A che serve il giudice di sedia?
Montreal, primo turno. Kvitova b. Kontaveit 6-3, 6-4. Set point (primo set, punteggio 5-3, 40-0): Kvitova serve una prima a uscire che rimbalza ampiamente buona, dentro al rettangolo di battuta di qualche spanna. Eppure le viene chiamata out, fra l’incredulità non solo sua, ma anche di Kontaveit; e l’inerzia del giudice di sedia. Ci vorrà il falco per far rigiocare la prima di servizio. Ecco la sequenza:
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Si può sbagliare una valutazione anche in modo evidente, ma arrivare a questi livelli è davvero difficile. Kvitova, forse anche per il margine di vantaggio tranquillizzante, la prende con filosofia, ma la cosa rimane comunque doppiamente grave.
Doppiamente grave perché i problemi sono due. Il primo: mi viene da pensare che il giudice di linea abbia sbagliato la posizione di attesa e si sia trovato coperto da Kontaveit nel momento del rimbalzo della palla. Brutto errore, anche perché si dovrebbe sapere che una mancina può eseguire quel tipo di servizio. Un brutto errore che però dovrebbe avere un destino ineluttabile: l’overrule del giudice di sedia.
E qui arriviamo al secondo problema. A mio avviso chi ne esce peggio è l’arbitro principale, il brasiliano Fabio Souza. In questo caso non riesco a trovare giustificazioni, è semplicemente indifendibile. Su una palla del genere è obbligatorio intervenire con la correzione. Un giudice di sedia che non fa overrule su una palla dentro di 30-40 centimetri è un giudice che sta dimostrando di essere inutile. Allora tanto vale mettere un annunciatore che si limita a leggere il punteggio, se la persona che dovrebbe sovrintendere alla regolarità del match rimane a guardare anche in un caso come questo.
Il pasticciaccio brutto del Foro Italico
La chiamata di Montreal si candidava a essere la peggiore dell’anno se non ci fosse stato il fattaccio di Roma. Una serie di decisioni a catena in cui i responsabili dell’arbitraggio hanno finito per partorire una decisione così sbagliata da far uscire dai gangheri una giocatrice correttissima come Karolina Pliskova, di fatto indirizzando in parte il destino del match (vincerà Sakkari 3-6, 6-3, 7-5).
Ecco la vicenda. Punti finali della partita fra Pliskova e Sakkari; siamo sul 5-5, 40 pari, servizio Pliskova. Karolina effettua uno smash imprendibile che rimbalza dentro al campo (all’interno della linea). La giudice di linea però lo chiama fuori. Sulla terra non è previsto il falco, ma si può verificare direttamente la traccia lasciata. Di fronte alle rimostranze di Pliskova, l’arbitro (la polacca Marta Mrozinska) scende in campo e chiede alla giudice di linea di venire a indicare il segno.
E qui comincia il patatrac: la giudice di linea non è in grado di individuare alcun segno. A quel punto l’arbitro conferma la chiamata originaria, a favore di Sakkari. C’è però un aspetto fondamentale da sottolineare, che scopriremo da una inquadratura che non compare nel video, mostrata in seguito dal regista di Supertennis. La ragione per cui la giudice di linea non è riuscita a trovare alcun segno è perché la zona in questione è completamente sgombra. Tutti i segni di rimbalzo sono interni, dentro al campo. E anche l’arbitro, parlando a Pliskova, dice: “I don’t have a mark”.
Visto che uno smash deve per forza lasciare il segno, di fronte a un corridoio senza tracce di rimbalzo, all’arbitro basterebbe fare 2+2 per capire come è andata, senza il minimo dubbio. Invece decide di non tenerne conto: prosegue con la rigida applicazione delle regole, dritta verso una decisione corretta nella procedura, ma sbagliata non solo nella sostanza, ma anche e soprattutto per la logica.
I passi successivi sono i soliti: protesta di Karolina, che richiede il supervisor. La supervisor come sempre spalleggia la giudice di sedia, e Pliskova si trova con un vincente trasformato in un quindici perso. Senza pretendere che si arrivasse alla assegnazione del punto a Karolina, a mio avvisto c’erano i dati di fatto sufficienti per farlo almeno rigiocare.
Pliskova perderà la battuta e poi la partita. E sicuramente non è stata orgogliosa di avere perso anche il suo aplomb quando a fine match ha preso a racchettate il seggiolone. Però mi auguro che la giudice di sedia abbia seriamente riflettuto su come ha scelto di procedere. Vista da fuori la sequenza di decisioni (prese contro l’evidenza logica) sembra concepita per mettere alla prova i limiti di autocontrollo di una giocatrice che sta affrontando un match importante in un finale testa a testa.
Per quanto mi riguarda, lo ribadisco, penso che il primo obiettivo di un giudice di sedia sia minimizzare gli errori, e non applicare il regolamento acriticamente, senza interrogarsi su che cosa questa applicazione acritica stia producendo. E mi pare che in alcuni esempi precedenti (quelli con Radwanska protagonista, a Melbourne e Doha), si sia visto che si può essere più efficaci nel gestire le situazioni per arrivare a produrre decisioni migliori. Migliori perché, semplicemente, più giuste.