1 – il set conquistato dai tennisti italiani a Indian Wells. Erano complessivamente quattro ai nastri di partenza dell’importante Masters 1000 californiano, nato nel 1976 (la prima edizione fu vinta da Jimmy Connors) ma il solo Berrettini, contro Querrey, ha strappato quantomeno un parziale. Per il resto, tutte sconfitte nette per gli altri tre azzurri: Fognini, Cecchinato e Seppi sono stati battuti in due set. Una serie di risultati resa ancora più amara dalla circostanza che i loro avversari (rispettivamente, Albot, Ramos Vinolas e Gojowczyk) avessero una peggior classifica.
Non era nemmeno andata meglio nelle quali maschili (un solo azzurro al turno decisivo, Caruso, vincitore del derby con Lorenzi e tre sconfitte immediate per Fabbiano, Quinzi e Vanni). Ancora peggio, se possibile, è andata nel settore femminile: con Giorgi costretta a dare forfait per il secondo anno consecutivo, l’unica tennista italiana a giocare in California è stata Sara Errani. L’emiliana, rientrata un mese fa nel circuito a seguito della conclusione della squalifica per doping, dopo aver avuto la meglio su Watson (in quella che paradossalmente è stata l’unica vittoria di un tennista italiano nell’edizione 2019 del torneo), si è fermata l’indomani contro Voegele.
Indian Wells è stato uno specchio piuttosto fedele di un primo quarto di stagione negativo per il tennis italiano: un solo titolo conquistato (quello di Cecchinato a Buenos Aires) non basta a compensare risultati piuttosto modesti, testimoniati crudamente dalla Race To London, che non vede nessun azzurro nella top 30 e i soli Cecchinato e Seppi nella top 50. Ancora peggiore la situazione nell’analoga classifica settore femminile, con la Giorgi all’83° posto e la seconda azzurra, Trevisan, al 190°. Per fortuna questo 2019 non può che migliorare per il tennis italiano.
2 – le vittorie contro top ten ottenute da Roger Federer negli ultimi 12 mesi a fronte di sei sconfitte rimediate nello stesso periodo contro tennisti in questo range di classifica. Un campione numerico troppo piccolo per costituire qualcosa di più di un indizio, ma che stride comunque con quanto il campionissimo svizzero aveva fatto nei quattordici mesi precedenti allo stesso periodo preso in considerazione. Da quando infatti nel gennaio 2017 Federer era tornato nel circuito dopo l’intervento di artroscopia al ginocchio per la rottura del menisco avvenuto nell’estate 2016, era arrivato alla finale dell’edizione 2018 di Indian Wells perdendo solo due dei diciotto confronti giocati con tennisti nella top 10.
Un rendimento che lo aveva aiutato a risalire dalla diciassettesima posizione del gennaio 2017 al primo posto nel ranking, recuperato a febbraio 2018: in quel lasso temporale Roger aveva perso appena cinque delle sessantanove partite giocate. Qualcosa è cambiato dopo la finale inopinatamente persa contro Del Potro l’anno scorso nel Masters 1000 californiano: si è verificata una perdita di certezze e un fisiologico quanto leggero calo fisico testimoniato da vari fattori. Non ci riferiamo al solo bilancio negativo contro top ten, ma anche all’incapacità di portare a casa titoli pesanti, con due sole finali raggiunte, entrambe perse, nei Masters 1000 (la scorsa settimana ad Indian Wells e lo scorso agosto a Cincinnati) e un solo quarto di finale giocato negli Slam (non gli accadeva da Wimbledon e Us Open 2013 di non giocare almeno i quarti a due Major consecutivi). La sua immensa classe e il fulgido talento di cui è dotato gli hanno consentito di vincere due ATP 500 importanti come Basilea e Dubai, oltre che il 250 di Stoccarda, ma per uno come lui, abituato a essere grande protagonista nei tornei che contano, restano risultati secondari.
