1 – la semifinale raggiunta nelle ultime sette stagioni da Vera Zvonareva, prima di riuscirvi nuovamente scorsa settimana a Shenzhen. L’ex numero 2 del mondo e finalista nel 2010 a Wimbledon e US Open, solo due anni fa a Tashkent era andata cosi avanti in un torneo del circuito maggiore. La russa classe ’84 aveva già dato segnali di rinascita importanti lo scorso ottobre, quando, a distanza di più di sette anni dall’ultima volta, aveva sconfitto nel torneo di Mosca una top 10, Karolina Pliskova. Vera ha vinto 12 titoli di singolare in carriera e ad aprile 2015, stremata dai continui infortuni – il più grave alla spalla destra, per il quale fu costretta ad operarsi e a saltare tutto il 2013 – giocava il suo ultimo torneo a Katowice. Decideva di concentrarsi su altre attività extra tennistiche (ha due lauree e si occupa di associazioni no profit) e di dare una svolta alla vita privata: si sposava e dava alla luce una bimba. Poco alla volta, però, il suo amore per il tennis è emerso nuovamente fuori e già nel 2017 è stata nuovamente nel circuito, chiudendo l’anno a ridosso delle prime 200. Nel 2018 a Wimbledon è tornata a giocare uno Slam dopo tre anni e mezzo, sfiorando il ritorno nella top 100 dove manca dal 2013. Il 2019 premierà in tal senso questa rincorsa fatta per amore del suo sport. A Shenzhen, intanto, per raggiungere la semifinale ha dovuto sconfiggere una sola tennista dal buon ranking, la thailandese Khumkum, 66 WTA, eliminata al primo turno con un duplice 6-3. Paradossalmente sono stati più difficoltosi i successivi successi contro due qualificate, la serba Jorovic (7-5 4-6 6-4) e la russa Kedermetova (4-6 7-5 6-3). Nel penultimo atto del torneo si è arresa alla Riske: debilitata da un infortunio all’anca sinistra, dopo aver perso i primi sette giochi, ha lasciato spazio alla statunitense, che ha guadagnato la terza finale a Shenzen, poi vinta da Sabalenka. Vera è in ogni caso un bellissimo esempio per chi vuole essere mamma e sportiva professionista.
2 – le ex numero 1 sconfitte da Bianca Andreescu, la 18enne canadese (di chiare origini rumene) nel corso del suo cammino per arrivare alla finale di Auckland. Si era fatta conoscere già nel 2o17, anno nel quale vinse da juniores due titoli di doppio (Australian Open e Roland Garros). Tra le pro, nella stessa stagione riuscì a qualificarsi a Wimbledon e conquistare i primi sei match giocati tra singolare e doppio in di Fed Cup (nel gruppo I), per poi sconfiggere nella stessa competizione, a nemmeno 17 anni, l’allora n.51 Shvedova. Due anni fa salì sino al 143° posto del ranking, collezionando scalpi prestigiosi come quello di Giorgi e Mladenovic (quando era tredicesima). Il 2018 è stato un anno di fisiologico assestamento, nel quale ha conquistato comunque due tornei ITF e altrettante finali nella stessa categoria, risultati che le hanno permesso di chiudere come 152 WTA. A Auckland è stata innanzitutto brava a qualificarsi: dopo aver superato due giocatrici non nella top 200 come Kucova e Foulis, in tre set ha avuto la meglio su Siegemund. Nel tabellone principale si è poi superata, sconfiggendo in due parziali una top 60 come Babos (6-4 7-6) e soprattutto la terza giocatrice al mondo, Wozniacki (duplice 6-4). Nei quarti in tre set ha avuto la meglio, rimontando un parziale, su Venus Williams (6-7 6-1 6-3), 38 WTA, mentre in semifinale si è imposta in due set (duplice 6-3) sulla Hsieh, 28 WTA. Arrivata all’atto conclusivo (quinta ‘millennial’ a riuscirci dopo Potapova, Danilovic, Yastremska e Anisimova) si è arresa solo in tre set a Georges, vincitrice 2-6 7-5 6-1. Ça va sans dire: ne risentiremo parlare.
