L’Australia sembra la nuova patria tennistica della Next Generation. Lo scorso anno in semifinale a Melbourne arrivò Hyeon Chung, fresco vincitore della prima edizione delle Next Gen ATP Finals. Quest’anno lo ha imitato Stefanos Tsitsipas – agli antipodi come tennis e come spigliatezza davanti ai microfoni rispetto al coreano – che nell’albo d’oro dell’evento milanese ha fatto aggiungere il proprio nome giusto lo scorso novembre.
“Le semifinali Slam erano il mio obiettivo per questa stagione” ha rivelato Tsitsipas dopo il successo in quattro set su Roberto Bautista Agut. In conferenza stampa lo hanno incalzato con una provocazione: perché soltanto le semifinali? “È il primo passo. Si parte da lì e si va avanti” ha risposto lui, pragmatico. “Sono contento di aver raggiunto già l’obiettivo, ma ora voglio andare più a fondo. Il risultato di adesso è il minimo, lo chiamerei così“. Per raggiungere quella semifinale degli Australian Open 2018, Chung sconfisse nettamente Novak Djokovic in quello che venne definito uno scontro tra il campione e la sua versione “ringiovanita”, o “clonata”. In un certo senso domenica è successa la stessa cosa a Tsitsipas, capace (anzi, capacissimo) di fermare la striscia di diciotto vittorie consecutive di Roger Federer sulla Rod Laver Arena.
Il passo più difficile è sempre quello dopo, però, soprattutto perché a una età così giovane è facile essere travolti dall’eccesso di conseguenze positive di un successo del genere. I paragoni con il Federer-Sampras di Wimbledon 2001, ad esempio, erano su tutti i giornali. Invece Tsitsipas, dopo l’attimo di incredulità on court, è stato molto bravo a tapparsi occhi e orecchie per concentrarsi soltanto sull’impegno successivo, superato con una prestazione convincente. “La notte dopo non riuscivo a prendere sonno” ha spiegato, ma era una insonnia dovuta alla preoccupazione di dover affrontare un nuovo avversario (oltre che a un doloretto all’alluce). “La vittoria su Federer è stata molto importante, ha giocato un ruolo enorme nella mia immagine pubblica, ma io sapevo che la sfida più grande era l’incontro di oggi, quello in cui dovevo confermarmi“.
Dal match point contro Federer, il cellulare di Tsitsipas non ha smesso di vibrare neppure un momento: amici, parenti, colleghi del circuito e persino celebrità (greche) lo hanno tempestato di messaggi. Lui, che è di gran lunga il più spigliato come presenza virtuale tra tutti i Next Gen, ha però preferito rinviare le risposte alla conclusione del torneo. Sa bene che la sua dimestichezza con tecnologia, social e mezzi di comunicazione – ha un account YouTube sul quale tiene un blog sotto forma di video, e una seconda pagina Instagram sotto pseudonimo in cui si diletta di fotografia – è un di più, uno svago utile a ridimensionare il tennis e le sue forti emozioni. “Ho iniziato lo scorso anno, quando mi sentivo giù. Mi hanno fatto sentire meglio, perché ho capito che tutti hanno degli altri talenti che non conoscono. Ha allentato la tensione su di me“. Secondo Tsitsipas, la cosa più soddisfacente è “creare”. Sia con la videocamera sia con la cara vecchia racchetta da tennis, con la quale sta dando gioia non solo ai fanatici del rovescio a una mano, ma anche ai suoi tanti connazionali sparsi per il mondo.
E pensare che questi Australian Open Tsitsipas avrebbe potuto giocarli da tennista di casa, in un clima ancor più caldo di quello creato dalla enorme (e rumorosa!) comunità greca di Melbourne. Pat Cash ha rivelato al Sunday Times che anni fa c’erano stati dei contatti tra il padre di Stefanos, Apostolos Tsitsipas, e Tennis Australia, mirati a una “adozione” del talentino. Anzi, sarebbe più corretto parlare di acquisto: tutti i cambi di nazionalità degli ultimi anni sono arrivati nel segno di quelle opportunità sportive, economiche, logistiche che soltanto le grandi federazioni possono offrire.
Il tennis degli ultimi trent’anni ne ha visti di cognomi greci, da Sampras a Kyrgios passando per Philippoussis. Nessuno di questi portava però a fianco la bandierina ellenica. Tsitsipas invece, nonostante la Grecia non abbia tradizione tennistica e sia scarsamente dotata di fondi, ha preferito rimanere fedele alla propria patria e a quella del padre (la madre è russa). “Tennis Australia è una grande federazione, mi avrebbe offerto un supporto enorme, ma giocare per il mio Paese è il più grande onore che io abbia mai avuto. Le trattative non sono mai state troppo avanzate“. Un peccato, ha commentato un giornalista locale. “Un peccato magari per loro” ha subito ribattuto Tsitsipas, “io sono orgoglioso di essere greco e di rappresentare la mia bandiera“. Del resto i soldi, con prestazioni come quelle recenti, non saranno un problema.
Viaggia ancora con la famiglia, con il padre a fargli da coach, ma per crescere Stefanos si è avvalso dei consigli di Patrick Mouratoglou, l’attuale allenatore di Serena Williams. Alla Mouratoglou Tennis Academy, in Costa Azzurra, Tsitsipas ha svolto numerosi cicli di allenamento e ancora oggi si avvale dei consigli di “The Coach”, come viene chiamato nella sua rubrica su Eurosport. “Penso che sia uno dei migliori allenatori che ho conosciuto finora in vita mia” ha detto Tsitsipas di lui. “Mi trasmette molta fiducia nel mio gioco. In realtà non parla molto, ma ogni cosa che dice è così giusta e così calzante che se faccio come dice, la maggior parte delle volte funziona. Alcune persone hanno questa capacità di essere dirette, senza parlare troppo di questo o di quello, che può finire per confonderti. Lo ammiro molto anche per questa ragione“.
Chissà cosa gli consiglierà in vista della semifinale, dove Tsitsipas affronterà Rafael Nadal. Lo spagnolo non ha ancora ceduto un solo set in tutto il torneo, e ha inflitto lezioni piuttosto dure ad altri due Next Gen come Alex De Minaur e Frances Tiafoe. Tsitsipas sa di cosa si tratta, visto che ha già due precedenti con lo spagnolo (entrambi in finali, perse a Barcellona e alla Rogers Cup). Ma se su terra ammette candidamente che non c’è storia, sul cemento dice di sentire di avere le sue opportunità. “Mi sono sentito vicino a batterlo a Toronto, nonostante il punteggio di 6-2 7-6. Ricordo di essere tornato negli spogliatoi promettendo a me stesso che la volta successiva contro di lui avrei fatto molto meglio. Ho sentito di capire meglio quello che fa in campo, dopo quell’incontro. Sarà interessante, penso di poter fare bene“. Lo chiameremo Tsidal?