LA PARTE ALTA DEL TABELLONE
Pliskova contro Giorgi e Muguruza
Per la parte alta di tabellone, la più qualitativa del torneo, mi sento quasi obbligato a cominciare da Karolina Pliskova: non solo per il livello di tennis che ha offerto nelle due settimane, ma anche perché ha avuto in sorte un tabellone particolarmente complicato. Dopo Muchova e Brengle, ha trovato Giorgi, Muguruza, Serena, Osaka: quattro avversarie non semplici da affrontare una dopo l’altra.
Dopo la vittoria con partenza a rilento su Madison Brengle, sin dal terzo turno Pliskova è stata obbligata a mettere in campo il proprio miglior tennis; merito di Camila Giorgi che ha lottato per due ore e 11 minuti quasi alla pari (64, 3-6, 6-2). Dico “quasi” perché alla lunga è emersa la maggiore consistenza nei colpi di inizio gioco di Pliskova, come si ricava dal rapporto tra ace/doppi falli: 9/1 Pliskova, 3/8 Giorgi. Servizio ma anche risposta, grazie alla quale Karolina ha messo pressione all’avversaria sino a fare più chiaramente la differenza nel terzo set. Troppa la fatica che faceva Giorgi a mantenere i propri turni di battuta. Entrambe hanno offerto un ottimo spettacolo, e penso che alla fine abbia semplicemente vinto la più forte; del resto anche il ranking (in quel momento numero 8 contro numero 28 del mondo) certifica la differenza.
Nel turno successivo contro Garbiñe Muguruza, un’avversaria che storicamente gradisce (8-2 nei confronti diretti), Pliskova ha giocato un tennis al limite della perfezione. E se è vero che il match è durato appena 60 minuti (esatti) per un totale di sedici game (6-3, 6-1) rimane comunque sbalorditivo il dato degli errori non forzati: appena 3. Ecco perché parlare di perfezione non è esagerato. Saldo complessivo (vincenti errori non forzati): Muguruza -5 (15/20) Pliskova addirittura +20 (23/3). Questa partita ha confermato al di là di ogni dubbio che Karolina era davvero in forma strepitosa, oltre che imbattuta dall’inizio dell’anno, visto che era reduce dal successo di Brisbane. E stava per arrivare il match contro una leggenda come Serena Williams.
Karolina Pliskova contro Serena Williams
Difficile sintetizzare in poche righe una partita come questa, piena di spunti tecnici, psicologici, ma anche di ricorsi storici. Serena ha perso un match che sembrava vinto, anche per una serie di circostanze sfortunate; ma molti meriti vanno a Pliskova che ha dimostrato di non voler uscire dal campo con il minimo rimpianto: lei non avrebbe regalato nulla, fosse anche un solo quindici in una situazione disperata. E così Karolina ha lottato punto su punto rovesciando una partita che solo lo score non aveva ancora certificato come chiusa: Serena infatti è arrivata a servire sul 4-6, 6-4, 5-1, 40-30. E per arrivare a quel punto, dopo due set di tennis equilibrato, Williams aveva ulteriormente alzato il proprio livello di gioco raggiungendo vette impressionanti.
Se nei primi due set Pliskova spesso aveva avuto la meglio nel confronto tra colpitrici sulle palle centrali e profonde (in un certo senso smentendo la tesi che vorrebbe che per non soccombere contro Serena occorre farla muovere “allargando il campo”), nel terzo Williams è stata in grado di trovare angoli sorprendenti quasi dal nulla, aumentando il numero di vincenti. Nei primi game del terzo set abbiamo sicuramente visto la miglior Serena post-maternita: efficacissima al servizio, straordinariamente incisiva alla risposta e incontenibile durante lo scambio. Il classico momento magico che a volte vivono i grandi giocatori, in cui mente e corpo diventano tutt’uno, ogni colpo riesce esattamente come si desidera, e sbagliare sembra quasi impossibile.