Chiariamo: desta tanta meraviglia e ammirazione un atleta di trentasette anni e mezzo capace di essere il quinto al mondo in una disciplina iperprofessionistica e altamente competitiva come il tennis, sport che non aveva mai conosciuto negli ultimi quaranta anni tali risultati da parte un atleta di questa età. I dati dei suoi risultati nell’anno solare sono piuttosto “preoccupanti”, ma non costituiscono una critica a chi ha vinto tutto. Indicano una tendenza, ma non certo una regola per chi, come Federer, ha diverse volte, col suo immenso talento, sbalordito gli appassionati.
3 – i Next Gen arrivati agli ottavi del singolare maschile di Indian Wells. In California, tra i tennisti con le credenziali d’età per partecipare il prossimo novembre alle Finals di Milano, si sono messi in mostra Shapovalov, Kecmanovic e Auger-Aliassime, accomunati tra loro dall’essere così giovani da dover ancora compiere venti anni. Con l’eliminazione nelle loro partite d’esordio dei tre tennisti Next Gen partiti meglio nel 2019 – Tsitsipas, De Minaur e Tiafoe- a fare le loro veci si sono messi i due giovani canadesi e -lo sconosciuto ai più- serbo. Il biondo mancino di origini russe, a Indian Wells, dopo aver eliminato Johnson (6-3 6-4), ha ottenuto contro Cilic (6-4 6-2) la seconda miglior vittoria della carriera -per ranking dell’avversario sconfitto- dopo quella ottenuta ai danni di Nadal a Montreal 2017.
Auger-Aliassime -esordiente nella top 100 lo scorso mese in seguito alla finale all’ATP 500 si Rio e ai quarti al 250 di San Paolo- ha sconfitto per la prima volta un top 10, Tsitsipas (6-4 6-2), per poi cedere il passo, dopo tre ore di una altalenante partita, a Nishioka, vincitore col punteggio di 6-7 6-4 7-6. Per quanto riguarda l’ex numero 1 del mondo juniores (posizione con la quale ha chiuso il 2016), finalista agli US Open junior tre anni fa e vincitore dell’Orange Bowl nel 2015, dopo i quarti raggiunti a Indian Wells è entrato questa settimana nella top 100. Un importante traguardo raggiunto abbastanza a sorpresa, specie considerando che prima della California il serbo aveva vinto una sola partita nel circuito maggiore (a Brisbane contro Mayer) e solo due partite contro top 100.
A Indian Wells è stato anche fortunato: infatti, il 19enne serbo, sconfitto al tie-break del terzo da Giron nell’ultimo turno delle qualificazioni, è stato poi ripescato come lucky loser nel tabellone principale, dove, prima di arrendersi ai quarti di fronte a Raonic, ha sconfitto Marterer (6-3 6-2) e per la prima volta un top 50, Djere (6-2 7-6). Negli ottavi, poi, si è pure avvantaggiato, dopo aver vinto il primo set, del ritiro di Nishioka. Ai buonissimi risultati di questi under 20, negli ottavi si sono poi aggiunti ben altri cinque under 25 (Thiem, Edmund, Khachanov, Hurkacz, Nishioka), con la vittoria del titolo da parte dell’austriaco e altri due di essi issatosi sino ai quarti. Lunga vita tennistica ai “vecchi” eroi contemporanei del nostro sport, ma dietro di loro, qualcosa si sta inevitabilmente muovendo.
5 – le sconfitte consecutive rimediate da Fabio Fognini dopo aver raggiunto il terzo turno agli Australian Open. Una serie di risultati negativi che hanno inciso anche sulla classifica del ligure classe 87, sceso al diciassettesimo posto del ranking. Non accadeva dal finale del 2012, quando ancora non era ancora mai entrato nella top 40 della classifica ATP, che l’azzurro incappasse in una tale serie negativa di partite perse. Un dato che fa comprendere appieno il difficile momento vissuto dall’azzurro: sette anni fa tre di quelle sconfitte arrivarono contro top 30, mentre questa volta ben quattro sono pervenute contro giocatori non tra i primi 50 del ranking. Fabio ha le sue giustificazioni: purtroppo non è al meglio fisicamente e quindi è incapace di esprimere il suo miglior tennis.
