Osaka contro Pliskova e le novità del 2019
Proprio la partita contro una giocatrice più lineare (rispetto a Hsieh e Sevastova) come Svitolina, è stata utile per capire che fra la Osaka che ha vinto a New York e quella di Melbourne ci sono delle differenze tecnico-tattiche. La Osaka “newyorkese” a mio avviso proponeva un tennis più conservativo e meno rischioso, quasi scolastico; con la gran parte degli scambi condotti sulle diagonali, spesso conclusi in due modi affini: o dall’errore dell’avversaria o da un vincente ottenuto stringendo la stessa diagonale (peraltro dote tecnica di pochissime), senza dunque variare la geometria del palleggio. Invece la Osaka in versione australiana è tornata a cercare più spesso il vincente attraverso il cambio lungolinea: soluzione più complessa e rischiosa. Dico tornata perché questa era una caratteristica del suo gioco nel periodo da teenager, che però era stata limitata da quando aveva cominciato a collaborare con Sascha Bajin.
Posso sbagliarmi, ma la mia sensazione è che il suo coach stia seguendo un percorso di crescita molto logico. Che potremmo spiegare in questo modo: di fronte a una colpitrice fenomenale come Naomi, Bajin ha proceduto per gradi. Innanzitutto c’era la necessità di dare ordine e razionalità al gioco, costruendo delle solide basi da cui partire per garantirsi uno standard sotto il quale non andare mai. Un livello medio grazie al quale si possono vincere le partite di routine, e limitare le controprestazioni.
Questa impostazione piuttosto scarna, tutta basata sulla efficacia dello scambio in diagonale è stata l’asse portante del tennis di Naomi agli US Open. E insieme alla questione tattica c’è quella tecnica: nel 2018 ha aggiunto del topspin al dritto, per aumentare il grado di controllo del colpo, con una parabola più alta sulla rete. Scambi in diagonali e palle più lavorate: due aspetti orientati verso la sicurezza nella conduzione del palleggio. E grazie al ricorso a questo tipo di soluzioni, per esempio, Osaka è riuscita a superare indenne la giornata difficilissima contro Hsieh.
Ma c’è la possibilità di andare oltre questo tipo di tennis, e Sascha Bajin lo sa, alla ricerca di picchi di gioco superiori. È il passaggio a un livello più alto. Però per fare questo occorrono ulteriori doti: tecniche, ma anche tattiche e mentali. Perché non basta saper eseguire i lungolinea, occorre anche saper scegliere quando vale la pena utilizzarli e quando no. Sotto questo aspetto è stato illuminante il match contro Karolina Pliskova.
Nella semifinale contro Pliskova, Osaka ha cominciato ispiratissima. Malgrado avesse di fronte una giocatrice in piena forma e con un servizio di primissimo livello, Naomi ha chiuso 6-2 senza concedere nemmeno una palla break, e vincendo nel finale di set alcuni scambi di qualità eccezionale. Scambi in cui spesso era stata la prima a cambiare in lungolinea per chiudere con un vincente (addirittura 16 a 4 nel set i vincenti a suo favore).
Poi all’inizio del secondo set ha immediatamente brekkato l’avversaria. Sul 6-2 1-0 e servizio, dopo tre quarti d’ora di tennis impressionante, credo che Naomi si sia sentita quasi invincibile: in una fase di piena esaltazione, visto che le riusciva praticamente tutto, ha cominciato a cercare soluzioni sempre più difficili e spettacolari. Ma ha finito per esagerare. Invece che attendere il momento giusto per chiudere lo scambio, ha affrettato i tempi di gioco, fallendo lungolinea che avrebbero richiesto ancora uno-due colpi di consolidamento per essere eseguiti con profitto.
A quel punto è stata bravissima Pliskova a rimettersi in linea di galleggiamento, facendo leva sulla concretezza in battuta per pareggiare i conti nel secondo set. Naomi ha attraversato una fase di disincanto e delusione che poteva costarle moltissimo, ma che è anche stata necessaria per capire che per vincere il match occorreva tornare a una impostazione meno azzardata. Cosa avvenuta nel terzo set, grazie anche alla estrema efficacia della prima di servizio; una qualità che spesso le porta punti diretti, che si è rivelata decisiva a New York come a Melbourne.
La semifinale contro Pliskova, vinta per 6-2, 4-6, 6-4 in poco meno di due ore di gioco, ha significato la seconda finale Slam consecutiva. Non accadeva dal 2001 (Jennifer Capriati) che la vincitrice del primo Slam in carriera si ripresentasse in finale nel Major successivo. Impressionante. Per quanto mi riguarda è stato proprio seguendo quel terzo set contro Karolina che mi sono fatto l’idea che Naomi fosse favorita per la vittoria nel torneo. Dopo aver mancato la possibilità di chiudere in due set, essere in grado di rimettersi in carreggiata conducendo un terzo set senza mai cedere il servizio era stata una dimostrazione di grande solidità mentale. Da vera campionessa.
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