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Naomi Osaka contro Petra Kvitova, in palio c’è tutto. La finale dell’Australian Open di sabato mattina (ore 9:30 italiane, su Eurosport) vale non soltanto il primo titolo Slam del 2019, ma anche la posizione numero uno del circuito femminile. Per entrambe sarebbe la prima volta lassù in cima, sopra tutte le altre, anche se davanti a ragazze come Naomi e Petra le metafore del “trono” e della “vetta” suonano stranamente fuori luogo.
In un tennis sempre più guerriero, è un sollievo trovare nella prima grande sfida della stagione due caratteri miti come i loro. La vigilia è il giorno giusto per conoscerle un po’ meglio: mentre si prendono una meritata giornata di riposo, sono i loro coach a sedersi davanti ai microfoni della sala stampa di Melbourne Park. I nomi di Sascha Bajin e di Jiri Vanek non dicono molto a chi non fa parte degli addetti ai lavori. Proprio Bajin è stato scelto da Osaka per la sua prima esperienza da capo-allenatore di un team, dopo tanti anni (relativamente: ne ha appena 34) da sparring partner di Serena Williams e colleghe. Una bella differenza rispetto alla recente stagione dei super-coach, campioni del passato tornati in pista per dispensare consigli. “Da giocatore, devi essere molto egoista per molto tempo. Credo che alcuni ex giocatori, quando iniziano ad allenare, fatichino a dedicarsi interamente a qualcun altro“ ha detto il tedesco di origini serbe, paragonando la sua esperienza con Osaka a quella dei vari Lendl, McEnroe, Agassi nel box di qualche stella ATP. “Io sono semplicemente felice del successo che abbiamo insieme con Naomi“. Un successo che in gennaio, peraltro, gli ha portato il premio di Coach of the Year per l’anno 2018.
Bajin compensa la mancanza di tornei giocati in prima persona con una grande conoscenza del tour e delle avversarie di Osaka. E soprattutto, con un ottimo feeling umano. Facendo leva sulla capacità della sua assistita di imparare in autonomia, stimola i punti di forza di una appena ventunenne dagli ancora ampi margini di crescita. “Si impara più da una sconfitta che da una vittoria, e Naomi è decisamente questo tipo di persona. Dopo una sconfitta non c’è molto che io debba dirle: si tratta più di una gestione delle emozioni, di essere lì per lei a ricordarle che le sconfitte capitano a tutti, e che non è possibile vincere ogni singolo match che si gioca”. Fiero di allenare una ragazza che è rimasta sempre la stessa che aveva conosciuto oltre un anno fa, Bajin ammette di aver comunque contribuito a rendere Osaka una giocatrice più completa: “Fin dall’inizio era una gran colpitrice. Le ho spiegato che poteva fare altre cose oltre a tirare forte. Abbiamo lavorato sugli angoli, sullo slice, sul mettere i piedi in campo. E poi il fitness” ha detto indicando Abdul Sillah, il preparatore atletico del team. “Se una gran colpitrice riesce a muoversi come una giocatrice difensiva, le avversarie dovranno giocare davvero bene per batterla”.
Sfida già raccolta da Petra Kvitova, che al momento sta giocando in maniera super. La ceca arriva in finale con undici vittorie consecutive, complete di titolo al WTA Premier di Sydney, e le sei a Melbourne riportano punteggi schiaccianti. Per una giocatrice che ad appena ventisei anni aveva temuto di dover abbandonare il tennis, dopo che nel dicembre del 2016 un ladro si era introdotto in casa sua e la aveva pugnalata lacerandole nervi e tendini della mano sinistra, quella forte, si tratta già di una impresa straordinaria. Sembra banale dirlo ma quando Kvitova ci si mette sembra che nulla le sia precluso. Il suo coach e connazionale Jiri Vanek, annunciato pochi giorni prima di quell’orribile aggressione domestica, conferma: “Se è in the bubble, nella bolla, gioca così”. Il ruolo di chi la circonda, ovviamente, diventa metterla proprio dentro questa bolla. “A volte capita che per due, tre mesi non si senta a suo agio e giochi in modo diverso, perdendo il suo killer instinct. Per questo noi cerchiamo di sorridere, di fare battute durante gli allenamenti, per farla sentire più a suo agio“. La bolla vale anche come scudo dalla negatività: “La teniamo lontana da tutto, da chi può fare commenti sgradevoli. Abbiamo il nostro team e non ci serve nessun altro”.
Come Osaka, Kvitova è una ragazza dall’animo forte quanto sensibile. Prosegue Vanek: “A volte si preoccupa troppo degli altri e poco di sé. Glielo ripeto ogni giorno: è il tuo tennis, dipende da te, sei tu ad essere due volte campionessa di Wimbledon. Nessuno può giudicarti, gioca per te stessa. All’inizio rispondeva che eravamo tutti troppo buoni, ora ha capito e si prende più sul serio”. Del resto la maggior parte degli incontri che Kvitova gioca dipendono nell’esito quasi interamente da lei. Un’altra somiglianza con la sua prossima avversaria, ma “domani sarà tutto come al solito. Ho detto a Petra che non la preparerò in modo diverso dal solito“. Anzi, il team Kvitova confida nella routine vincente: avendo giocato così tanto, più di una volta ogni due giorni, all’arrivo a Melbourne si è scelto di alternare i primi incontri a delle giornate di riposo. Ha funzionato, e si andrà avanti così fino alla fine. Del resto, Kvitova sta trovando in campo tutto il tennis di cui ha bisogno. “Quando sono arrivato da lei” racconta Vanek, “mi ha detto che negli anni precedenti si era allenata poco sui punti giocati“. Lui e gli altri la hanno aiutata a perdere qualche chilo e ora lei dice di sentirsi più a suo agio nella corsa, durante gli scambi lunghi.
Chissà se ce ne saranno, o se l’ultimo atto sulla Rod Laver Arena sarà veramente come entrambi i coach pensano: entrambe alla ricerca del vincente, puntando forte sui primi due o tre colpi, lasciandosi poco tempo per pensare alle rispettive tattiche. Bajin vuole che Osaka approcci Kvitova allo stesso modo di come ha battuto Karolina Pliskova in semifinale, mancinismo a parte (“le abbiamo preso uno sparring mancino per preparare la risposta, ma per fortuna Naomi si adatta molto rapidamente e legge bene le avversarie”). Vanek dice che deve ancora finire di prepararsi lui, e poi parlerà con Petra. Due approcci diversi e insieme simili per due ragazze anch’esse diverse e insieme simili. Come giocatrici, come persone, come esperienze, come percorsi. E come risultato finale, perché sabato mattina potrà vincere una sola.