0 – gli italiani approdati agli ottavi di finale nei tre primi grandi tornei stagionali. Se quantomeno a Melbourne in quattro (Fognini, Fabbiano, Giorgi e Seppi) avevano vinto due partite, a Indian Wells e Miami le cose sono andate ancora peggio. In California si è raggiunto il punto più basso: è stato raccolto appena un set dai quattro rappresentanti azzurri presenti nel tabellone principale. In Florida è andato appena poco meglio rispetto al precedente torneo statunitense. Erano sei gli italiani presenti al Miami Open e solo due di loro hanno ottenuto quantomeno una vittoria: Fognini – ancora in difficioltà psicofisica, ma capace di interrompere una serie di cinque partite perse sconfiggendo, dopo una lunga battaglia, Andreozzi (5-7 6-4 6-4), 80 ATP, prima di arrendersi in due a Bautista Agut – e Sonego. Il piemontese è stata l’unica nota lieta della spedizione azzurra: dopo aver sconfitto nelle quali in due set Ramanathan, 139 ATP, e McDonald, 60 ATP, nel tabellone principale ha ottenuto la seconda vittoria in un Masters 1000 e la sesta contro un top 50 eliminando Klizan (6-4 6-3). Nel secondo turno ha fatto bella figura contro Isner (vincitore con un doppio tie-break).
Per il resto, tre amare sconfitte contro giocatori peggio classificati per Cecchinato – alla terza sconfitta consecutiva sul cemento, ma giunto al terzo turno con un bye e con il walk over di Dzhumur, prima di perdere contro un giocatore forte su quella superficie – Fabbiano e Giorgi, rispettivamente contro Goffin, Ivashka e Marja. Il bilancio della prima parte del 2019 per il tennis italiano è davvero misero: la Race dell’ATP vede Cecchinato al 32esimo posto e Seppi al 43esimo come unici rappresentanti nella top 50. Ancora più preoccupante l’analoga graduatoria femminile, con Giorgi all’ottantottesimo posto che non rientrerà in campo prima del torneo di Istanbul.
3- i tennisti canadesi (Raonic, Shapovalov e Auger-Aliassime) presenti nella top 15 della ATP Race. Davvero un momento magico per il tennis del secondo Stato del mondo per estensione dopo la Russia, che risulta l’unico Paese ad avere quattro giocatori tra i primi 35 di questa stessa classifica, se si considera anche Schnur, finalista all’ATP 250 di New York. Non è dunque più da solo a rappresentare ad alti livelli la sua nazione l’ormai “veterano” – sebbene abbia da poco compiuto 28 anni – e numero 1 del Canada, Milos Raonic, tornato alla piena efficienza fisica in seguito ai vari problemi che negli ultimi due anni, dopo aver chiuso il 2016 al numero 3 del mondo, lo avevano fatto rientrare solo a fine 2018 nella top 20. Una zona di classifica che sembra stare stretta al tennista di origini montenegrine: in questo 2019 ha già fatto quarti a Melbourne (sconfiggendo nettamente Zverev) e semifinali a Indian Wells. Ma è soprattutto il futuro ad essere più che roseo per il tennis maschile canadese, che anche al femminile può vantare la 18enne vincitrice del Premier Mandatory californiano, Bianca Andreescu. I Masters 1000 americani hanno infatti definitivamente lanciato come futuri protagonisti due tennisti nemmeno ventenni: Denis Shapovalov e Felix Auger Aliassime, entrambi questa settimana al best career ranking (rispettivamente, 20 e 33 ATP).
L’ingresso nella top 20 è arrivato per il canadese nato a Tel Aviv dopo la prima semifinale del 2019 raggiunta a Miami (e persa contro Federer). Un piazzamento conquistato venendo fuori – dopo aver eliminato all’esordio Evans (4-6 6-1 6-3) – da tre dure battaglie contro tennisti molto giovani come lui. Prima Rublev (6-3 7-6), poi Tsitsipas (4-6 6-3 7-6, una gran partita) e infine nei quarti Tiafioe (6-7 6-4 6-2). Shapovalov ha così ottenuto una sorta di definitiva legittimazione tra i grandi, dopo aver già raggiunto la semifinale al Masters 1000 di Madrid lo scorso maggio e nel 2017 a Montreal.