La sua fortuna è che sino agli Internazionali d’Italia ha una piccola dote di punti da difendere: ha dunque tempo e modo per riprendersi in questi due mesi. Dal punto di vista della fiducia e dell’autostima tennistica parzialmente persi in questo difficile inizio di 2019, potrebbe poi averlo aiutato la semifinale raggiunta in doppio in coppia con Novak Djokovic. Aver sconfitto tennisti e/o specialisti di ottimo livello (nell’ordine Raonic-Chardy, Shapovalov- Tecau e Rojer Bopanna, prima di cedere al long tie break a Kubot e Melo) può essere stata un’ottima iniezione di autostima, utile a rivederlo in ripresa già a Miami.
6 – le partite vinte ad Indian Wells da Dominic Thiem per aggiudicarsi il primo Masters 1000 della carriera. Un risultato più che sorprendente per il 25enne austriaco, che in California alla vigilia del torneo aveva annunciato l’ingaggio di Nicolas Massu come suo nuovo coach, proprio per provare a migliorare il rendimento sul cemento all’aperto. Una condizione di gioco sulla quale era giunto appena tre volte ai quarti nei Masters 1000 e una sola nei Major (lo scorso anno agli US Open), e dove aveva vinto un solo titolo in carriera (Acapulco 2016, torneo nel quale non aveva affrontato nessun top 20 per portare a casa il trofeo).
Contro i primi 20 del mondo sul cemento (indoor o outdoor) è arrivato in California avendo vinto appena 14 dei 49 incontri disputati. Un misero bottino, sebbene già negli ultimi mesi dei miglioramenti si fossero intravisti. Lo scorso settembre a New York ha centrato il primo quarto di finale in uno Slam non giocato sulla terra rossa: per riuscirci ha sconfitto in ottavi il finalista della precedente edizione, Anderson, per poi prodursi in una memorabile partita contro Nadal nel turno successivo. A San Pietroburgo aveva poi vinto il primo titolo indoor e successivamente aveva conquistato per la prima volta l’accesso alla semifinale al Masters 1000 di Parigi Bercy. Un’inerzia senz’altro positiva del rendimento del suo tennis fuori dalla amata terra battuta, che però non poteva far immaginare l’exploit californiano, anche perché la trasferta australiana di gennaio era stata deludente. Invece, a Indian Wells ha conquistato il dodicesimo e sin qui più importante titolo della carriera, aiutato anche dal sempre indispensabile pizzico di fortuna, che gli aveva consentito di saltare il durissimo match dei quarti contro Monfils, ritiratosi prima di scendere in campo.
Dopo aver avuto vita facile nei primi tre turni contro tennisti sempre insidiosi come Thompson (6-4 7-5), Simon (6-3 6-1) e Karlovic (6-4 6-3), in semifinale ha saputo soffrire (7-6 6-7 6-4) per avere la meglio su Raonic. In finale, un altro incontro conclusosi al fotofinish, tra l’altro rimontando un set di svantaggio, gli ha aperto le porte del paradiso: Thiem ha superato Federer (3-6 6-3 7-5) portandosi, grazie ai mille punti guadagnati, al quarto posto del ranking.
7 – l’attuale best career ranking di Belinda Bencic. La 22enne tennista svizzera (di origini slovacche) sembra sempre più destinata a migliorarlo dopo un ottimo inizio di 2019, che la vede questa settimana alla terza posizione della Race. Un anno iniziato al 55°posto del ranking WTA e battezzato con la vittoria della Hopman Cup con Federer, proseguito con la semifinale ad Hobart, la vittoria dei due singolari in Fed Cup contro l’Italia e, soprattutto, la conquista del terzo titolo della carriera, il Premier 5 di Dubai (dopo quelli vinti a Eastbourne e Toronto nel 2015).
