Essendo l’unico torneo della stagione che consente a un giocatore di rimediare a una sconfitta, le ATP Finals mostrano nei loro round robin un interessante campionario di contromosse. Che alla fine si rivelino vincenti, come nel caso di Roger Federer, che ha ribaltato la pessima partita inaugurale e si è imposto come primo nel gruppo Lleyton Hewitt, o soltanto buone per il morale, come in quello di Dominic Thiem. L’austriaco è stato comunque eliminato, ma ha perlomeno potuto salutare la O2 Arena con una bella vittoria. “Volevo semplicemente mostrare il vero me, perché due giorni fa avevo giocato malissimo” ha detto nell’ultima conferenza stampa del suo 2018. “Non mi sentivo a mio agio nell’aver giocato un match come quello di fronte a un pubblico così grande“.
Il trucchetto vincente per Thiem è stato il cambio di incordatura, aumentando la tensione per avere più controllo. “Specialmente contro Roger ho commesso errori a cui non potevo credere. Ho messo fuori delle palle che un giocatore del mio livello non dovrebbe mai sbagliare. Dovevo cambiare qualcosa e, non avendo nulla da perdere, ci ho provato. Per fortuna ha funzionato“. Il numero 8 del mondo sa che le sue prestazioni deludenti non sono state le uniche, tanto che in un eccesso di sincerità (che l’ATP non gradirà troppo) ha persino confessato di non aver visto “un solo bel match finora”. In effetti il livello di gioco è estremamente basso rispetto a quasi tutte le edizioni precedenti, incluse quelle in cui il livello dei partecipanti era stato di gran lunga inferiore.
Le ragioni per delle Finals finora sottotono sembrano essere due: la superficie dell’Arena, e la stanchezza dopo dieci mesi di un tour che si fa sempre più intenso (e non intende fare marcia indietro, come dimostra la querelle tra Laver Cup, ATP World Cup e nuova Coppa Davis). “L’off season è la parte più importante della stagione, l’unica in cui noi tennisti abbiamo davvero il tempo di allenarci per migliorare il nostro gioco” ha detto Thiem. È dello stesso avviso Federer, che addirittura sogna “cinque mesi per concentrarsi sul proprio gioco, massimizzare il proprio potenziale“. “Magari 72 ore fa non sembrava affatto, ma io amo giocare le Finals e cerco di programmarmi in modo da avere sempre un po’ di energie residue per giocarle al picco delle mie prestazioni“.
Esperienza, talento e fama permettono a Federer di avere piena consapevolezza di come gestirsi a breve e a lungo termine, consentendogli anche di compiere scelte di programmazione che ai suoi colleghi sarebbero precluse (come ad esempio saltare l’intera primavera su terra battuta). “Per alleggerire la stagione ci si può liberare di una ventina di tornei, ma non so proprio chi potrebbe volerlo. Oppure, come singoli, possiamo stabilire delle priorità in base a quanto sforzo fisico e mentale può sopportare il nostro corpo, e quanti viaggi. Non siamo stipendiati da un club. Se volessi andare in vacanza adesso, potrei alzarmi e uscire da quella porta e nessuno mi fermerebbe“. Un esempio estremo, che calza soltanto in parte: altri probabilmente sarebbero scoraggiati da una maxi-multa.
Il doppio problema delle Finals, intanto, quello delle condizioni di gioco e della fatica accumulata in un colpo solo… non allenandosi. Dopo il pessimo esordio contro Nishikori, il trentasettenne ha domandato al suo team quale genere di allenamento avessero in mente per il giorno seguente, nel quale non sarebbe sceso in campo. Loro gli hanno proposto un day off, lui ha accettato e alla fine si è reso conto di quanto questo lo abbia “rilassato, motivato e reso felice in campo”. “Ieri non mi sono allenato” ha detto dopo essersi preso la testa del girone, “e dubito lo farò domani. Ho giocato così tanto in carriera, e in stagione, che semplicemente non sento l’urgenza di lavorare ancora in allenamento. Al punto in cui mi trovo ora, tutto si basa sui match“.
Federer ha anche suggerito come alla base della sua scelta ci sia la difficoltà di allenarsi sul campo centrale, quasi sempre occupato dagli incontri o in allestimento per quelli successivi, e la scarsa utilità di farlo su quelli secondari, troppo diversi per temperatura, installazione della superficie, e così via. “Quando giochi indoor sei sempre alla ricerca del ritmo. Può essere frustrante perché è un tennis veloce, senza scambi lunghi. Spesso la chiave sta in come la tua testa reagisce al perdere molti punti in modo molto veloce, come metabolizzi la cosa“. La sfida tra lui e Kevin Anderson è andata più o meno così, con tanti quindici rapidi e addirittura due break a zero subiti dal sudafricano, che pure è dotato di uno dei servizi migliori dell’intero circuito.
Non c’è stato un vero sconfitto, perché entrambi si sono qualificati per le semifinali. Quasi certamente però il risultato di ieri significa per Anderson doversela vedere da subito Novak Djokovic, invece di poter sperare di incrociarlo (o evitarlo) in finale. Pur dando l’impressione di essere quello con più chance di batterlo, Anderson di certo non partirebbe favorito. Un tempo giganti come lui avrebbero concluso ogni punto a rete, mentre lui rimane a debita distanza. “Ho giocato tutta la vita da fondo campo. Credo che c’entri con la mentalità con cui inizi a giocare da ragazzino. Con gli anni però sto cercando di venire più spesso in avanti. Tanti giocatori alti come me stanno imparando a muoversi incredibilmente bene“. Cambiare tattica funzionerà anche per lui?