Gli Slam non riescono proprio a parlare la stessa lingua, nonostante esista un organo – il Grand Slam Board – preposto a favorire il dialogo tra i quattro tornei allo scopo di ottenere uniformità, di intenti e di regolamenti. Dopo che Wimbledon aveva deciso in ottobre di implementare il tie-break al set decisivo, senza conformarsi però allo US Open e piazzandolo sul 12-12, anche l’Australian Open ha ceduto. L’ormai chiacchieratissima semifinale londinese tra Anderson e Isner, i lamenti di alcuni giocatori e probabilmente anche l’intenzione di non fare la figura dei retrogradi al cospetto dello Slam londinese, la culla della tradizione che ha abbracciato il cambiamento prima degli altri, hanno convinto i vertici del torneo di Melbourne a eliminare l’oltranza e affidarsi al tie-break per risolvere il quinto set. Con una particolarità, però: il jeu decisif si disputerà regolarmente sul 6-6 ma utilizzando la formula adottata dal doppio, ovvero il ‘super tie-break’ in cui vince chi arriva per primo a 10.
QUATTRO REGOLE PER QUATTRO SLAM – L’Australian Open ha ottenuto il benestare del Board per introdurre il tie-break al quinto set, ma a decidere se il nuovo regolamento potrà entrare in vigore già dal prossimo 14 gennaio – giornata di inizio del torneo – saranno i giocatori, che hanno avviato le canoniche consultazioni. Sembra possibile – se non addirittura probabile – che il cambiamento possa essere ufficializzato ma rinviato all’edizione 2020, lasciando sperimentare al torneo che inizierà tra poco più di un mese il ‘nuovo’ tie-break soltanto nei match di qualificazione e nel torneo junior. Un po’ come avviene per tutte le novità di regolamento, che prima di essere assorbite dal torneo dei grandi vengono affidate al setaccio del torneo cadetto e di quello riservato ai più giovani.
2019 e 2020 che sarà, e a meno che il Roland Garros diffonda qualche annuncio a sorpresa nei prossimi giorni, una cosa è certa: i quattro Slam affideranno le sorti dei propri set decisivi a quattro regolamenti diversi. Un quadro che fotografa alla perfezione la mancanza di uniformità tra i quattro Major, oltre che suggerire una certa mania di protagonismo che nel recente periodo sta affliggendo un po’ tutti gli organi della governance tennistica.
IN FONDO, PERCHÉ? – Tra i corridoi di Melbourne, come suggerisce un articolo del Times, potrebbero essere giunte le perplessità espresse da coloro che hanno ritenuto bizzarra e troppo arbitraria la scelta di Wimbledon di sistemare il tie-break sul 12-12. Fermare le ostilità sul 6-6, come accade regolarmente dal 1976 in tutti i set in cui alcun giocatore riesce a staccare l’altro di due game, è quindi nell’ordine delle cose; perché però stravolgere la natura del tie-break trascinandolo fino ai dieci punti (salvo oltranze)? Al momento questa incombenza spetta solo ai doppisti, che giocano il super tie-break in luogo del terzo set. Qualcuno deve aver pensato che sette punti sono pochi per decidere un incontro a livello Slam, che potenzialmente potrebbe valere anche un titolo. Non certamente Kevin Anderson, che dopo aver sperimentato sulla propria pelle il logorio di un set da cinquanta game ha serenamente affermato che ‘se un incontro non si è ancora deciso sul 6-6 del quinto set, credo sia quello il momento giusto’. La sensazione che Anderson abbia ragione resta, oltre al sospetto che in questa decisione degli australiani vi sia lo stesso eccesso di arbitrarietà (e protagonismo?) imputato a Wimbledon.
In attesa che anche il Roland Garros crolli sotto i colpi della modernità, l’Australian Open si prepara a sigillare il libretto dei record dei quinti set. Se il super tie-break verrà introdotto già dal 2019 i cinque incontri maschili e sette femminili che hanno raggiunto l’oltranza quest’anno rimarranno gli ultimi della storia del torneo, mentre a conservare per il resto dei suoi giorni la palma di quinto set più lungo dell’Australian Open sarà il 22-20 che Karlovic ha inflitto a Zeballos in uno dei primi turni dell’edizione 2017. Con i suoi 84 giochi disputati è stato anche il più ‘denso’ della storia dello Slam australiano sebbene non il più lungo: le 5 ore e 53 della finale 2012 tra Djokovic e Nadal resistono, e probabilmente resisteranno ancora per molto.
A.S.