Chiudere il 2017 come terzo giocatore del mondo e dodici mesi dopo ritrovarsi diciannovesimo: cose che capitano a Grigor Dimitrov. Tre del ranking, per di più a fine anno e, come se non bastasse, nell’era dei fab four. Certo, in un contesto lavorativo verrebbe definita una “posizione aperta” perché Djokovic e Murray si erano chiamati fuori dalle competizioni dopo Wimbledon, ma ciò non ha fatto altro che alimentare combattività e speranze in un numero maggiore di candidati e la grandezza del risultato è dimostrata da quanti fossero riusciti nell’impresa durante i dieci anni precedenti: solo Ferrer nel 2013 e Raonic nel 2016. Non è stato quindi il tonfo più clamoroso dell’anno? Senza dimenticare che David chiuse la stagione successiva al decimo posto mentre gli infortuni fecero precipitare Milos al numero 24, lasciamo in sospeso la domanda per ricordare i tre punti salienti della scalata bulgara alla classifica.
COME ERA ARRIVATO SUL PODIO – Il più bello del circuito secondo la maggior parte dei suoi colleghi aveva iniziato il 2017 regalando al pubblico la magnifica semifinale di Melbourne contro Rafa Nadal, anche se di giocare una grande partita e perderla sono capaci (quasi) tutti; poi, il trionfo al Masters 1000 di Cincinnati, la sua vittoria più prestigiosa eppure già superata tre mesi dopo dal titolo alle Finals di Londra. Alla O2 Arena, l’avversario in finale era un Goffin in grande spolvero che il giorno prima aveva battuto Federer e, seppur inutilmente, dominato Tsonga e Pouille nella finale di Coppa Davis a Lille; ciononostante, Dimitrov è riuscito a imporsi sul belga in particolar modo grazie a una prestazione atletica strepitosa che gli ha permesso di vincere punti pesanti in difesa. Insomma, per quanto il dritto abbia indubbiamente fatto la sua parte, è stato un match – e soprattutto un terzo set – in cui ‘Master Grisha’ ha remato che neanche i fratelli Abbagnale nelle cronache di Giampiero Galeazzi. Tuttavia, per vincere in quel modo con continuità, restando imprescindibile la condizione fisica sempre al top, occorrono anche una forza mentale superiore, un’attenzione che faccia capire in anticipo i momenti di svolta del match e la freddezza, oltre che la lucidità, per approfittarne magari con cambi di atteggiamento tattico. Dimitrov ha infine fatto proprie quelle caratteristiche che, storicamente, non lo hanno mai contraddistinto nel circuito se non per la sporadicità con cui le trovava? Si potrebbe mettere momentaneamente da parte anche questa domanda, ma la risposta – che non necessita di un allarme spoiler – è no.
COSA NON HA FUNZIONATO – Se l’abuso di difesa e rovescio slice, peraltro inizialmente giustificato dacché si parla delle armi che gli hanno consegnato le Finals, può essere considerato un abbaglio di natura tattica, il primo problema di quest’anno è da ricercarsi nella seconda palla di servizio sia in termini assoluti sia rispetto alla carriera. Grigor ha chiuso al n. 88 la classifica per percentuale di punti vinti con la seconda, seguito a ruota da chi ha avuto problemi alla schiena (Berdych e Rublev) o è sul viale del tramonto (Lopez, Muller, Benneteau), mentre la sua media in carriera lo metterebbe al 43° posto. Per quanto riguarda invece il numero di doppi falli per incontro, solo in quattro hanno fatto peggio di lui nella stagione, laddove, avesse mantenuto il dato medio in carriera, non comparirebbe fra i trenta più fallosi. Ragionando per ipotesi, qualcosa nel meccanismo del servizio potrebbe essersi inceppato, verosimilmente a causa della pressione delle promesse di inizio anno o per l’infortunio alla spalla che lo ha costretto al ritiro dal torneo di Sofia all’inizio di febbraio e forse comparso già in Australia con il picco dei 15 doppi errori nei quattro set contro Andrey Rublev. Un’altra criticità è rappresentata dall’alto numero di gratuiti in cui è frequentemente incorso, un handicap particolarmente grave per un giocatore che vorrebbe riproporre le prestazioni da ribattitore delle “sue” Finals e in ogni caso dotato di colpi non così devastanti.
