0 – le partite vinte nel circuito maggiore da Brayden Schnur, 23enne canadese, prima dell’ATP 250 di New York. Schnur si è reso autore di un torneo per molti versi simili a quello vissuto appena sette giorni prima da Londero a Cordoba. Il mediocre livello degli ATP 250 di questo mese di febbraio (a Cordoba c’erano solo tre top 20, questa settimana a New York addirittura due soli top 30, Isner e Tiafoe) ha consentito a un altro tennista sconosciuto al grande pubblico di raggiungere quello che sinora è di gran lunga il miglior risultato della sua carriera. Il primo acuto di Schnur era arrivato nel 2014, quando, 19enne e 612 ATP, si qualificò al main draw del Masters 1000 di Toronto dopo aver vinto la sua prima partita contro un top 100, Ebden. Ancora impegnato sino al 2016 nella carriera universitaria, per avere sue notizie tennistiche rilevanti bisogna attendere il 2017, quando entra nella top 200 e sconfigge nuovamente un top 100, Daniel. Riesce così a meritarsi la sua sinora unica convocazione in Davis (rimediando due sconfitte in singolare contro gli indiani Bhambri e Ramanathan).
Il 2018 è stato l’anno del consolidamento tra i primi 200, grazie a una finale e quattro semi a livello Challenger (tutte su campi in duro, all’aperto o indoor, sfruttando l’ottimo servizio di cui è dotato). Il 2019 era iniziato con un’altra finale in un torneo della medesima categoria, che gli aveva permesso il best career ranking di 152. Iscrittosi alle quali del New York Open, le ha superate senza perdere un set contro la WC locale, il 17enne Kingsley, e Popyryn. Ottenuta facilmente la prima vittoria a livello ATP contro lo studente della Columbia University Mingje Lin (6-2 6-1), poi, contro Steve Johnson, 34 ATP, ha mostrato tutta la sua voglia di emergere. Rimonta da 2-5 al terzo e salva due match point (6-4 4-6 7-6), un animus pugnandi che mette in campo anche nei quarti contro Lorenzi (7-6 6-7 7-5) e in semi contro Querrey, secondo top 50 sconfitto a NY, in questo caso dopo aver annullato cinque set point nel primo set (7-6 4-6 6-3). In finale la sua fame di vittoria e capacità di combattente, non sono bastate: contro Opelka, 89 ATP, non è stato sufficiente annullargli cinque match point, tra secondo e terzo set, per impedire la conquista del primo titolo ATP al 21enne statunitense, vincitore col punteggio di 6-1 6-7 7-6.
8 – i tornei giocati dopo la vittoria di Wimbledon, portando a casa appena undici vittorie complessive. Questo il magro bottino con il quale Angelique Kerber è arrivata a Doha per partecipare, per la decima volta in carriera, al Qatar Total Open. La numero 6 del mondo da agosto in poi non è riuscita più a esprimersi a buoni livelli: basti pensare che solo sei delle suddette partite vinte erano arrivate contro top 50, al cospetto delle quali erano invece arrivate ben nove sconfitte. Addirittura, contro le top 20, in sette incontri aveva vinto una sola volta (contro la spenta Osaka del Masters), a testimonianza di come la 31enne tedesca fosse irriconoscibile rispetto a quella vista sino a luglio. A Doha, dove in nove partecipazioni solo una volta aveva superato i quarti (finale nel 2014) è parsa però in netta ripresa, conquistando la prima semifinale dopo il trionfo a Wimbledon, un piazzamento tra l’altro giunto attraverso due vittorie tecnicamente valide. Prima, infatti, Angie ha sconfitto Kontaveit (6-1 7-6), 20 WTA, poi ha avuto la meglio su Strycova (1-6 6-2 7-6), 49 WTA. La resa (6-4 2-6 6-1) contro l’ispiratissima Mertens della settimana qatariota è stata più che onorevole: Kerber è ancora tennisticamente viva.
