Nel 2015 Belinda è una giovanissima promessa, la più precoce esponente della generazione speciale nata nel 1997 (Bencic, Kasatkina, Ostapenko, Osaka, Konjuh). Per molti aspetti è lei che ha fatto da apripista al gruppo di giovani talenti pronte a scalare i vertici del tennis mondiale. Dopo l’ottimo 2015 (2 tornei e 40 match vinti) inizia bene anche la stagione successiva: semifinale a Sydney, quarto turno agli Australian Open, finale a San Pietroburgo. Tre anni fa esatti, nel febbraio 2016 entra per la prima volta in Top 10, ancora diciottenne (è nata il 10 marzo 1997), e nello stesso mese raggiunge anche il best ranking: numero 7 al mondo.
Tutto sembra procedere per il meglio, ma in realtà nel giro di qualche settimana le sue certezze si sgretolano, per una serie di problemi fisici di diversa natura. In aprile deve rinunciare alla convocazione in Fed Cup: a Charleston per una caduta si era fratturata l’osso sacro, ed è obbligata a fermarsi. E questo guaio la costringe a saltare l’intera stagione sulla terra rossa, Roland Garros incluso.
Si ripresenta nei tornei su erba, ma deve ritirarsi da Birmingham per una elongazione all’adduttore destro. Finalmente tutto sembra rientrato per Wimbledon 2016, dove inizia molto bene: sconfigge per 6-2, 6-3 una specialista dell’erba come Tsvetana Pironkova (semifinalista sui prati londinesi nel 2010) lasciando davvero una ottima impressione. Invece durante il match di secondo turno contro Julia Boserup dopo aver vinto il primo set deve ritirarsi per un dolore al polso. Da inviato, mi è rimasta impressa la sua conferenza stampa post-partita, perché a distanza di tempo suona paradossale, tristemente beffarda. Di fronte alle domande dei giornalisti sulla sua condizione, appare piuttosto serena: “È il polso sinistro. Non so ancora cosa sia, ma non è niente di troppo serio. Penso di doverlo far controllare. È iniziato un paio di giorni fa”. “Nothing too serious”: dice proprio così Belinda; e invece quel problema al polso si rivela estremamente complicato, al punto da mettere a rischio la carriera.
Si può dire che da allora per alcuni anni non si vedrà più la vera Bencic. Inizialmente prova a convivere con il dolore, ma i risultati ne risentono drasticamente: su 9 tornei affrontati nel resto della stagione, 7 volte perde al primo turno, vincendo appena tre partite. E così, a distanza di dodici mesi, scaduti i punti della finale di San Pietroburgo 2016, Belinda esce dalle prime cento del ranking: numero 125 nel febbraio 2017.
Non ha ancora compiuto 20 anni, eppure c’è chi solleva dubbi sul suo futuro sportivo. La difficoltà a giocare con regolarità, le pause forzate, i problemi anche ad allenarsi: a questo si somma l’inevitabile stress determinato dalla crisi di risultati; e così oltre al polso diventa un problema anche mantenere la condizione fisica ideale. Immagino che per lei non debba essere stato facile affrontare il problema del sovrappeso, in aggiunta a tutto il resto; anche perché si tratta di un genere di esperienza che viene amplificata dai “social”; basta misurarlo con alcuni commenti mandati a Ubitennis, inutilmente crudeli, per avere una idea della situazione.
Nel maggio 2017, Bencic decide di farsi operare al polso sinistro, per superare un problema che le terapie conservative non sono riuscite a risolvere. Quando torna a giocare, alla fine del settembre 2017, è scesa oltre il 300mo posto. La ripresa avviene attraverso i tornei ITF: ne vince tre negli ultimi mesi dell’anno, ma il suo tennis migliore è ancora lontano. Anche perché nel 2018 ci si mette una frattura da stress al piede a ritardare il recupero della forma ideale: salta Miami e Lugano, dove da giocatrice di casa era una delle attrazioni più attese. Una volta rientrata occorre aspettare il torneo di Lussemburgo, in ottobre, per cominciare a rivedere un rendimento almeno in parte paragonabile a quello pre-infortuni.
Penso che la vicenda di Bencic sia una ulteriore conferma di quanto il tennis attuale sia equilibrato e vicino nei valori. Oggi per tornare ad alti livelli non basta più essere guarite, occorre anche essere in grado di esprimersi quasi ai propri massimi, perché altrimenti le avversarie non lasciano scampo. I rendimenti si sono avvicinati molto, al punto che tra le primissime giocatrici e le cosiddette “seconde linee” basta poco per ribaltare i risultati.
Dopo un infortunio innanzitutto si deve essere clinicamente a posto, ma poi quasi sempre è necessario anche un lungo percorso di recupero del ritmo-partita, che permetta a poco a poco di ritrovare il proprio livello di gioco. Nel tennis contemporaneo l’alternanza tra buoni match e sconfitte contro avversarie ritenute sulla carta inferiori è diventata la regola delle “convalescenze agonistiche”.
A smentire questa regola, di recente mi viene in mente solo il caso di Petra Kvitova, capace di vincere a Birmingham 2017 al secondo torneo dal suo ritorno (in seguito al ferimento alla mano sinistra del dicembre 2016). Ma Kvitova è una tennista particolare, visto che da sempre è abituata ad allenarsi meno della media delle sue colleghe, e a fare molto affidamento su un talento naturale superiore, che soprattutto sui campi più veloci riesce ancora a fare la differenza. Per quanto riguarda Belinda, invece, credo vada considerato anche un altro aspetto fondamentale.
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