Guardando i risultati di quest’anno, anche quelli migliori non sono esenti da “però”: nei quarti a Melbourne ha perso da favorito contro Kyle Edmund dopo aver rischiato al secondo turno con Mackenzie McDonald (8-6 al quinto set); in finale di Rotterdam è stato annichilito da Roger Federer; dopo la semifinale a Montecarlo, sconfitto nettamente da Nadal, non ha raccolto molto altro sulla terra battuta; malissimo sull’erba, ha terminato con un saldo vittorie-sconfitte negativo la stagione sul duro (sommando indoor e all’aperto). L’ottima performance nella sconfitta contro Novak Djokovic a Cincinnati non fa che confermare l’intermittenza con cui esprime il suo potenziale e sospettare che, spesso, questo non sia comunque abbastanza.
CREDIBILITÀ DELLE ASPETTATIVE – Tornando alla domanda iniziale, vale a dire se sia da ritenersi il vero flop ATP in virtù non solo del risultato raggiunto e perduto, ma anche delle aspettative create dalla prova di forza e dalla convinzione espresse sul campo, la risposta non è affatto scontata e richiede invece la formulazione di un nuovo quesito: si può ancora parlare di promesse non mantenute da parte di Grigor Dimitrov? I dubbi che hanno tenuto banco quest’anno spaziano dai fab tra età, guai fisici e di motivazione (che non hanno comunque impedito ai soliti tre di accaparrarsi tutti i major) ai giovani che forse arrivano e forse no, dal rapporto di Sascha Zverev con gli Slam a quello di Thiem con il cemento; tante e diverse questioni fra le quali il tradimento delle aspettative di Grigor non ha quasi trovato spazio, come del resto il bulgaro non ne ha trovato fra quelli che hanno deluso – non solo per guai fisici ma, in un paio di casi, perché avevano raggiunto posizioni nel ranking obiettivamente superiori al tennis che normalmente possono esprimere. Se la sua caduta non ha fatto rumore nonostante quanto fatto vedere e ottenuto nella stagione precedente, forse significa che le promesse dell’ex “baby Federer” non sono più credibili e ciò è peggio che essere considerato il fiasco dell’anno.
IL LATO POSITIVO – La scarsa continuità di Dimitrov può anche essere vista da un’angolazione favorevole perché dimostra che da sempre è pronto a rialzarsi, non importa quanto rovinosa sia la caduta. All’ottimo 2014 della semifinale a Wimbledon che gli è valsa il primo ingresso in carriera nella top 10, ha fatto seguito un lungo periodo anonimo in cui è scivolato al n.40 del luglio 2016 – il punto più basso in tre anni e mezzo – dal quale ha saputo risalire costantemente fino a diventare il terzo giocatore del mondo. Allora, Grigor, non resta che confermarti con le migliori intenzioni, a dispetto dell’apparente poco clamore suscitato, che sei tu il vero flop ATP del 2018. Ma questo lui già lo sapeva, così come è convinto di poter riproporre quel livello, e l‘inserimento di Andre Agassi nel team ne è la prova. Con il dominio dei fab la cui eternità è altamente improbabile e la nuova generazione che scalpita, il prossimo anno potrebbe passare l’ultimo treno per un’affermazione che lasci davvero il segno. Questa volta, però, deve farsi trovare con in mano il biglietto giusto.
CHE DIRE ALLORA DELL’EX VICE-MAESTRO? – Come e più del quasi coetaneo Dimitrov, nel finale del 2017 aveva impressionato David Goffin. Nel suo caso, è stata la cattiva sorte a mettersi di traverso – e comincia a diventare una costante nel fortunoso percorso di Goffin degli ultimi diciotto mesi. Sconfitto inopinatamente al secondo turno dell’Australian Open da Benneteau (e dal caldo), si ritira durante la non-rivincita contro Grisha a Rotterdam quando colpisce male una volée e la palla lo centra all’occhio sinistro. Rientra un mese dopo a Miami e perde 6-0 6-1 da Joao Sousa. Sì, perché il tennista di Rocourt ha bisogno di giocare parecchi incontri prima di ritrovarsi tornando da uno stop per infortunio. Lo stesso era accaduto nel 2017 dopo l’incidente alla caviglia del Roland Garros: a Umago, superato a fatica Attila Balazs (che fa paura solo per il nome), perse da Ivan Dodig il quale, ormai solo doppista, a malapena si ricordava di andare a rispondere a sinistra. E via così fino all’autunno. Quest’anno, invece, dopo due sconfitte e zero vittorie sull’erba, arriva in semifinale a Cincinnati contro Federer e si ritira all’inizio del secondo set per un problema al gomito destro (scoprirà poi essere un edema osseo) che lo costringerà a chiudere in anticipo la stagione. Non è certo il caso di inserire una fattucchiera nel team, ma teniamo le dita incrociate per goderci il suo tennis durante l’intera prossima stagione.