Senza precedenti
Australian Open 2018, terzo turno fra Agnieszka Radwanska e Hsieh Su-Wei (che vincerà 6-2, 7-5). Posso sbagliare perché non ho certo la pretesa di conoscere tutta la casistica arbitrale di questi anni ma, per quanto mi riguarda, l’episodio accaduto durante questo match è senza precedenti: non ricordo un’altra situazione in cui l’intervento del supervisor abbia determinato il cambiamento della chiamata del giudice di sedia. Si sa che il supervisor fa sempre le stesse due cose: a parole cerca di calmare il giocatore che lo ha richiesto; nei fatti si limita a confermare quanto deciso dall’arbitro. Ma non in questo caso.
Tutto si svolge sul 6-2, 1-0. Hsieh indirizza una palla vicino alla riga. Il giudice di linea la chiama fuori, ma l’arbitro (l’australiano Tom Sweeney) interviene con una overrule, assegnando il punto a Hsieh: ha ritenuto, a torto, che Radwanska non avrebbe potuto rimandare la palla (cosa invece accaduta). Inevitabilmente Aga protesta, fino a richiedere il supervisor. Inizialmente la supervisor sembra procedere di routine, ma poi, forse per l’espressione poco convinta dell’arbitro, invece che confermare la chiamata, gli chiede “Sei sicuro?”. E con molta onestà l’arbitro ammette di non ricordarsi se Aga abbia o no rimandato la palla.
QUI IL VIDEO (se non parte da solo, nella pagina che si apre cliccare prima su “Videos” e poi su “Agnieszka Radwanska rants with umpire”)
Profonda stima da parte mia per i due giudici, perché invece che recitare in campo la solita procedura prestabilita, si mettono senza preconcetti a ripercorrere la vicenda. Con il giudice di sedia che ammette il proprio limite, aprendo la porta alla sollecitazione della supervisor; così si arriva al cambio della chiamata: da punto in favore di Hsieh, a punto rigiocato.
Questo video era stato caricato su Youtube nel canale ufficiale degli Australian Open, ma poi è stato cancellato. L’ho recuperato direttamente nelle “pieghe” del sito e infatti il il filmato compare con una sovrascritta: “16.02.2018 – Deactivated at request of Officials Team”. Censura? Se così fosse, per me sarebbe una scelta incomprensibile, visto che lo ritengo un esempio positivo di arbitraggio.
Perché secondo me l’obiettivo di tutti gli attori coinvolti (giudici di linea, giudici di sedia, supervisor) dovrebbe essere innanzitutto sbagliare il meno possibile. Ma siccome siamo umani, gli errori prima o poi accadono: l’importante è riconoscerli e fare di tutto per minimizzarli. E in questo caso è proprio ciò che è successo.
Cicak perde la bussola
Ecco un episodio che si può definire “a lieto fine”, anche se di tutti i casi strani che ricordo degli ultimi anni, questo è forse il più grottesco. E molto sorprendente, visto che coinvolge uno degli arbitri considerati (secondo me a ragione) tra i migliori del circuito, se non la migliore in assoluto in WTA: Marija Cicak.
Doha, match fra Agnieszka Radwanska e Mona Barthel (vincerà Radwanska 3-6, 6-3, 7-5). Terzo set. Nel settimo game, sul 4-2 Radwanska, Cicak perde la bussola: si disputano cinque punti, e in quattro di questi enuncia il punteggio sbagliato. Fin dall’inizio: comunica 15-0 invece che 0-15. È corretto il 15 pari, ma poi sbaglia di nuovo: 30-15 invece di 15-30. Da quel momento si porta dietro il pasticcio: 40-15 invece di 30-30 e game assegnato invece di 40-30. Durante gli scambi le giocatrici sembrano non farci caso, e in fondo è anche comprensibile, visto che si può pensare che tengano mentalmente lo score senza ascoltare quello ufficiale. Ma poi al momento dell’assegnazione sbagliata del game dimostrano di non essere nemmeno loro attente al punteggio, tanto che Aga si rende conto del pasticcio solo quando dal suo angolo glielo fanno presente.
Allora finalmente Radwanska rimette insieme le tessere del puzzle, ricostruendo la sequenza nel modo esatto, e scoprendo di non avere ancora perso il game. Cicak non sa cosa replicare: anche la sua espressione conferma che non ha sotto controllo la situazione. Inevitabile la richiesta del supervisor. Però non è necessario attendere il suo arrivo per risolvere la situazione. Non mi è del tutto chiaro cosa accade in questi secondi: forse è Barthel che prende l’iniziativa, riconoscendo che la ricostruzione di Radwanska è corretta. O forse è dall’angolo di Mona che accettano la fondatezza della protesta. Le due tenniste, quasi in “autogestione”, rimettono le cose a posto, e si torna a giocare. Tutto sistemato? Non ancora, visto che Cicak riparte con un punteggio sbagliato: annuncia 30-40 invece di 40-30. Di nuovo indicazione esterna, e finalmente si rientra nei binari corretti.
Una sequenza di errori quasi incredibile, soprattutto perché la protagonista è Marija Cicak, che è diventata famosa e apprezzata anche per la sua eccezionale capacità di avere sempre tutto sotto controllo. Ma, come si dice in questi casi, Quandoque bonus dormitat Homerus.
C’è però un altro aspetto della questione da considerare, che richiede una breve premessa. A mio avviso il bravo arbitro è quello che innanzitutto fa la chiamata corretta, anche se a volte per arrivarci deve ragionare con elasticità rispetto alle indicazioni del regolamento. Lo dico perché Radwanska si rende conto dell’errore grazie a un input che proviene dal suo angolo. E applicando alla lettera le regole, una giocatrice non può comunicare con il proprio angolo durante il match. Può parlare con l’allenatore solo durante l‘on court coaching. Altre comunicazioni non sono previste e ammesse. E se pensate che questo aspetto sia irrilevante, guardate questo episodio, accaduto agli Australian Open 2018:
L’arbitro, la francese Aurelie Tourte, rifiuta la richiesta di challenge. E la rifiuta non perché sia arrivata troppo tardi (i tempi sono obiettivamente del tutto accettabili), ma perché Gavrilova consulta visivamente il proprio angolo. Questa decisione della giudice di sedia è corretta, in punta di regolamento. Ma che i giocatori si scambino un’occhiata di verifica con il proprio allenatore è una cosa che abbiamo visto spessissimo, e che è normalmente accettata dal giudice di sedia.
Penso che gli arbitri dovrebbero mettersi d’accordo fra loro: seguire certe regole con elasticità o invece alla lettera, con il massimo rigore? Con il metro della giudice francese, Cicak avrebbe potuto dire ad Aga: “Mi spiace, avresti dovuto lamentarti del punteggio sul momento, invece lo hai fatto solo dopo indicazione del tuo angolo. Cosa non consentita: quindi non accolgo la tua protesta. Game chiuso”.
Sono due modi di arbitrare differenti. Per quanto mi riguarda, preferisco l’atteggiamento di Cicak a quello di Tourte, perché, lo ripeto, penso che il fine ultimo di un arbitro sia minimizzare gli errori, riducendo i torti in campo; mentre a volte alcuni giudici di sedia sembrano abbiano invece come scopo il rispetto del regolamento alla lettera, anche a costo di aumentare le chiamate sbagliate.
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