Le sensazioni che circolavano ultimamente lasciavano spazio a cattivi pensieri già da un po’ di tempo ormai, ma anche se tutti erano preparati al peggio la percezione plastica della realtà piomba su ogni fanatico della pallina di feltro come una mazzata: dopo mesi di calvario causato da un piede gravemente malandato, impossibilitata a dormire serenamente e figuriamoci ad allenarsi, Agnieszka Radwanska ha detto basta con l’agonismo. “Appendo la racchetta, è una delle decisioni più importanti della mia vita – ha dichiarato Aga nelle righe di un comunicato naturalmente affidato a Facebook – . Il mio stato fisico e in particolare le pessime condizioni del piede non mi consentono di sostenere i duri allenamenti essenziali per competere nel circuito moderno. Per giocare le partite che contano occorre spingere il proprio corpo ai limiti, e sfortunatamente oggi non sono in grado di farlo“. Seguono i ringraziamenti di rito, e di cuore, a famiglia, squadra e sponsor, classici titoli di coda di qualsiasi carriera al capolinea.
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Se ne va, anche se forse non abbandonerà del tutto l’ambiente (“rimarrò legata a una delle parti più significative della mia vita, ma ora è tempo di nuove sfide, nuove idee, nuove occasioni“), quello che nel gergo comune verrebbe definito un “panda”; un esemplare se non unico perlomeno in pericolosissima via d’estinzione, che per giunta non sembra aver lasciato erede alcuno nel circuito. Aga, insieme a Roberta Vinci e a pochissime altre, è stata tra le più insigni teoriche e praticanti di una metodologia del gioco che le nuovissime generazioni non hanno avuto modo di vedere spesso e, con il ritiro a stretto giro di posta delle due artiste appena citate, avranno sempre meno opportunità di ammirare. In un periodo storico, non si sa quanto reversibile ma le sensazioni non sono positive, dominato da una incontestabile uniformazione di stili e tattiche quasi tutte basate su peso di palla e gran spinta da fondo, Agnieszka Radwanska è stata una cellula di resistenza; un anticorpo contro i tentativi di normalizzazione dello sport con la racchetta. Ha ovviato con tagli, volée di purezza astrale, anticipi talmente esasperati da mettere in dubbio le leggi della fisica alla congenita mancanza di potenza, riuscendo per lunghissimi anni ad annullare accentuatissimi mismatch e ad assicurarsi un posto al tavolo delle migliori, mandandole spesso ai matti con il suo stile inconsueto.
Ha vinto meno di quello che avrebbe potuto? No. Ha vinto meno di quello che avrebbe meritato. In bacheca si trovano comunque venti trofei del circuito maggiore in ventotto finali disputate, numeri che certificano un certo sangue freddo nei duelli decisivi, con la perla del Masters 2015 centrato nella finale di Singapore contro Petra Kvitova dopo aver perso le prime due partite del round robin. E sono arrivati altri allori di rilievo, specialmente nella prediletta Asia dove Radwanska ha raccolto otto titoli, ma la partita più importante della sua epopea resterà probabilmente quella giocata contro Serena Williams nell’ultimo atto di Wimbledon 2012. Nel pieno di una tra le stagioni più dominanti della carriera (chiusa con un terrificante 58-4 nel rapporto vittorie-sconfitte) e in procinto di riconquistare di prepotenza la vetta delle classifiche mondiali, Serena vinse facilmente il primo set ma nel secondo vide per l’unica volta quell’anno sgretolarsi le proprie certezze: conquistò quell’edizione dei Championships tornando a spadroneggiare nel parziale decisivo, ma la Maga, quell’estate, fu tra le poche a scombinare i suoi perfetti ingranaggi.
Da un paio di stagioni le magie hanno lasciato spazio a infortuni sempre più frequenti e ad assenze altrettanto prolungate, conto salatissimo presentatole da un fisico da anni spinto ai limiti nel tentativo di contrastare le straordinarie performance atletiche delle valchirie rivali. L’ultimo trionfo a Shenzen nell’autunno del 2016, poi una graduale discesa in classifica fino all’attuale settantacinquesima posizione nel ranking WTA. Lo scorso maggio, costretta a marcare visita all’Open di Francia, Radwanska ha visto interrompersi la notevolissima striscia di quarantasette apparizioni consecutive nei tornei del Grande Slam, altra grande soddisfazione da conservare nel cassetto dei ricordi insieme ai cinque awards, anch’essi consecutivi, l’ultimo nel 2017, con cui i tifosi in giro per il mondo premiano il colpo più bello dell’anno tennistico in gonnella.
Resterà nel cuore di molti, Agnieszka, per lo stile inconfondibile, la classe innata e un atteggiamento sempre sorridente e solidale. Poi ci sono quei colpi irripetibili per chiunque ma che per lei si rivelavano normalissimi fondamentali, i leggendari dritti e rovesci “genuflessi”, per usare la straordinaria definizione di Federico Ferrero, che rimarranno cristallizzati nella storia dello sport alla stregua di quei gesti unici e riconducibili a uno e un solo campione, come la foglia morta di Mariolino Corso o il “movimento Cassina” del ginnasta di Seregno. Buona fortuna Aga, ci mancherai moltissimo.