11 – i Masters 1000 saltati da Gael Monfils per infortuni di vario genere tra il 2017 e il 2018. Numeri che raccontano meglio di mille parole gli svariati problemi fisici che hanno caratterizzato le ultime due stagioni del classe 86 francese, capace di terminare al sesto posto del ranking ATP nel 2016, sinora l’unico anno da lui concluso nella top 10. Anche in un passato meno prossimo l’ex numero 1 juniores (nel 2004) era incappato in vari problemi fisici (tra il 2009 e il 2016 ha saltato ben sette Slam), che non gli hanno però mai impedito di avere una continuità tale da permettergli, dal 2005 sino ad oggi, di disputare almeno una finale a stagione e di sconfiggere almeno un top 10. Grazie anche a sette titoli e ventuno finali (di cui tre nei Masters 1000), oltre all’anno magico rappresentato dal 2016, è riuscito a concludere altre cinque stagioni nella top 20 (2008-11, 2014). Quella continuità persa negli ultimi due anni sembra però ora finalmente ritrovata da Gael, che, prima di Rotterdam, non sconfiggeva nello stesso torneo due avversari della classifica di Medvdev e Goffin dal Masters 1000 di Toronto di due anni e mezzo fa. Il due volte semifinalista Slam (Roland Garros 2008 e Us Open 2016), già finalista a Rotterdam tre anni fa (sconfitto da Klizan), ha prima bissato l’atto conclusivo del torneo, superando nell’ordine Goffin (7-6 7-5), Seppi (4-6 6-1 6-3), Dzumhur (6-1 6-2) e Medvedev (4-6 6-3 6-4). In finale ha poi sconfitto Wawrinka (6-3 1-6 6-2), conquistando l’ottavo torneo della carriera, quello più prestigioso assieme all’ATP 500 di Washington nel 2016, quando in finale annullò un match point a Karlovic.
11 (bis) – il best career ranking di Diego Schwartzman, raggiunto dopo i quarti di finale conquistati al Roland Garros 2018. Un torneo nel quale aveva strappato un set a Nadal, risultando l’unico giocatore a riuscirci nella scorsa edizione dello Slam parigino. Un piazzamento, quello dello scorso giugno, prestigioso e impreziosito dall’averlo ottenuto dopo aver eliminato sulla terra parigina anche ottimi giocatori come Anderson e Coric. Il tennista classe ’92 sembrava a quel punto destinato all’ingresso nella top 10, in ossequio a un rendimento sempre più elevato che gli aveva permesso, un paio di mesi prima, di conquistare a Rio de Janeiro il secondo titolo della carriera, dopo l’ATP 250 di Istanbul nel 2016, e poi di continuare in crescendo i risultati di un anno che aveva aperto alla 26°posizione del ranking ATP. Invece, dopo lo Slam parigino,”Peque”, come viene chiamato Diego, ha iniziato una continua parabola discendente che lo aveva portato ai margini della top 20: dalla stagione sull’erba sino al torneo di casa, aveva vinto appena tre degli undici incontri giocati contro top 40 e, in totale, quindici partite nei successivi quattordici tornei giocati successivamente al Roland Garros. A Buenos Aires, ha conquistato, a distanza di un anno dall’ultima, la quinta finale della carriera nel circuito maggiore: dopo aver sconfitto due top 100 (Bedene col punteggio di 6-4 2-6 6-2 e Ramos con un netto 6-1 7-5) è tornato, a distanza dall’ultima volta , rappresentata dalla vittoria su Anderson a Parigi, ad avere la meglio su un top 10, Thiem, sconfitto (2-6 6-4 7-6) dopo due ore e mezza di battaglia. In finale, invece, nulla ha potuto contro un ispiratissimo Cecchinato, che lo ha annichilito.
