La spalla di Maria Sharapova comincia – o meglio ritorna – a preoccupare. Dopo averla costretta a ritirarsi dal torneo di San Pietroburgo prima di scendere in campo per gli ottavi di finale contro Kasatkina, la malandata articolazione della siberiana le impedirà anche di partecipare al Premier Mandatory di Indian Wells (QUI l’entry list aggiornata). Masha non attenderà l’evoluzione delle sue condizioni e ha già comunicato che non prenderà parte al torneo in programma tra due settimane e mezzo, che ha vinto nel 2006 e nel 2013 (giocando anche una finale nel 2012).
La russa non era iscritta ad alcun torneo questa settimana né figura nelle liste della prossima, quando si giocherà a Dubai e Budapest. Questo significa che non giocherà almeno fino alla metà di marzo, quando si svolgerà il Mandatory di Miami a cui risulta automaticamente iscritta per classifica. Dagli ottavi di finale persi a New York contro Suarez Navarro lo scorso settembre la russa ha disputato soltanto tre tornei: quello di Shenzhen, l’Australian Open e quello di San Pietroburgo, dove si è appunta ritirata dopo un solo match.
Ridimensionata dai risultati sul campo, quasi 32enne e con il dubbio di poter lottare ancora per vincere uno Slam, il suo vero obiettivo dopo il ritorno dalla squalifica, il riacutizzarsi del dolore alla spalla inaugura prospettive abbastanza fosche sul futuro di Maria Sharapova. Nella sua biografia e in diverse interviste ha confermato come l’operazione subita nel 2008 per la lacerazione dei tendini abbia compromesso la mobilità della sua articolazione, costringendola a modificare in parte il movimento del servizio e più in generale alcuni aspetti del suo gioco. Nonostante questo handicap, una volta presa coscienza della necessità di convivere con il fastidio, la russa è comunque riuscita a vincere tre Slam dopo l’operazione e a tornare in vetta al ranking per tre settimane nel giugno 2012.
Lo stop per l’affaire-Meldonium ha però complicato le cose. Dei tanti proclami che hanno accompagnato il suo rientro in campo nell’aprile 2017 sembra essere stato mantenuto solo quello relativo al suo appeal mediatico, che continua ad essere rilevante nonostante i risultati non all’altezza delle aspettative. La Sharapova post-squalifica ha vinto un solo torneo, a Shenzhen, e non è ancora riuscita a tornare in top 20. Di essere competitiva per vincere uno Slam, poi, per adesso non se ne parla: dal gran rientro di Stoccarda ha giocato sei Major raggiungendo i quarti una sola volta, lo scorso anno a Parigi. E con i nuovi (in realtà vecchi) tormenti della spalla destra le possibilità che questa situazione possa cambiare a breve termine non sembrano altissime, tanto più in un circuito femminile alle prese con un fervido ricambio generazionale.
COME CAROLINE? – Rispettando le dovute proporzioni, e considerando che Caroline Wozniacki è più giovane di tre anni, la situazione di Masha potrebbe essere considerata sovrapponibile a quella della danese. Entrambe devono convivere con un problema di salute non banale: l’artrite reumatoide di Caroline è certamente una condizione più grave, che può avere maggiori ripercussioni sul tenore di vita anche al di fuori dello sport, ma l’impatto (negativo) sulle prestazioni può essere comparato a quello di una spalla destra che fa male e non permette di servire in modo corretto, né di esprimere in campo tutta la potenza delle fibre muscolari. Entrambe hanno cominciato a giocare (e a vincere) quando erano piuttosto giovani, e questo fa sì che le loro carriere siano già state piuttosto lunghe: Sharapova è professionista da 18 anni, Wozniacki da 14. Per tale motivo, entrambe hanno già accarezzato l’ipotesi di abbandonare il tennis. Masha ci ha pensato prima della squalifica, circostanza che le ha poi restituito la voglia di competere, Caroline – lo ha lasciato intendere papà Piotr – sta iniziando a ragionarci adesso che è costretta a convivere con l’infida malattia autoimmune di cui ha ricevuto diagnosi pochi mesi fa.
Maria e Caroline, non certo amiche, si sono incrociate di recente al terzo turno dell’Australian Open. Ha vinto la russa, che non ha saputo superare l’ostacolo successivo rappresentato da una Ashleigh Barty in grande spolvero. Partite che la vecchia Sharapova, spalla o non spalla, avrebbe probabilmente vinto facendo ricorso ad armi non squisitamente tennistiche. La tenacia, la stessa che già a sette anni sui campi di Bradenton (presidiati da un ammirato Bollettieri) non le rendeva possibile annoiarsi tirando per ore e ore lo stesso colpo. Lo sguardo di ghiaccio, affinato in anni di professionismo e affilato come un pugnale; capace di togliere certezze alle avversarie come e più dei suoi colpi piatti e veloci (eredità di uno dei suoi primi coach, Robert Lansdorp).
Armi che oggi valgono la metà di ieri, alle quali le avversarie un tempo intimidite appaiono ormai aduse. Ogni risposta ai servizi non più devastanti di Sharapova sembra oggi nient’altro che la metafora di un ‘È tutto qui quello che sai fare?‘. Come ha brillantemente rilevato Navratilova – che molti anni fa convinse papà Jurij a portare Masha negli Stati Uniti, per farla diventare la numero uno del mondo – oggi la siberiana è vulnerabile agli occhi delle sue avversarie. In queste condizioni, senza essere in grado di lottare per i traguardi che contano davvero, Maria Sharapova potrebbe non giocare a tennis ancora a lungo.