Domanda: come si fa a riconoscere una top-star della racchetta fuori dal campo? Risposta: dal ritardo con cui si presenta agli appuntamenti. Sono quasi tutti sponsorizzati da grandi marche di orologi, ma non sono mai puntuali. In nessuna circostanza. Altro che shot-clock ci vorrebbe. Magari ci fosse un warning per il… sorpasso dei 25 secondi. Ieri mattina Novak Djokovic è arrivato con una bella mezzora di ritardo alla presentazione dell’ATP Cup, il nuovo evento a squadre che con il misero montepremi di 15 milioni di dollari e con 750 punti ATP per la squadra vincente decollerà in Australia il 3 gennaio 2020 per 10 giorni, sostituendosi alla Hopman Cup e al torneo di Brisbane, ma non a quello di Sydney, e le cui caratteristiche le ha ben descritte Michelangelo Sottili in un ottimo pezzo pubblicato tempestivamente già ieri.
E ieri sera per la sua conferenza stampa post vittoria in due set su Anderson e post qualificazione alle semifinali per la quindicesima volta in sedici partecipazioni, nel corso della quale c’è stato un divertente siparietto con il sottoscritto – se ascoltate l’audio che trovate qui sotto potete farvi un sorriso (e coloro che sostengono che io abbia un cattivo rapporto con Roger saranno costretti a ricredersi) – Roger Federer è arrivato con una ventina di minuti oltre l’orario annunciato, forse per cambiarsi d’abito e vestirsi con l’ormai consueto casual grigio e un po’ tristanzuolo (lui che prima era di solito così classico ed elegante) del suo sponsor Uniqlo. Cosa non si fa per i soldi. Non ricordo un giapponese che sia mai stato chiamato arbiter elegantiarum.
https://soundcloud.com/ubitennis/atp-finals-2018-il-divertente-scambio-di-battute-tra-federer-e-ubaldo
Djokovic si è però… riscattato in mattinata. È stato lui infatti a pronunciare per primo, ma dopo un buon quarto d’ora di prolusioni del CEO dell’ATP Chris Kermode e del direttore dell’Australian Open Craig Tiley, la doppia parola di quel vecchio evento che dal 1900 a oggi si è sempre chiamato Coppa Davis. Gli altri hanno fatto di tutto per evitare di menzionarla. Prima ci siamo sorbiti infatti un buon quarto d’ora di “promo” alternati del CEO dell’ATP Chris Kermode che magnificava il nuovo “concept” dell’ATP Cup (spiegando anche perché dopo gli errori di comunicazione del passato – “Chiamare le nostre nostre finali Barclays Bank World ATP Finals era un titolo improponibile per uscire sui giornali” -, si è abbandonato l’idea di World Team Cup e si è scelto la più semplice, concisa e diretta ATP Cup) e del direttore dell’Australian Open Craig Tiley per nulla imbarazzato di tutti i conflitti di interesse che anche i non addetti ai lavori sono in grado di percepire quando la stessa persona, lui, si trova a gestire Australian Open in partnership con l’ITF, ATP Cup in partnership con l’ATP, la Laver Cup in partnership con Tony Godsick (e Roger Federer).
In mezzo a tanti discorsi, il video dell’ATP che anche voi potete vedere, con tutti i discorsi entusiasti di tutti i top players che parevano diventati tutti i più grandi patrioti della storia. Anche quelli che si sono sempre fatti pregare in ginocchio dai loro dirigenti per giocare uno o due match l’anno di Coppa Davis. Imbarazzante. Alcuni, direi, senza vergogna. Nella mia domanda assai diretta a Craig Tiley ho esordito: “Che bello scoprire tanti giocatori diventare improvvisamente così patrioti e fieri di difendere i colori del proprio Paese… ma non ti senti in imbarazzo a trovarti a gestire tutti questi eventi che potrebbero essere apparentemente in conflitto di interessi?”. Lui naturalmente ha detto di no. “Sono anzi orgoglioso, bla bla bla”.
Detto questo, sono sicuro che l’ATP Cup sarà un grande successo. La data è straordinaria, non allunga il calendario ma occupa settimane in cui già tutti giocavano, tornei veri o esibizioni in preparazione dell’Australian Open, ci sono un sacco di soldi, di punti ATP e inoltre essendo una manifestazione dell’Associazione Giocatori è chiaro che otterrà l’adesione di tutti i migliori. Tiley non sapeva probabilmente cosa aveva detto, in risposta a una mia domanda, Novak Djokovic la sera prima. Risposte in aperta contraddizione. La risposta di Nole è stata ripresa dai siti e dalle tv di tutto il mondo e mi ha fatto piacere che fosse stato Ubitennis a sollevare con Nole la questione dei conflitti di interesse e delle varie lotte intestine al tennis sollevate in nome del dio Dollaro fra le varie sigle, ATP-ITF, ATP Cup, Davis Cup, Laver Cup.
