Dopo un sabato evidentemente fiaccato dal ritiro di Nadal, che ha preferito far salire a 15 il numero di tornei (programmati) e non portati a termine sul cemento dal ritiro di Bercy a fine 2017 piuttosto che a 39 il numero delle sfide con il rivale Federer, l’edizione 2019 del BNP Paribas Open si chiuderà con le finali Federer-Thiem e Andreescu-Kerber.
Prima di tutto un’ammonizione a tutti coloro che hanno realmente valutato l’ipotesi di estendere la regola dei lucky loser anche alle sconfitte nel tabellone principale, così da permettere a Khachanov di affrontare Federer in luogo di Nadal. No, assolutamente. Esiste una linea di demarcazione piuttosto netta tra eventi di qualificazione ed eventi principali, e nonostante possa provocare di tanto in tanto qualche stortura – giocatori che si sudano la qualificazione e beccano un primo turno impossibile al cospetto di altri che perdono, vengono ripescati e battono al primo turno un carneade svogliato – è fondamentale che questa linea rimanga. Chi perde una partita del main event va a casa, a meno che non si stia giocando all’interno dell’02 Arena (e speriamo di poter dire Pala Alpitour tra un paio d’anni).
Poi della scelta di Rafa. Comoda, irrispettosa verso avversario e tifosi, evitabile, inevitabile? Se lo spagnolo decide di rimettere la racchetta nel borsone significa che sa di non poter competere e di conseguenza di non poter regalare a noi uno spettacolo decoroso. Dispiace per i tifosi, specie per quelli che si sono svenati sul mercato secondario per comprare un biglietto e poter assistere alla sfida, e dispiace un po’ per Federer che ancora qualche credito da vantare nei confronti della sua rivalità con Nadal ce l’ha e avrebbe meritato di affrontare lo spagnolo in condizioni a lui favorevoli. Stiamo però anteponendo una statistica del tutto parziale – i confronti diretti – al resto della carriera di due formidabili campioni, e niente potrebbe essere più sbagliato. Del resto, se Nadal fa ormai una fatica immensa a portare a termine un torneo sul veloce, Federer ha mancato due stagioni e mezzo di terra battuta.
È un peccato, ‘shit happens‘ come ha brillantemente sintetizzato la collega Carole Bouchard, ma si va avanti. Nadal ha già guadagnato 360 punti laddove lo scorso anno tra Indian Wells e Miami non ne aveva raccolto nessuno, e deve prepararsi a difendere l’enormità aritmetica dei 4680 punti della stagione 2018 su terra battuta. Per un ragazzo che compirà 33 anni tra meno di tre mesi e ha vinto 115 (!) semifinali su 151 giocate in carriera, provare a vincere la 116esima – senza i favori del pronostico – ma rischiando di compromettere una stagione appena iniziata non è una priorità. Nadal può permettersi di sacrificare sull’altare di faccende che lui ritiene più importanti una partita che Kukushkin avrebbe giocato anche con 39 di febbre (e senza la seconda di McEnroe, che Beppe Viola avrebbe volentieri barattato con una temperatura corporea perenne di 37 gradi e 2). Funziona così lo sport dei grandissimi, scelte di prospettiva e non di pancia, quelle che accontenterebbero noi tutti nell’immediato e farebbero scontenta una sola persona, il diretto interessato, che poi è l’unico deputato a prenderle. Lo aveva poi confermato Federer, dichiarando piuttosto apertamente che il Fedal conta più per tutti gli altri che per Federer e Nadal stessi. Ha ragione.
Dispiace perché tutto questo ciarlare di una partita che non si è giocata ha messo in ombra il bravissimo Thiem che ha escluso l’altrettanto bravo Raonic, che in tanti – compreso il sottoscritto – si sarebbero aspettati di vedere in finale di fronte a Federer dopo l’eliminazione di Djokovic. Sotto il profilo del coraggio l’avrebbe certamente meritato: come ha più volte sottolineato il nostro inviato Luca Baldissera, è quasi l’unico, ormai, che affronta i tornei attaccando all’arma bianca. E se riuscirà a mantenersi integro sarà pericolosissimo per tutta la stagione, dall’erba al cemento, e persino forse sulla terra dovesse trovare condizioni particolarmente favorevoli.
Thiem ha certamente avuto fortuna quando Monfils, forse il giocatore che più scoppia(va) di salute nel circuito maschile in queste settimane, ha rinunciato ad affrontarlo nei quarti di finale per un problema al tendine d’Achille. Contro Raonic è stata però una vittoria pulita meritata. Andate a riguardarvi i due punti (un’intelligentissima risposta bassa sull’incombente serve&volley del canadese e una sbracciata di rovescio a tutto braccio) che hanno deciso il tie-break del primo set, o più in generale la maturità con la quale ha protetto il break estorto al canadese a metà terzo set.
Contro Federer – non prima delle 23:30 italiane – sarà veramente difficile conciliare la necessità (biomeccanica, nel suo caso) di prendersi tutto il tempo per colpire e l’obbligo di non scappare troppo dal campo per evitare che a metterci piede sia solo lo svizzero; la vittoria ottenuta nel confronto diretto del 2016 sull’erba di Stoccarda fa davvero poca giurisprudenza, perché era un Federer parecchio zoppicante, prima che rintracciasse – chissà dove – l’elisir di giovinezza che da gennaio 2017 l’ha praticamente rimesso a nuovo, salvo qualche fisiologica pausa qui e là.
Alle ore 21 avremo anche una finale femminile molto interessante, la prima in un Premier Mandatory sia per la giovanissima Bianca Andreescu che per la ben più esperta Angelique Kerber. Di Bianca vi abbiamo raccontato come gioca e quali sono i segreti della sua personalità dirompente a soli 18 anni, e grazie al provvidenziale giorno di riposo dovrebbe anche aver recuperato una parte delle energie psicofisiche che le hanno permesso di sopravvivere all’estenuante sfida tennistica proposta da Elina Svitolina.
Contro Kerber sarà ancora più difficile perché la tedesca non difende peggio dell’ucraina, ha più punch con il dritto ed è mancina. Quest’anno Bianca ha affrontato e battuto tre mancine senza perdere set, ma erano le ben meno temibili Rus e Teichmann oltre all’ancora convalescente Buzarnescu. Banalmente, Kerber ha vinto tre Slam quindi ‘sa come si fa’, nonostante una finale in un Premier di tale rango non l’abbia mai giocata.
Chi altri sa come si fa è certamente Tennis Canada, che non ha fatto in tempo a finire di sfregarsi le mani per la repentina ascesa di Auger-Aliassime che ha dovuto sospendere l’attività per concentrarsi sull’exploit persino più incredibile di Bianca Andreescu, la più giovane finalista qui a Indian Wells dai tempi di Serena Williams nel 1999. A premiarla arriva anche la gran bella iniziativa di trasmettere la finale in diretta streaming su Twitter grazie all’appoggio di DAZN Canada. Belle storie, speriamo di poterne raccontare qualcuna anche qui in Italia non troppo tardi.