Questi Australian Open passeranno alla storia per diversi motivi. Vincendo il suo settimo titolo in singolare, un record assoluto, Novak Djokovic si è lanciato nella rincorsa a Roger Federer e Rafa Nadal come primatista a livello Slam. Conquistando il suo secondo Slam consecutivo e la prima posizione mondiale, Naomi Osaka ha dato l’impressione di poter dominare l’equilibrato circuito femminile. Lorenzo Musetti è stato il primo azzurro a vincere l’Australian Open junior.
Tuttavia, in maniera ben meno clamorosa, questi Australian Open hanno anche fissato l’ennesimo chiodo sulla bara del doppio, specialità che ha un enorme posto nella storia del mondo del tennis ma che ormai è relegata ai margini della disciplina, sia in campo femminile che in campo maschile. Per non parlare del misto che si disputa solo negli Slam, alle Olimpiadi e alla Hopman Cup.
Non che se ne faccia una colpa a chi a Melbourne ha trionfato. I francesi Nicolas Mahut e Pierre Hugues Herbert sono ad esempio due ottimi giocatori, dotati di un eccellente servizio e di un’ammirabile tecnica nei pressi della rete. Nonostante la fama da perdente, Mahut ha ottenuto buoni successi anche in singolare, con 4 titoli e un best ranking di n.37. Il più giovane Herbert ha ancora tempo davanti a sé ma comunque attualmente occupa la 44esima posizione mondiale. Insomma, due ottimi giocatori che formano una splendida coppia. Un career Grand Slam meritato e un bello spot per la specialità.
Notevole anche la storia dell’australiana Samantha Stosur e della cinese Shuai Zhang. La prima aveva convinto la seconda a non ritrarsi dal tennis. E insieme hanno trionfato agli Australian Open. Per Stosur, singolarista di altissimo livello ma anche ottima doppista, si è trattato del terzo Major nella specialità ma il primo in casa. Per Zhang, buona singolarista che invece il doppio lo aveva sempre snobbato, era il primo Slam di specialità.
E questo successo al femminile però dovrebbe fare riflettere. In singolare nel 2018, Stosur ha vinto solo 22 partite e ne ha perse ben 28. Nell’estate australiana, ha rimediato 3 sconfitte su 4 incontri. A Melbourne è stata subito giustiziata dalla teenager ucraina Dayana Yastremska. Il suo evidente calo di rendimento dovuto all’avanzare dell’età ha alimentato addirittura notizie su un imminente ritiro dall’attività. Eppure, nel doppio fa ancora la differenza. Con la stessa Zhang, era arrivata infatti già in semifinale agli scorsi US Open.
E può continuare a guadagnare molto bene. Infatti, la metà del primo premio sono 375 mila dollari australiani, circa 270mila dollari americani, più ad esempio di Daniil Medvedev, unico in grado a strappare un set a Djokovic nel torneo di singolare maschile. Ma dando un’occhiata anche al tabellone maschile si notano in realtà che due coppie su quattro giunte nelle semifinali erano composte da doppisti improvvisati: Leonardo Mayer/Joao Sousa e Ryan Harrison/Sam Querrey. Tutti hanno ampiamente compensato o complementato i loro magri introiti derivanti dal singolare.
Ma ad accendere ulteriormente il dibattito sul doppio sono state le forti dichiarazioni di Jack Sock, n.2 al mondo di specialità in questo momento, tre volte campione Slam e medaglia di bronzo olimpica. Per alcuni, il miglior doppista in circolazione. Peccato che non ci tenga per nulla a quest’etichetta. Dopo una carriera di alto profilo nel singolare, con Top 10 e apparizione alle Finals nel 2017, Sock non prende nemmeno in considerazione un suo passaggio definitivo all’altra specialità. Anche se sarebbe molto remunerativo e probabilmente per uno con il suo talento anche meno faticoso. “Se non sarò di nuovo competitivo in singolare e la mia unica scelta è giocare il doppio allora mi ritiro”, ha sentenziato.
Proprio Harrison ha chiarito la posizione del connazionale. “Jack non vuole che le sue abilità in singolo siano oscurate dalle sue vittorie in doppio”, ha spiegato il tennista della Louisiana. “Questa percezione gli crea problemi. Io gli ho detto che potrebbe accumulare fiducia per il singolare se diventasse il doppista più dominante del circuito. Secondo lui però la gente così penserebbe che non sa più giocare il singolo”. Il suo ex partner a tempo Mike Bryan, con il quale ha conquistato Wimbledon, US Open e ATP Finals nel 2018, è stato ben meno comprensivo. “Quando va in campo in doppio è fenomenale. E grazie al doppio ha giocato in alcuni degli stadi più importanti al mondo, vinto una medaglia olimpica ed è stato onorato dall’università del Nebraska. Qual è il problema in tutto ciò?”, ha tuonato Bryan.