Il n.1 del mondo aveva detto che i giocatori, pur intravedendo più opportunità di lavoro e guadagni, vedevano con maggior favore la partecipazione a un solo evento “perché il calendario è già sovrasaturo e avendo la stagione più lunga rispetto a tutti gli altri sport, dobbiamo focalizzarci in scelte di qualità piuttosto che di quantità”. Poiché fino a quel momento Novak si era riferito in particolare ai due eventi sistemati a sei settimane di distanza nel calendario, Kosmos-Davis Cup e ATP Cup, lo avevo incalzato: “E la Laver Cup allora?”. “Non è una competizione ufficiale, non dà punti, ma ha molto successo, attira tanta attenzione. È l’unica competizione che è capace di far giocare nello stesso team anche grandi rivali… ma in tre o quattro mesi sono troppi eventi. Dobbiamo lavorarci su… e cominciare da qualche parte”.
Ma Tiley invece, rispondendo a varie domande, non poteva essere così drasticamente avverso alla Kosmos-Davis Cup promossa dall’ITF. La sua federazione fa parte dell’ITF. Così è stato più diplomatico e possibilista: “In tanti sport ci sono anche più eventi a squadre nello stesso anno, non è detto che anche il tennis non possa averne”. E soltanto proprio nell’ultima risposta si è fatto quasi scappare una parolina conciliante nei confronti dell’ITF, “con il quale organismo ho sempre collaborato in questi anni anche per la Coppa Davis”. Evviva, ha nominato anche lui la magica doppia parola: Coppa Davis! Solo se l’ATP concederà due settimane a fine settembre all’ITF, in cambio di una delle quattro settimane di cui l’ITF non avrebbe più bisogno, si potrebbe arrivare a un compromesso che consentisse la disputa di entrambe le competizioni. Ai giocatori non dispiacerebbe potersi accaparrare 35 milioni di dollari invece di soli 15 (dell’ATP Cup) o 20 (della Kosmos-Davis Cup). Ma ora c’è in mezzo anche la Laver Cup a complicare le cose. E la Laver Cup “assolda” – la parola è giusta no? – sedici tennisti di gran nome. Spostare quella in un altro periodo, a primavera? Non è facile.
Comunque sia, approfittando di questa apparente contraddizione fra quanto detto da Djokovic e quanto da Tiley, ho voluto chiedere allora ieri sera a Federer – approfittando del suo palese buon umore per la qualificazione appena ottenuta alle semifinali – a) se anche lui era d’accordo con Djokovic su “meglio più qualità che quantità” o invece con Tiley e il suo “ci sono molti sport con molte competizioni a squadre nello stesso anno”. Ma a questa domanda volevo attaccarne un’altra e temendo di poter essere male interpretato me l’ero (insolitamente) scritta: b) se un tennista è invitato a giocare la Laver Cup e poi disputa l’Australian Open dove chiede un trattamento di favore a Tiley (un campo, un orario) non attirerebbe sospetti di… un possibile conflitto di interessi?Roger mi ha interrotto sorridendo: “Stai leggendo?”. E io: “Sì, perché avevo paura di dimenticare…”. La media manager dell’ATP Fabienne Benoit avrebbe voluto interrompermi per la lunghezza della doppia domanda… ma Roger ha gentilmente protestato: “No, no, mi piace ascoltarlo. È come la favola della buona notte (sorridente). Bella voce!”.
Allora sono andato avanti e ho concluso. E lui: “Dopo devi ripetermi la seconda risposta, era lunga e ho perso l’inizio perché non potevo credere che stessi leggendo! Ma lo capisco… dovevi essere molto preciso! La prima domanda era su…?”. “Parecchi eventi a squadre, Djokovic dice no…”, sintetizzo. “Beh, non abbiamo visto la nuova Coppa Davis ancora. Né la ATP Cup (lui la chiama ancora World Team Cup: hanno tenuto nascosto anche a lui il nuovo short name) che esisteva in Dusseldorf. Dobbiamo vedere… È un bene che ci siano tanti eventi, che si possa scegliere. Se i giocatori vorranno giocare la prima settimana dell’anno (dieci giorni in realtà) sarà entusiasmante. La Davis ha una storia così ricca, penseresti che i giocatori vorrebbero giocarla. Se ci saranno più eventi a squadra sono sicuro che i giocatori sono contenti. A tutti piace giocare insieme ad altri invece che per se stessi. Anche della IPTL molti hanno detto che era super divertente, insieme alle ragazze, Tre settimane, tanto divertimento. A volte a giocare questo sport individuale ti senti solo… vinci, guardi il tuo team, mostri il pugno in aria, ma sei solo. In Davis, Hopman Cup, Laver Cup giochi per gli altri, un Paese, è una sensazione diversa… E l’altra tua domanda quale era? Era lunga, voglio rispondere con precisione dal momento che la tua domanda era così precisa che hai dovuto scriverla!”.