12 – la miglior posizione in classifica raggiunta sinora da Elise Mertens. La 23enne belga, allenata da qualche mese dall’australiano David Taylor – coach in passato di diverse campionesse tra le quali Stosur, da lui accompagnata alla vittoria degli US Open nel 2011 – al Premier di Doha ha vissuto la migliore settimana tennistica della carriera. Sebbene il risultato più importante di Elise, ex numero 7 juniores, resta in ogni caso la semifinale raggiunta agli Australian Open nel 2018 – unico Major nel quale ha superato gli ottavi, raggiunti solo altre due volte – non aveva mai conquistato una finale in un torneo della stessa categoria del qatariota, né, tantomeno, le era mai riuscito di sconfiggere due top 10 nel corso della stessa competizione (a Doha saranno addirittura tre).
L’anno scorso, pur vincendo ben tre tornei minori (Hobart, Lugano e Rabat) dopo Melbourne aveva raggiunto appena due quarti in tornei prestigiosi (Montreal e Cincinnati). Durante il 2018 ha confermato la sua attitudine a non perdere le partite in cui giocava da favorita (appena tre le sconfitte rimediate contro tenniste non nella top 50), ma, al contempo, la scarsa capacità di imporsi sulle più forti (successivamente alla vittoria su Svitolina nei quarti degli AO, contro le top ten ha rimediato una sola vittoria e ben sei sconfitte, portando a casa appena un set). L’unica tennista, assieme a Barty, attualmente nella top 20 di singolare e doppio, a Doha è arrivata in semifinale senza perdere un set: prima ha superato Siniakova (6-4 6-2), poi Krystina Pliskova (6-2 7-6) e, infine, Bertens (6-4 6-3), 8 WTA. Eliminando la Kerber (6-4 2-6 6-1) ha ottenuto la finale più importante della carriera, un traguardo che non l’ha appagata: nemmeno quando, contro Halep, è stata sotto di un set e un break, si è data per vinta finendo per rimontare e conquistare un titolo che le ha permesso di tornare nella top 20, al 16 WTA. Una posizione intermedia, perché il vero obiettivo è entrare nella top 10: e se inizia a sconfiggere anche le più forti…
59 – le semifinali giocate nel circuito maggiore da Stan Wawrinka. L’ex numero 3 del mondo, dopo l’operazione al ginocchio sinistro al quale si è sottoposto nell’agosto del 2017, costatatagli la rinuncia alla partecipazione agli Us Open e la contestuale interruzione della serie aperta di cinquanta partecipazioni consecutive agli Slam, era tornato a giocare solo nel gennaio 2018. Un rientro probabilmente affrettato: ad inizio dell’anno scorso Stan arriva in semifinale a Sofia, ma vince una sola partita contro un top 100 e rimedia quattro brutte sconfitte che gli consigliano di prendersi un’ulteriore pausa e tornare solo in prossimità del Roland Garros. Una volta persi i punti della finale 2017 e ritrovatosi 261 del mondo, è stato bravo a rendere il 2018 quantomeno un anno di transizione, chiudendolo come 66 ATP, grazie ai quarti al Masters 1000 di Cincinnati, agli ottavi in quello di Toronto e alla semifinale guadagnata all’ATP 250 di San Pietroburgo. Una stagione archiviata con diciassette partite vinte e altrettante perse, ma, soprattutto, con una continuità ancora da ritrovare. Infatti, contro i primi 30 del mondo il bilancio era stato di sette partite vinte e cinque perse, a testimonianza che momenti sporadici di ottimo rendimento li avesse già avuti e che quel che ancora gli mancava era la capacità di confermarsi nell’arco dello stesso torneo ad alti livelli.