Ma la rilevanza del doppio è stata al centro di una polemica anche nel tennis britannico. Jamie Murray, fratello maggiore di Andy e attuale n.5 al mondo di specialità, ha accusato la sua federazione di sottovalutare il doppio, proponendo il suo allenatore e quello di tutti i doppisti britannici, Louis Cayer, come nuovo direttore dell’area tecnica. “Dovrebbe avere l’incarico” ha detto Murray. “Come minimo. Oppure un altro ruolo importante. Ci sono tre giocatori britannici al secondo turno ma penso sei coppie. Penso che sia importante. Dovrebbero celebrare di più questi successi perché sono maggiori in termini di numeri. Ma nessuno direbbe nulla se non ne parlassi io”. Alla polemica innescata dallo scozzese ha subito risposto Evans, che notoriamente di peli sulla lingua ne ha ben pochi.
“Cayer ha allenato solo doppisti. È un commento ridicolo”, ha risposto il tennista di Birmingham. “Secondo lui dovremmo celebrare della gente che non ce l’ha fatta in singolare per mancanza di talento o di attitudine al lavoro. Mi stanno tutti molto simpatici i nostri doppisti e hanno ottenuto ottimi risultati. Ma celebrarli di modo che i ragazzini considerino i loro risultati come straordinari è sbagliato. I ragazzini preferiscono essere al secondo turno del singolare che del doppio”. Forse, vista la sua posizione di tennista rientrante da una squalifica per uso di cocaina, il riferimento alla disciplina era ben poco idoneo. Ma il concetto è passato chiaro e forte.
Insomma il quadro è questo. Gli specialisti del doppio sono dei singolaristi che non ce l’hanno fatta. Perché non abbastanza forti. A dirlo sono i fatti dato che coppie di singolaristi possono improvvisarsi doppisti nei tornei più importanti ed andare fino in fondo. Ma anche gli stessi singolaristi che inoltre considerano la specialità meramente come un modo per trovare buone sensazioni in un periodo di crisi e per arrotondare i guadagni di singolare. Da utilizzare tuttavia con parsimonia perché toglie energie utili per la specialità che conta davvero. Per questa ragione, la frequentano in maniera saltuaria e spesso distratta.
Tutto ciò ovviamente ha portato negli anni ad una sorta di stigma nei confronti del doppio sia tra i tennisti che tra gli addetti ai lavori. E ad uno stigma nei confronti dei poveri doppisti. Beh poveri mica tanto. In realtà ad alto livello guadagnano piuttosto bene. Per fare un esempio prendiamo due tennisti della stessa età: il croato Mate Pavic, n.7 al mondo di doppio e il ceco Jiri Vesely n.97 in singolare. Nonostante Pavic abbia due anni in meno di carriera alle spalle, ha già guadagnato 2 milioni di dollari, solo uno in meno di Vesely che non si è quasi mai dedicato al doppio. E ci sono buone possibilità di sorpasso per il croato sul ceco a fine stagione.
E dunque la domanda sorge spontanea: ha ancora senso il doppio? La risposta è sì considerando la quanto possa essere divertente un match di doppio. Si vedono punti spettacolari e gesti tecnici ormai inconsueti nel singolare. I doppisti si devono ingegnare a trovare punti vuoti nel campo per fare il punto e questo rende i loro incontri particolarmente interessanti. Ma la risposta è no considerando il reale valore della competizione. Come detto i protagonisti della specialità sono alternativamente singolaristi mancati, singolaristi in crisi, singolaristi che vogliono arrotondare. Ed è difficile argomentare altrimenti.
L’ATP e la WTA da anni fanno di tutto per dare risalto al doppio, sia a livello economico che mediatico. Ma questo sforzo paradossalmente ha avuto un risvolto persino nocivo per la categoria degli doppisti. Si è creata una sorta di nicchia di tennisti di livello inferiore che guadagnano più di quanto probabilmente dovrebbero. Perché è grazie ai singolaristi, e in particolare quelli più celebri, se anche il loro montepremi si è alzato. E a pensarlo probabilmente non è solo Evans negli spogliatoi. Inoltre, è difficile sostenere che il livello si sia alzato in maniera sostanziale. Se non quando appunto il Sock della situazione non decide di tentare la strada del doppio.
Una soluzione potrebbe consistere nel creare un circuito parallelo del doppio. Ma quali sponsor lo finanzierebbero? Chi pagherebbe il biglietto per andare a vedere gli incontri? Quanti giocatori ne trarrebbero profitto? Di sicuro non i doppisti che per la maggior parte perderebbero il loro lavoro. Ma neanche forse a diversi singolaristi a cui i soldi e l’ultima spiaggia offerta dal doppio fanno molto comodo. Quindi si andrà avanti così, con questa ricca agonia. Che magari fa rimpiangere un misero infarto per un paziente apparentemente senza speranze.