzo eh…), si è ripresentato nel 2016 per fare 5 game con Murray, 6-3 6-2, per poi perdere in due set almeno combattuti con di nuovo il generoso Wawrinka (7-6 7-6, ma facendo solo tre punti per ciascun tiebreak giusto per non preoccupare eccessivamente lo svizzero) e lì ecco finalmente l’unica vittoria in quattro partecipazioni per il croato: Marin la colse contro Nishikori. Ma, guarda caso, quella partita era però senza significato sia per Cilic, comunque eliminato, sia per Nishikori, comunque già semifinalista. Insomma la sua unica partita vinta nella 02 Arena è stata una sorta di… esibizione, sia pur ben ricompensata dai 110.000 dollari che spettano al vincitore di ogni incontro. Una somma quasi esagerata. Due anni fa, all’insegna dell’”Errare humanus est, perseverare diabolicum” Cilic si qualificò nuovamente fra i Maestri. E come nel 2016 alla vigilia di una finale di Coppa Davis in cui la Croazia era protagonista. Due anni fa in casa contro l’Argentina di del Potro, quest’anno a Lille contro la Francia fra due weekend.
Non so se è per questo motivo, cioè la finale di Davis, che allora Cilic aveva la testa altrove. E non credo che oggi stesse pensando a quella di Lille con la Francia se oggi non è stato da meno quando avanti 3-0 e con la pallabreak per il 4-0 con Zverev non solo non l’ha sfruttata, ma si è anche fatto riacchiappare e ha finito per perdere quel primo set al tiebreak, così come il secondo. L’anno scorso invece, senza l’alibi dell’imminente finale di Coppa Davis – la giocarono Francia e Belgio – pur battendosi meglio degli anni precedenti il simpatico Marin perse tutti gli incontri al terzo set, prima con Zverev, poi con Sock, quindi con Federer.
Proprio con Roger Federer, ma a Wimbledon 2016, deve essere cominciato il piccolo calvario e l’inizio… delle angosce di Marin Cilic. Si giocano i quarti di finale, Marin vince i primi due set e pochi scommettono sulla rimonta di Roger Federer che secondo la maggior parte dei critici (ma non degli appassionati) è già… anziano. Lo svizzero vince il terzo set ma Marin nel tiebreak del quarto ha il matchpoint. Ma finisce per perdere in cinque set. Federer perderà al turno successivo, in semifinale, da Milos Raonic, accuserà un dolore al ginocchio, non giocherà più fino al gennaio successivo quando… risorgerà trionfando a Melbourne fra lo stupore generale. Per Cilic è un boccone amaro da trangugiare. Si presenterà poi a Portland nell’Oregon per giocare in Coppa Davis contro gli Stati Uniti. È favorito contro Jack Sock, fino ad allora più considerato come doppista che come singolarista. Marin vince i primi due set… ma perde al quinto.
La Croazia però vince quella semifinale americana e la finale è a Zagabria, contro l’Argentina che la Davis non l’ha mai vinta. Marin Cilic ha la grande occasione di conquistare la Coppa per il suo Paese, come avevano fatto Ljubicic e compagni nel 2004. Gioca un match bellissimo, pieno di pathos, è avanti due set a zero contro del Potro, ormai la vittoria sembra a un passo, Delpo non è mai stato un maratoneta vincente con quel fisico sempre così a rischio… ma Marin perde anche quello! 6-7, 2-6, 7-5, 6-4, 6-3. E l’Argentina vincerà la Davis. Marin piange calde lacrime. Un anno fa, qui a Londra, Cilic parte bene sia con Zverev sia con Sock, sempre avanti di un break – e con uno che serve come lui è un gran bel vantaggio – ma perde. Quest’anno Marin dimostra in Australia, raggiungendo la finale e arrendendosi solo a Federer, che quella vittoria all’US Open del 2014 non fu casuale. E nemmeno la finale di un anno fa a Wimbledon, dove ebbe la sfortuna di farsi male contro Federer.
Quest’anno fila tutto benino fino a Wimbledon, dove deve difendere i punti dell’anno precedente, ma dopo aver vinto i primi due set con l’argentino Pella si fa buttare fuori dai Championships. È una grande, clamorosa sorpresa. Passa un’estate senza particolari clamori, ma ecco che a Tokyo serve due volte per il match con il ben più modesto Struff ma perde. Poi si reca a Shanghai e anche lì serve per il match, ha un paio di matchpoint (ma sul servizio di Jarry) e perde anche lì. Ora, per carità, non bisogna dimenticare che un certo signor Federer ha perso in carriera ben 19 partite con il matchpoint a favore, però anche in Croazia il dubbio che Cilic non sia troppo solido di testa quando si debba chiudere un match ce l’hanno in tanti.
Adesso, dopo tutto questo doloroso excursus amarcord fra le sue partite più disgraziate, magari Marin vincerà le prossime due partite al Masters, contro Isner – il più anziano debuttante a partecipare a quest’evento dai tempi dello spagnolo Andres Gimeno nel ’72 – e contro Djokovic e se qualcuno, me compreso, oserà dargli del perdente, potrà ridergli in faccia. Tutto sommato me lo (e glielo) auguro. Anche se ci credo poco. Soprattutto per la sfida a Djokovic (salvo che Novak sia già qualificato).
Stasera intanto, dopo che nel pomeriggio Anderson cercherà di prendersi la rivincita su Nishikori che lo ha battuto 5 volte su 8, compresa l’ultima a Bercy (ma ci aveva perso a Vienna), c’è grande, grandissima attesa per lo scontro a eliminazione diretta fra Roger Federer e Dominic Thiem. I loro precedenti risalgono tutti al 2016, l’anno che per Federer durò solo sei mesi, fino a quel Wimbledon concluso in semifinale con Raonic. Con l’austriaco giocò tre volte e, dopo averlo battuto a Brisbane all’inizio di quell’anno, perse sia a Roma (7-6 6-4) – ma sulla terra rossa con l’austriaco che negli ultimi tre Roland Garros ha raggiunto due semifinali e una finale… certo ci sta di perdere – sia sull’erba un po’ particolare di Stoccarda (3-6 7-6 6-4): quella fu invece abbastanza una sorpresa. Soprattutto perché Federer ebbe due matchpoint.
Sono passati due anni e mezzo da allora e gli anni dovrebbero aver giocato a favore di Thiem, mai particolarmente brillante a fine stagione perché gioca troppo durante i mesi precedenti, però quest’anno negli ultimi mesi è stato meno discontinuo e deludente. Certo se Federer giocasse come l’altra sera con Nishikori, e le sue gambe si muovessero con lo stesso impaccio, per lo svizzero che ha vinto questo torneo sei volte ci sarebbe semaforo rosso. Qui sotto c’è il mio video quotidiano per la pagina inglese, Ubitennis.net che mi farebbe piacere ogni tanto andaste a vedere. È assolutamente diversa. Anche sotto il profilo grafico. È una grafica che fra poco sarà propria anche di Ubitennis.com e spero proprio che vi piacerà, Dovrebbe essere più… pulita e più facilmente leggibile, anche se forse più difficile da titolare. Intanto guardatela e diteci se vi piace. Grazie.