E la sua risposta è poi stata: “Non penso possano esserci conflitti di interessi. Il torneo decide con l’ATP, considerano tutte le richieste che ricevono, le mettono a confronto con quelle delle tv, non so se gli sponsor per gli Slam… di solito sono le tv e qualche home market. Quindi non mi preoccupo per questi ma… certo ci sono conflitti di interesse in questo sport. Lo sappiamo. Sappiamo dove sono. Ci sono stati per tanto, tanto tempo. Non spariranno mai. Ma a quel proposito non credo ce ne siano”. E così, come ieri si era conclusa la conferenza di Djokovic dietro una mia piccola provocazione, si è conclusa quella di Federer.
Ho evitato di farne un’altra con Anderson, perché aveva perso e non mi pareva il caso, ma a proposito di conflitti di interessi posso dirvi che il direttore del torneo di Chengdu è letteralmente furibondo con lui. Anderson era la testa di serie n.1 e la star più attesa del torneo e solo pochi giorni prima dell’inizio del torneo, mentre era a Chicago per giocare la Laver Cup (ovviamente profumatamente pagato) ha dato forfait dicendo che non stava bene, non si sentiva di giocare. Un paio di giorni dopo ha battuto Djokovic nella Laver Cup. Così gli ho chiesto soltanto se – visto che la selezione della ATP Cup sarà fatta sulla base del ranking del numero uno di ciascuno Paese, e quindi il Sud Africa potrà certamente essere fra le 24 squadre che parteciperanno all’ATP Cup nel 2020 (sempre che lui sia uno dei primi 24 tennisti del mondo alla data di iscrizione) – non fosse senza compagni in grado di formare una squadra. “Ce li ho. Per il doppio c’è Raven Klaasen che è qui. Lloyd Harris è n.110 ATP, vicino a entrare in tabellone all’Australian Open. Poi un altro paio di ragazzi classificati fra n.500 e n.700…”.
Un sistema di selezione basato su un criterio automatico mi convince di più che quando c’era quello che distribuiva punti ATP per la Coppa Davis e la decisione di convocare un giocatore piuttosto che un altro spettava a un capitano, che poteva quindi favorire per vari motivi anche soggettivi un giocatore a discapito di un altro. Se un Paese, la Spagna o la Francia per esempio, ha più giocatori fra i primi 40 del mondo, i primi due vanno automaticamente in squadra, gli altri andranno a giocare gli altri tornei ATP (Doha…) in calendario. Ma sarà una scelta basata su criteri oggettivi. Vero che un giocatore peggio classificato potrebbe essere più uomo squadra di uno meglio, ma si rientrerebbe nella soggettività di un dirigente. E non sarebbe giusto. Semmai un regolamento andrà pensato anche per la convocazione di chi gioca il doppio: si seguirà il ranking del singolare o quello del doppio? Ci penseranno.
A oggi direi che la prima controindicazione di questo sistema che sceglie le nazioni partecipanti (tipico criterio da star system) sulla base del ranking del n.1 sta naturalmente nel fatto che in questo modo può venire prescelto fra i 24 Paesi uno che non ha un numero 2 dignitoso: come si deduce dal caso appena riferito del Sud Africa. O se si verificasse un altro caso tipo il Baghdatis top-ten di qualche anno fa. Che senso avrebbe avere una… Cipro fra le 24 nazioni in lizza per una sorta di campionato del mondo a squadre? Altra contraddizione: i giocatori hanno sempre sostenuto che la Coppa Davis avrebbe dovuto avere uno svolgimento biennale e non annuale. Ma ora la ATP Cup si giocherebbe ogni anno. Chiudo con un pensiero forse… egocentrico: quale giornale potrà mai permettersi di inviare un proprio cronista in Australia ogni anno dal 29 di dicembre a fine gennaio? E chiudendo davvero: a questi sponsor e organizzatori i giornali, i siti, danno solo fastidio. Costano, non pagano. Contano solo le tv che pagano salato per i diritti.