Aveva iniziato il 2019 con i quarti a Doha, sconfiggendo anche Khachanov, ma a Rotterdam ha dato un segnale importante, raggiungendo senza un perdere un set la semifinale più importante per punti e montepremi da quando si è operato. Soprattutto, ha impressionato per la continuità ad alto livello mostrata (ha sconfitto un top 20 e un top 30 nello stesso torneo, come gli era capitato solo a Cincinnati). C’è riuscito avendo la meglio su Paire (7-6 6-1), Raonic (6-4 7-6) e Shapovalov(6-4 7-6). Non pago, dopo venti mesi è tornato a guadagnarsi l’accesso in una finale e lo ha fatto nel miglior modo possibile, sconfiggendo (6-2 4-6 6-4) un top 10 “vero” come Nishikori (nel 2018 aveva eliminato due volte Dimitrov, che però era già in caduta libera). In finale, ha lottato per poi arrendersi davanti a Monfils, ma il ritorno nella top 50 (adesso è 41) è un altro passo intermedio verso una classifica che, a quasi 34 anni, ancora non rende giustizia al suo talento cristallino.
720 – i punti conquistati da Marco Cecchinato con la semifinale raggiunta al Roland Garros 2018. Una dote di punti che lo scorso giugno lo proiettava al 31° posto del ranking, un balzo enorme per chi come lui non era mai stato nemmeno tra i primi 50. Sembrava una cambiale molto difficile da pagare per un giocatore che nel circuito maggiore non aveva ancora vinto una partita fuori dalla terra rossa, vantava un solo titolo ATP e appena due partite vinte a livello Masters 1000. Il vero successo del palermitano è stato proprio quello di aver infranto da luglio in poi una serie di tabù tali da consentirgli innanzitutto di conquistare altri due titoli (Umago a luglio e Buenos Aires la scorsa settimana) sulla terra, certificandogli lo status di tennista tra i migliori in assoluto sul rosso. Non solo: sono anche arrivate le semifinali sull’erba di Eastbourne e quella sul cemento all’aperto di Doha, gli ottavi al Masters 1000 di Shanghai (sconfiggendo due tennisti allora attorno alla top 30 come Chung e Simon). Piazzamenti che certificavano la bontà dei progressi tennistici di Marco e dell’evoluzione del suo bagaglio tecnico. Un processo indispensabile per cercare di ottenere e poi conservare piazzamenti di vertice in un calendario tennistico che solo un paio di mesi all’anno programma tornei importanti sulla terra. Tra la sorpresa generale, ma più che meritatamente, ha incamerato già adesso una sequenza di risultati che da sola copre i punti vinti a Parigi.
Cecchinato, ormai, salito al 17° posto del ranking e a una manciata di punti dal leader del movimento tennistico maschile (Fognini), non ha più nulla da dover dimostrare. Promette bene, piuttosto, che ancora abbia ampi margini di miglioramento in due aspetti molto importanti: i risultati negli Slam (ha vinto partite solo al Roland Garros) e il tennis giocato in condizioni indoor. L’anno scorso in cinque partite giocate al coperto ne ha vinta una sola, perdendo in due set le restanti quattro. A Buenos Aires ha vinto il più bello dei suoi tornei: non solo perché ha iscritto il proprio nome nell’albo d’oro di una competizione ricca di ex numeri 1 (Kuerten, Moya, Ferrero e Nadal) e nemmeno per averlo conquistato senza perdere un set nel corso della settimana. Piuttosto, questa volta è differente la valenza tecnica, di maggior spessore, degli avversari sconfitti. Lo scorso aprile, infatti, per vincere a Budapest Marco incontrò un solo top 50 (Dzhumur), mentre a Umago addirittura non dovette sconfiggere alcun top 70. Nella capitale argentina, invece, dopo aver vinto col medesimo punteggio (6-4 7-6) contro avversari dalla classifica attorno alla 100°posizione come Garin e Carballes Baena, in semifinale ha eliminato (6-4 6-2) Pella, 50 ATP, e in finale(6-1 6-2) Schwartzman, 19 ATP ,in quella che è stata la sua prima vittoria contro un top 20 successiva al Roland Garros. E ora, si avvicina la vetta della classifica dei tennisti italiani, distante appena una posizione e 134 punti.