Più si va avanti, più il margine di miglioramento si riduce. Ed è affidato ai dettagli. Lo spostamento passa dai metri ai centimetri, dai numeri interi ai decimali. Ai vertici di ogni ambito sono i particolari a fare la differenza e questo accade anche nel tennis di vertice. Dove vince chi sbaglia di meno, perché comunque si sbaglia tanto. Il report statistico di fine anno dell’ATP mette in evidenza un aspetto che non risulta così immediato a un livello d’analisi superficiale: i top 10 perdono quasi un punto su due. Su un totale di centomila (o poco più) punti giocati, quelli vinti sono appena il 53 per cento.
Guardando al podio del ranking, è Nadal a vantare la percentuale migliore (55.4%) pur avendo giocato nove partite in meno rispetto a Federer (54.4) e ben 16 rispetto al numero uno Djokovic (54.5). Il dato medio dei Fab Three è di 54.7 è rende l’idea di quale sia la distanza a separarli dai più immediati inseguitori: Alexander Zverev, quattro del mondo, è andato a segno nel 52.8% dei casi ed è quello che ha giocato più di tutti (77 partite). Dallo stesso Zverev a John Isner, quindi dal quarto al decimo in classifica, il livello si abbassa al 52.2%. C’è quindi un gap di due punti e mezzo percentuali (54.7 contro 52.2) a separare i tre fenomeni da chi gli sta a ruota. Tornano a questo punto in mente le parole di Craig O’Shannessy, il mago dei numeri del clan Djokovic, che agli US Open ha raccontato qualcosa di molto interessante al nostro Luca Baldissera. “I migliori al mondo vincono in un anno circa il 90% dai match, ma lo fanno mettendo a segno appena il 55% dei punti. Djokovic nel 2015 ha fatto 82 vittorie e 6 sconfitte, era una belva – le parole dell’analista ATP -, ma se andiamo ad analizzare i cosiddetti anni da Superman, come quello, e come anche certi di Nadal al Roland Garros, vediamo che per ottenere prestazioni incredibili tutto quello che ci è voluto è stato passare dal 55% al 56% dei punti vinti”.
O Shannessy ha elaborato così una vera e propria “regola del 55”, che si integra con l’altro ben noto teorema dei “four shots”: entro i tre scambi dopo il servizio si risolvono il 70% dei punti, dal quinto all’ottavo colpo il 20% e oltre il nono solo il 10%. In realtà, al netto dei possibili arrotondamenti, i dati sul 2018 sembrano leggermente al ribasso visto che al 56% non ci è arrivato nessuno, anzi non è stato toccato nemmeno il 55%. Stesso discorso per la percentuale di match vinti: comanda anche qui Nadal, che ne ha persi solo quattro su 49. A conquistare il maggior numero di incontri è stato lo stakanovista Zverev (58/77), fermandosi però al 75.3%. Anche da questa particolare classifica emerge, con proporzioni ancor più nette, il gap che separa i tre che si sono alternati al numero uno dal resto della truppa. Djokovic, Nadal e Federer hanno vinto l’85.3% dei loro incontri, mentre la media degli altri sette top 10 si attesta al 70.4%. John Isner, 10 ATP, ha perso ben 22 volte nei 56 incontri disputati chiudendo il 2018 con un non entusiasmante 60.7% di successi.
FOGNINI: QUANTO MANCA ALLA TOP 10? – Viene così offerta da questi dati un’altra unità di misura della distanza che ha separato Fabio Fognini, comunque tornato al suo best ranking (13), dal sognato ingresso tra i primi dieci. Il numero uno azzurro ha chiuso l’anno solare scendendo in campo 68 volte nel circuito con 46 vittorie (67.6%). Un dato percentuale che lo mette sostanzialmente alla pari di Nishikori e Cilic e addirittura più avanti del buon Isner. Anche nel calcolo dei punti vinti Fognini non sfigura: col suo 51.4% è chiaramente distante dalla media percentuale dei primi tre, ma non poi così tanto dagli altri. Il suo dato è addirittura migliore rispetto a quelli di Thiem e Isner. Chiaramente, sono rilevazioni statistiche che non possono avere correlazione diretta e assoluta con il ranking, visto che vanno filtrate su due livelli: la tipologia dei tornei in cui si conquistano le vittorie e i punti da difendere. Da questo punto di vista, la differenza si può misurare partendo dagli Slam del 2018 in cui Fabio ha vinto nove partite spingendosi fino agli ottavi (miglior risultato) a Parigi e Melbourne. La media di incontri vinti dai top 10 nei major è di 14.7 e nessuno è sceso sotto quota dieci (Zverev, a suo modo un’anomalia). Il salto di qualità nel 2019 passa dai grandi appuntamenti.