E come in un incantesimo, a interrompere il momento magico è stata la chiamata per fallo di piede sul match point. Poi però al fallo di piede si è aggiunto durante lo scambio il problema alla caviglia sinistra: una leggera distorsione, arrivata quando Williams ha cercato di invertire bruscamente la corsa per recuperare una parabola in contropiede. Quanto abbia inciso sul rendimento di Serena è difficile dirlo; sicuramente nei primi minuti l’ha distratta, e già questo non è poco; poi potrebbe esserle rimasto un problema al momento della ricaduta a terra dopo aver eseguito lo stacco del servizio; lo ipotizzo perché da quel momento Williams non ha più vinto un punto nei propri turni di battuta.
Va ugualmente riconosciuto però che Pliskova ha avuto la forza di non arrendersi e di attuare una rimonta quasi inconcepibile, considerando l’avversaria che aveva davanti: 1-5, 2-5, 3-5, 4-5… Dopo aver salvato quel primo match point sull’1-5, Pliskova ne ha dovuti fronteggiare altri tre sul 4-5, ma aveva il vantaggio di essere lei a servire. Penso che l’ultimo treno per Serena sia passato sul penultimo match point, quello giocato sul 4-5, 30-40. Williams infatti ha risposto molto bene con un rovescio a uscire che avevo messo in difficoltà Pliskova; tanto è vero che Karolina non ha potuto fare altro che ricorrere a un rovescio slice di contenimento, a mio avviso attaccabile. Ma qui Serena non se l’è sentita di prendere il rischio di un vincente con il dritto: ha preferito un colpo meno estremo e più interlocutorio, che però ha permesso a Karolina di assestarsi, entrare nello scambio e girarlo a proprio favore. E una volta raggiunto il 5 pari, i due ultimi game hanno solo certificato il definitivo rovesciamento di fronte.
È stato un match indimenticabile, terminato 6-4, 4-6, 7-5 dopo 130 minuti di tennis di qualità eccelsa, come dimostra il saldo vincenti/errori non forzati. Serena +17 (54/37) e Pliskova ugualmente +17 (32/15).
Mi sembra giusto sottolineare la sportività con cui Serena ha accettato una sconfitta tanto rocambolesca quanto dolorosa: non capita tutti i giorni di andare incontro a una chiamata per fallo di piede e poi anche a una distorsione proprio sul match point. Lo rimarco perché se a New York il suo atteggiamento aveva lasciato (giustamente) spazio a critiche, questa volta la classe con cui ha incassato una delusione del genere è stata ammirevole. Non ha nemmeno voluto fare ricorso a un Medical Time Out, spiegando che non è nella sua mentalità se non lo ritiene proprio indispensabile. Eppure siamo abituati a vedere chiamare MTO senza alcun apparente motivo se non quello di interrompere il flusso di gioco positivo dell’avversaria.
Dicevo prima che è stato anche un match dai ricorsi storici: per diversi aspetti ha infatti rimandato agli US Open 2016. Proprio come allora per Serena si è rivelata fatale la combinazione di turni in sequenza Halep-Pliskova (a New York Williams aveva battuto Simona in tre set prima di perdere da Pliskova in due). Sempre nel 2016 Serena era stata penalizzata dalla programmazione, che l’aveva obbligata a terminare il suo match contro Halep nella tarda serata di mercoledì, prima di scendere nuovamente in campo, senza il giorno di riposo, contro Pliskova il giovedì.
Se nel 2016 a New York Pliskova era stata in parte aiutata dal calendario, a Melbourne 2019 è invece accaduto l’opposto: Karolina è stata la vittima della programmazione “zoppa” dei due Slam sul cemento, che non prevedono il giorno di riposo tra quarti e semifinali per la parte di tabellone che inizia per seconda. Dopo questo match intensissimo è stata obbligata a scendere in campo il giorno successivo contro Naomi Osaka che invece aveva “passeggiato” contro Svitolina (6-4, 6-1). Ed è difficile pensare che abbia potuto recuperare completamente le energie nervose nell’arco di così poco tempo.
a pagina 4: Serena Wiliams e Simona Halep. Il futuro di Naomi Osaka