Negli Emirati la “predestinata” -nel 2013 aveva vinto i titoli juniores al Roland Garros e a Wimbledon- aveva mostrato di essere tornata alla piena efficienza fisica e alla completa padronanza del suo tennis. Eliminava, dopo Hradecka e Voegele nei primi due turni, ben quattro top ten in tre set- Sabalenka (annullandole ben sei match point), Halep, Svitolina e Kvitova- rientrando nelle prime 30 del mondo dopo un’assenza di due anni e mezzo. Un serio problema al polso sinistro, la successiva operazione e la degenza l’avevano infatti estromessa addirittura dalla top 300 nel settembre 2017. Belinda però aveva troppo fame di tennis per arrendersi e già a gennaio 2018 era rientrata nelle prime 100.
Chiudeva in crescendo l’anno scorso, raggiungendo la finale all’International di Lussemburgo e vincendo un ITF, risultati che hanno preparato il ritorno di queste settimane ai suoi vecchi livelli. Una qualità ottima di tennis confermata anche a Indian Wells, dove, dopo aver concesso pochi giochi a due top 100 come Van Uytvanck (6-4 6-1) e Alexandrova (6-4 6-2), ha sconfitto facilmente la numero 1 del mondo Osaka (6-3 6-1) e ha avuto la meglio su Pliskova (6-3 4-6 6-3). In semifinale Kerber si è imposta facilmente (6-4 6-2), ma ventidue partite (senza considerare le quattro in Hopman cup) già giocate nel 2019 giustificano e consolano ampiamente la svizzera.
28 – le partite già vinte nel circuito maggiore da Bianca Andreescu – tra tabelloni principali WTA e Fed Cup- a fronte di dieci sconfitte. Un’ottima percentuale di successi, pari a circa il 74%, per la Millenial attualmente più pronta a competere ad altissimi livelli. La tennista canadese si era fatta conoscere già nel 2017, anno nel quale vinse da juniores due titoli di doppio negli Slam (Australian Open e Roland Garros). Tra le pro, nella stessa stagione riuscì invece a qualificarsi a Wimbledon e conquistare inoltre i primi sei match giocati tra singolare e doppio in Fed Cup (nel gruppo I). Bianca sconfiggeva nella stessa competizione a squadre nazionali, a nemmeno 17 anni compiuti, Shvedova allora 51 WTA.
Due anni fa saliva sino al 143° posto del ranking, collezionando scalpi prestigiosi come quello di Giorgi e Mladenovic, allora 13 WTA. Il 2018, è stato un anno di fisiologico assestamento, nel quale ha conquistato comunque due tornei ITF e altrettante finali nella stessa categoria, risultati che le hanno permesso di chiudere come 152 WTA. A gennaio ad Auckland si è distinta superando due ex numero 1 come Venus Williams e Wozniacki (che era anche la prima top 10 sconfitta in carriera), per poi arrendersi solo in finale a Georges: diveniva in tal modo la quarta tennista nata dal 2000 in poi ad arrivare così avanti in un evento WTA. Risultati a cui hanno fatto seguito la vittoria nell’ITF di Newport Beach e la semifinale ad Acapulco, dove ha eliminato Buzarnescu e Zheng, rispettivamente la quinta e sesta top 40 sconfitta da quando è nel circuito maggiore. Una serie di risultati che l’avevano proiettata al 60° posto del ranking WTA e fattole guadagnare la wild card ad Indian Wells.
La giovane canadese ha- per usare un eufemismo- ampiamente ripagato la fiducia degli organizzatori: dopo aver rimontato Begu (6-7 6-3 6-3), ha dominato Cibulkova (duplice 6-2), Voegele (6-1 6-2) e due top 20 come Wang (7-5 6-2) e Muguruza (6-0 6-1), terza ex numero 1 sconfitta nella sua precoce carriera. In semifinale è arrivato contro Svitolina il secondo successo contro una top ten (6-3 2-6 6-4). In finale ha completato la sua favola, sconfiggendo Kerber (6-4 3-6 6-4) e trovandosi di conseguenza al 24°posto del ranking. Dopo la vittoria di Osaka l’anno scorso, Indian Wells lancia una nuova stella del tennis femminile.