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Nel 53esimo capitolo della rivalità tra Rafa Nadal e Novak Djokovic, la più longeva della storia del tennis moderno in termini di scontri sul circuito maggiore, ci sarà in ballo niente di meno che il titolo degli Australian Open. Ma per chi ne ha già vinti rispettivamente 17 e 14 sembra quasi una formalità. Uno in più, uno in meno: la differenza non sarà molta. Peraltro, Djokovic ha messo in cassaforte la prima posizione mondiale. Ma anche quella, cosa cambia per chi sulla vetta del tennis mondiale ci è già stato per più di una volta? Allora per quale motivo cercare un angolo con il dritto che sembrava impossibile, recuperare una palla che sembrava irrecuperabile, pensare una drop shot che sembrava impensabile? Perché vincere un incontro che solo incidentalmente coincide con una finale dello Slam?
Per Djokovic c’è in ballo innanzitutto la conferma di essere appunto, in questo esatto momento, il miglior tennista del mondo. Dopo il lungo stop e l’incredibile rientro della scorsa stagione, il fenomeno di Belgrado può portare a casa il terzo Slam consecutivo. Sarebbe la dimostrazione che attualmente è lui l’uomo da battere. Più appunto di Nadal e più di Federer, le altre due leggende viventi in attività. Tanto per far capire il loro dominio dal 2005 ad oggi, i Big Three del tennis mondiale hanno messo in fila tre strisce di 18, 11 e 9 Slam consecutivi, con quest’ultima ancora aperta, e a Melbourne negli ultimi quindici anni solo Marat Safin e Stan Wawrinka sono riusciti a sorprenderli. Battendo quello che in conferenza stampa ha definito “il suo più grande rivale”, Nole metterebbe in chiaro di essere il più forte dei tre oggigiorno. Anche se in questo 2019 Rafa vincesse l’ennesimo Roland Garros (eventualità più che probabile) e Roger si producesse nell’ultimo giro di valzer a Wimbledon (eventualità ben meno probabile), il più forte rimarrebbe lui.
E non solo in questa stagione probabilmente. Con i suoi 31 anni, Djokovic è anche il più giovane dei tre mostri sacri e anche quello nettamente più integro dal punto di vista fisico. Federer gioca con il contagocce e vari indizi fanno pensare che di quelle gocce ne siano rimaste davvero poche. Le pause ai box di Rafa sono ormai la regola e chissà che qualcuna non possa essere quella definitiva. D’altra parte non c’è alcun motivo razionale per pensare che il campione serbo non giochi per altre quattro o cinque stagioni. E, considerando l’agio con cui tiene a bada le nuove generazioni, non c’è alcun motivo razionale per pensare che non domini la scena, vincendo ancora tanti Major. A quel punto il discorso potrebbe essere non tanti, ma quanti. Perché prima di questa finale la distanza con il toro di Manacor è di tre, quella con il maestro di Basilea è di sei. Un margine sottile se si pensa che il serbo possa spadroneggiare nel circuito ancora a lungo. E se tra cinque anni Djokovic avrà più Major nel soggiorno chi si azzarderà a spiegargli che non è stato il migliore dei tre?
Per Rafa l’obiettivo è cancellare questo scenario. O quantomeno posticiparlo. Con una affermazione il fuoriclasse iberico dimostrerebbe di essere di nuovo capace di superare il serbo su una superficie che non sia il mattone tritato. Infatti, è da più di cinque anni, ovvero dalla finale degli US Open 2013 che Rafa incassa sconfitte da Djokovic sul veloce. Con il ritorno di Nole ad altissimi livelli, il suo regno potrebbe ridursi ai confini del Philippe Chatrier. Ma la vittoria a Melbourne cambierebbe decisamente le carte in tavola. Oltre ad allungare nel conto degli Slam sul rivale serbo, il maiorchino darebbe un segnale che non è ancora disposto a dare per perse le incursioni transoceaniche. Né in questa stagione, né nelle prossime. Perché tanto quanto Nole, anche lui non sembra affatto impensierito dal resto del mondo e tanto meno dalle nuove leve. Durante questi Australian Open, il 32enne Nadal non ha infatti perso nemmeno un set e ha impartito sonore lezioni ai rampanti Alex De Minaur, Frances Tiafoe e Stefanos Tsitsipas. Insomma, se Nole non è certissimo di essere il n.1 del mondo, Rafa sa di essere di certo il n.2, e pure con margine. E sa di poterlo essere anche nel medio termine.
Ma a lui ovviamente questo non basta. Come il presidente Donald Trump, Nadal è chiamato a costruire un muro. Qua però non sono i messicani a migrare verso gli Stati Uniti ma i futuri titoli Slam verso la Serbia. E con loro l’aura di leggenda tra le leggende. Perché Nole sarà anche meno popolare, non avrà l’eleganza di un ballerino e nemmeno la forza di un colosso. Ma con questo successo potrebbe spostare l’inerzia della rivalità dalla sua parte una volta per tutte, con quello che ne consegue. Ah già, potrebbe anche vincere un Australian Open in più, il settimo, come nessuno prima di lui. Ma quello, appunto, è un dettaglio.