Contro Naomi Osaka (per l’analisi del match di semifinale rimando all’articolo della scorsa settimana), Pliskova ha concluso il suo unico match con saldo negativo, anche se di pochissimo: -1 (20/21) contro il +26 di Naomi (56/30) che forse segnala una differenza superiore rispetto a quanto indichi il risultato (6-2, 4-6, 6-4). Al di là di tutto, però, quello che mi sento di sottolineare in fase di bilancio è che sì, Pliskova è uscita in semifinale contro Osaka, ma il suo Slam va per forza considerato stra-positivo, perché ha offerto momenti di tennis di qualità massima.
E la stessa cosa secondo me va detta anche per Serena Williams. Certo il modo con cui è uscita dal torneo è durissimo da digerire, sportivamente crudele. Ma se ragioniamo in termini di qualità tennistica, penso abbia compiuto un ulteriore progresso rispetto alle prestazioni di Wimbledon 2018 e US Open 2018. E dato che le vittorie negli Slam possono arrivare solo con i miglioramenti nel gioco, credo che, sotto questo aspetto, Serena dovrebbe considerare l’avventura australiana come positiva.
Serena Williams contro Simona Halep
In più Williams ha offerto un altro ottimo match nel quarto turno, quando da testa di serie numero 16 ha scalzato la testa di serie numero 1 Simona Halep. In fondo per entrambe il confronto era ricco di incognite, il primo vero test stagionale dopo le poche partite di preparazione. Serena ha vinto per 6-1, 4-6, 6-4 in un match che per molti aspetti mi ha ricordato la partita degli US Open 2016. Non solo per il punteggio (allora aveva vinto per 6-2, 4-6, 6-3), ma anche per come tatticamente si è svolto.
Williams è partita chiaramente meglio, ma Halep ha saputo reagire e alzare il proprio livello di gioco nel secondo set. In apertura di terzo set Simona sembrava quasi avere girato l’inerzia del match, ma dopo avere mancato un paio di occasioni di break è stata Serena a ottenerlo: un solo break che ha fatto la differenza.
Davvero quasi la fotocopia del match di New York 2016, incluso, secondo me, lo stesso problema di scelte tattiche discutibili da parte di Halep nel terzo set: vale a dire la tendenza a insistere un po’ troppo sul lato del rovescio di Williams, a volte alla ricerca del contropiede, a scapito di una impostazione del palleggio forse più banale ma probabilmente più efficace, che avrebbe dovuto consigliarle una maggiore alternanza fra i due lati del campo. Questo per mettere alla prova la mobilità di Serena, visto che in un match a geometrie aperte, e dunque con più campo da coprire, sarebbe stata avvantaggiata Halep.
Ecco cosa avevo scritto tre anni fa dopo la partita newyorkese: Nel terzo set “Simona ha rinunciato varie volte al proprio cross di dritto dal centro, privilegiando l’inside out; una impostazione che ha virtualmente ridotto la larghezza del campo che Serena doveva coprire, visto che già il palleggio tendeva a stazionare sulla diagonale dei rovesci. Un scelta che secondo me non ha pagato, e ha consentito a Williams di recuperare energie e lucidità per chiudere a suo favore il match”. Dunque il “problema” tattico (posto che si sia d’accordo con l’analisi) è riemerso quasi identico a distanza di anni: a dimostrazione che spesso l’imprinting di gioco dei tennisti è qualcosa di molto profondo, che in situazioni simili porta ad attuare scelte simili. Anche se non sempre vincenti. L’altro aspetto che secondo me è mancato a Simona è stata, in alcuni frangenti, la profondità di palla.
Ma al di là di tutto, credo che si debba soprattutto sottolineare che si è trattato di un grande match, pieno di scambi fantastici, e con una qualità complessiva molto alta. Come ancora una volta dimostra il saldo vincenti errori non forzati: Williams +13 (44/31), Halep +12 (24/12).
Dunque Halep ha perso al quarto turno, non è riuscita a confermare i punti della finale dello scorso anno e ha perso il primato del ranking WTA, in favore di Naomi Osaka. Tutto negativo per lei? Direi proprio di no, visto che dopo avere saltato il finale di stagione per il problema alla schiena che l’ha in parte rallentata anche in off-season, Simona ha dimostrato di essere avviata sulla strada del completo recupero.
A proposito di questo match aggiungo un’ultima nota riguardo a Williams. In un paio di frangenti su palle in avanzamento giocate nella cosiddetta terra di nessuno, Serena ha sfoderato soluzioni tanto tecniche e sorprendenti che non si possono che definire geniali. A conferma che non si vincono 23 Slam solo con un gran servizio e con la potenza. Ma credo che a pensare questo di Serena siano solo due categorie di persone: gli “odiatori” e gli incompetenti.
Ragionando dunque in termini complessivi sulla parte alta di tabellone, anche se alla fine nel tennis a vincere non può che essere una sola concorrente, e a spuntarla è stata Naomi Osaka, credo che più giocatrici possano considerare come positiva la loro prestazione, e grazie a questo guardare con più ottimismo al resto della stagione.
In conclusione
Ultima nota quasi obbligatoria: questo Slam ha segnato un cambio della guardia sul piano generazionale anche per quanto riguarda il ranking WTA. Ora al numero uno di trova una tennista di appena 21 anni come Osaka, che in più e stata capace di interrompere la sequenza di otto nomi diversi che aveva caratterizzato gli Slam degli ultimi due anni; la riepilogo dagli Australian Open 2017 in poi: Williams, Ostapenko, Muguruza, Stephens, Wozniacki, Halep, Kerber, Osaka e ancora Osaka.
Naturalmente è presto per esprimere valutazioni a lungo termine; resta il fatto che Naomi non sembra intenzionata ad assumere il ruolo di meteora: ha conquistato la cima della classifica e dall’alto della prima posizione non dà l’idea, almeno per il momento, di soffrire di vertigini. A Indian Wells, dove l’anno scorso vinse il suo primo grande torneo, avremo una prima importante occasione di verifica.