7 – i tennisti italiani che hanno partecipato ai tornei in programma nella prima settimana della nuova stagione. Solo due di loro, però, hanno vinto una partita nei main draw: infatti, Quinzi ha perso al secondo turno di quali a Pune da Roger-Auliassine, Arnaboldi e Moroni sono stati invece fermati all’esordio del tabellone cadetto dell’ATP 250 di Doha. Inoltre, nel tabellone di singolare del torneo qatariota non hanno raccolto nemmeno un set Lorenzi (ripescato dopo aver perso da Berankis nelle quali), Berrettini e Seppi, rispettivamente eliminati da Verdasco, Bautista Agut e Rublev. Le buone notizie sono arrivate innanzitutto da Simone Bolelli: il 33enne bolognese, 141 ATP, nel 2018 aveva giocato solo in quattro tabelloni principali e, da agosto in poi, aveva vinto pochissime partite. In India senza perdere un parziale ha sconfitto due top 200 come Schnur e Ofner e, una volta qualificatosi, sempre in due set (duplice 6-4) si è imposto su Istomin. Nel secondo turno ha però lottato solo un parziale (7-5 6-0) contro Munar, ma quello avuto in India resta per Simone un promettente inizio di stagione. Le vere belle notizie sono però arrivate da Marco Cecchinato, capace a Doha di accedere alla sua prima semifinale in un torneo ATP fuori dalla terra battuta. Per riuscirci, il siciliano – prima di Doha vincitore di tre partite sul cemento all’aperto – ha avuto anche un pizzico di fortuna (il walk over di Pella al secondo turno). Un aiuto della Dea bendata ampiamente giustiicato da due belle vittorie in due set sul qualificato – e sempre pericoloso su quei campi – Stakhovsky (6-4 6-2) e sul top 50 Lajovic (7-6 6-2). La stessa sconfitta in semifinale con Berdych, dopo essere stato in vantaggio nel tie-break, ha confermato come Marco sia diventato competitivo anche sul cemento all’aperto: il premio a questa evoluzione è il nuovo best ranking e l’allettante prospettiva di avere solo 100 punti da difendere da qui a fine marzo. Incrociamo le dita, ma sembra di poter dire che il meglio deve ancora venire per lui in attesa della ‘cambialona’ di Parigi.
10 – dei dodici semifinalisti dei tre tornei maschili (gli ATP 250 di Brisbane, Doha e Pune) in programma la scorsa settimana erano tennisti almeno trentenni. Una percentuale dell’83%, ancora maggiore del 70% relativo gli occupanti delle prime 10 posizioni del ranking ATP (nella top 10, solo Zverev, Thiem e Nishikori non sono entrati negli -enta). Numeri che di certo non incoraggiano chi spera in un prossimo ricambio generazionale, scenario lasciato aperto solo dal fatto che tra 11° e 16 ° posizione del ranking vi siano ben cinque under 23. Nell’epoca della strombazzata Next Gen, a Pune tra Anderson e Karlovic si è giocata la sesta finale più “vecchia” dell’Era Open (oltre che la più alta di sempre, con 4 metri e 14 centimetri sommati tra i due). Più in generale, a Doha e in India tutti i semifinalisti erano nati entro il 1988: ha fatto eccezione la sola Brisbane con quelli che sono divenuti i due finalisti, Niskikori (che comunque tra qualche mese compie 30 anni) e Medvedev, classe ’96.
Una prima settimana del 2019 che ha visto anche la partenza lenta della maggior parte dei big in gara: ad eccezione di Anderson, vincitore del suo sesto titolo a Pune, e di Nishikori vittorioso a Brisbane, in settimana hanno giocato altri sette top 20. Thiem, Khachanov e Edmund hanno perso alla partita inaugurale, Raonic e Dimitrov hanno superato solo due turni e perso contro due tennisti della stessa fascia (i finalisti di Brisbane). E se Cecchinato può dirsi più che soddisfatto della sua semifinale, il medesimo traguardo per il numero 1 del mondo Djokovic è ben deludente. Incoraggia Nole che abbia perso da un ottimo Bautista Agut – poi vincitore del torneo – e soprattutto la circostanza che nel 2015, l’anno delle 81 vittorie in 87 partite, proprio a Doha si fermò ancor prima, ai quarti, sconfitto da Karlovic.
12 – i titoli conquistati in carriera da Kei Nishikori, dopo aver aggiunto in bacheca la scorsa settimana il trofeo dell’ATP 250 di Brisbane. Un successo per lui molto importante, per varie ragioni: aveva vinto l’undicesimo torneo a febbraio 2016 (a Memphis, in finale su Taylor Fritz), dopodiché era incappato in ben nove sconfitte in finale, quattro delle quali ancora più amare, perché giocate con miglior classifica rispetto a quella dell’avversario: tre anni fa a Basilea contro Cilic, nel 2017 a Brisbane contro Dimitrov e a Buenos Aires contro Dolgopolov, infine, qualche mese fa a Tokyo contro Medvedev. Un titolo importante anche dal punto di vista tecnico: solo altre due volte (Tokyo 2012 e Washington 2015), nei precedenti undici tornei vinti, aveva sconfitto due top 20 per alzare la coppa del torneo. A Brisbane, infatti, oltre ad aver eliminato il 69 ATP Kudla (7-5 6-2) al secondo turno (era esentato dal primo in qualità di seconda testa di serie) e un top 40 come Chardy in semi (duplice 6-2), ha avuto la meglio nei quarti su Dimitrov (duplice 7-5) e in finale ha perso l’unico set del suo torneo, vendicando la finale di ottobre a Tokyo, contro Medvedev, 16 ATP (6-4 3-6 6-2). Un ottimo viatico per gli Australian Open in una stagione che potrebbe portarlo, quando a dicembre compirà 30 anni, a vincere qualcosa d’importante: è stato numero 4 del mondo nel 2015, ma ha vinto al massimo 5 ATP 500 (Barcellona 2014 e 2015, Tokyo 2012 e 2014, Washington 2015), ai quali vanno aggiunti come piazzamenti le 14 finali perse (tra cui US Open 2014 e Madrid 2014, Miami e Toronto nel 2016 e Monte Carlo l’anno scorso).
14 – i mesi trascorsi dall’ultimo torneo nel quale Jo Wilfried Tsonga aveva vinto tre partite di fila (non accadeva da ottobre 2017, quando raggiunse la finale all’ATP 500 di Vienna). Il quasi 34enne transalpino era reduce dall’operazione al ginocchio sinistro che lo ha tenuto lontano dal circuito per più di sette mesi. Rientrato lo scorso settembre, aveva chiuso l’anno con un misero score di una vittoria e cinque sconfitte, iniziando il 2019 fuori dalla top 200. Una fascia di classifica lasciata dal 2007, lo stesso anno in cui era entrato nella top 100, per uscirne per la prima volta lo scorso ottobre. Tsonga, capace per 10 anni consecutivi di essere almeno una settimana tra i primi 10, di vincere 16 tornei e raggiungere nel 2008 una finale Slam (e successivamente altre cinque semifinali), ha mostrato di avere ancora fame di tennis. A Brisbane, infatti, dove aveva giocato solo nel 2009 nella prima edizione del torneo, è arrivato sino alla semifinale. Usufruendo del ranking protetto per entrare nel main draw, l’ha conquistata senza perdere un set: ha sconfitto il qualificato Kokkinakis (7-6 6-4), Daniel (7-6 6-3) e De Minaur (6-4 7-6). Una vittoria, quella contro il giovane australiano 31 ATP ,che per lui significa molto: era nuovamente da Vienna 2017 che non vinceva un match contro un tennista con la classifica buona quanto quella del finalista delle ultime ATP Next gen di Milano. In semifinale, ha sprecato due set point nel primo parziale prima di arrendersi a Medvedev, vincitore 7-6 6-2. Il circuito ha ancora bisogno del suo tennis offensivo e della personalità con la quale calca il campo e intrattiene il pubblico.
30 – le partite vinte da Aryna Sabalenka a partire da inizio dello scorso agosto, a fronte di sole sette sconfitte. Numeri che corrispondono a una percentuale di vittorie del 83%, degna di migliori classifiche di quella da lei occupata: ha giocato più partite e in tornei quasi sempre maggiormente competitivi, ma, tanto per orientarci, la numero 1 al mondo Halep ha chiuso il 2018 vincendo il 79% delle 52 partite giocate. Invece, la ventenne bielorussa, nonostante il suo successo a Shenzhen, ancora deve entrare in top 10, fascia di classifica che da questa settimana vede da molto vicino. La bielorussa ha iniziato il 2018 da 73° giocatrice al mondo e chiudendo luglio entrando nella top 40, grazie ai punti di tre finali perse: da agosto in poi Aryna ha ingranato le marce, alzando molto il livello del suo tennis. Lo testimonia l’impressionante score di sette vittorie in otto incontri con top 10 ottenuto negli ultimi cinque mesi, la semifinale al Premier 5 di Cincinnati e i titoli al Premier di New Haven e al Premier 5 di Wuhai (senza dimenticare che agli US Open perse solo 6-4 al terzo con Osaka, unica a rubarle un set in quel torneo). A Shenzhen Sabalenka ha ottenuto il terzo titolo della carriera (tutti vinti negli ultimi cinque mesi) affrontando tutte giocatrici comprese tra la 60° e la 75° posizione del ranking, ad eccezione di Sharapova, 29 WTA, ritiratasi nei quarti quando era sotto 1-6 2-4. Aryna ha sconfitto Maria (3-6 6-3 6-1), Alexandrova (duplice 6-3), in semifinale Wang (6-2 6-1) e in finale Riske (4-6 7-6 6-3). Se tra qualche settimana a Melbourne si dovesse avere la nona consecutiva vincitrice Slam diversa, la principale candidata sarebbe proprio lei.