Auger-Aliassime, sino a un mese e mezzo fa fuori dalla top 100, nella quale è entrato con la finale sulla terra rossa all’ATP 500 di Rio, aveva confermato di meritarla ampiamente a Indian Wells, con la vittoria su Tsitsipas. A Miami ha fatto ancora meglio, vincendo ben sette incontri. Prima le due partite delle quali ai danni di due tennisti azzurri (Vanni e Lorenzi, eliminati come il terzo italiano ad averci provato nel tabellone cadetto, Quinzi), poi è venuto fuori con carattere da partite lottate contro Ruud (3-6 6-1 6-2), Fucsovics (6-4 4-6 6-0) e Hurkacz (7-6 6-4). Dagli ottavi, prevalendo su Basilashvili (7-6 6-4) e Coric (7-6 6-2) ha ottenuto rispettivamente la quarta e quinta vittoria, a nemmeno 19 anni, su tennisti nella top 20. In semifinale si è arreso con un doppio tie-break a Isner.
Ottime notizie per lo stato di salute del tennis canadese, un pò meno per l’Italia, che a Madrid affronterà il Canada il prossimo 18 novembre, nell’esordio della nuova formula della fase finale della Coppa Davis.
4 – le sconfitte rimediate contro tenniste non comprese nella top 50 negli ultimi ventiquattro mesi da Ashleigh Barty. Se si considera che tre di esse sono arrivate nel 2018 contro giocatrici ex numero 1 (Azarenka a Tokyo e Serena Williams al Roland Garros) e una contro la vincitrice degli ultimi due Major (Osaka a Melbourne dell’anno scorso) si può ben comprendere il valore della continuità del rendimento dell’autraliana sin dalle prime fasi della sua “seconda” carriera. Come è infatti noto, dopo un brillante percorso tra gli Juniores (finale a Wimbledon e semi agli Us Open nel 2011) nel suo passaggio al professionismo era riuscita solo nel doppio a confermare le grandissimi aspettative che i connazionali riponevano su di lei (finali nel 2013 in tre Major su quattro: a Melbourne, Londra e New York). Una pressione troppo forte che le aveva tolto la gioia di essere in campo e che l’aveva spinta nel 2014 a ritirarsi e dedicarsi all’altra sua passione, il cricket.
Dopo aver fortunatamente sentito nostalgia del tennis, rientrava nel circuito nel 2016. Tuttavia è il 2017 l’anno della svolta: partita da 271 WTA, chiude in top 20 grazie al titolo a Kuala Lumpur e due finali nei Premier di Birmingham e Wuhan, torneo nel corso del sconfigge ben tre top 10 (Pliskova, Ostapenko e Konta). Nel 2018 continua la sua crescita e finisce al quindicesimo posto grazie alla alle vittorie al “Masters B” di Zhuhai e a Nottingham, nonché alla finale di Sydney. Quest’anno ha perso solo tre partite, sempre contro top 10 (due volte Kvitova e una Svitolina), in quello che era l’unico “neo” rimastole dal 2018 (nel quale aveva vinto una sola delle sette volte che aveva affrontato una tennista tra le prime dieci). Prima di Miami, aveva fatto finale a Sydney e quarti a Melbourne (in ambo i casi sconfitta dalla mancina ceca). In Florida è riuscita, per la prima volta da quando è giocatrice affermata, a sconfiggere nello stesso torneo ben tre delle tenniste migliori. Infatti, dopo aver superato facilmente Yastremska e Stosur, ha avuto la meglio su Bertens (4-6 6-3 6-2), finalmente su Kvitova (7-6 3-6 6-2), in semi su Kontaveit (duplice 6-3) e in finale su Karolina Pliskova (7-6 6-3). Il terzo e più importante titolo della sua giovane carriera le ha consentito di entrare nella top 10 di singolare – sei anni dopo l’ultima australiana, Stosur – zona di classifica che occupa dal 2018 anche nel doppio, trovandosi così a essere l’unica tennista attualmente a riuscire in questa accoppiata.
5- le vittorie di John Isner a Miami, tutte in partite che hanno avuto al loro interno dei tie-break. In Florida il 10 ATP ne ha vinti ben nove di fila, arrivando in finale senza perdere un set, come non gli era mai accaduto nelle precedenti quattro finali raggiunte nei Masters 1000 (quelle perse a Indian Wells nel 2012, a Cincinnati nel 2013 e a Bercy nel 2016, oltre a quella vinta proprio a Miami lo scorso anno). Era invece già successo nella lunga carriera del classe 85 statunitense di vincere nello stesso torneo cinque partite nelle quali aveva giocato e vinto dei tie-break: nella finale di Washington 2007 persa contro Roddick, la prima della carriera (ebbe una wild card da 416 ATP, imponendosi così nel grande tennis), nel titolo vinto a Newport 2012 in finale su Hewitt e nella semifinale a Roma di due anni fa. Solo sull’erba del Rhode Island, come a Miami, Isner aveva avuto una percentuale di successo nel gioco decisivo del 100%, ma ne aveva però giocati solo cinque (a Washington il bilancio era invece stato di 7 vinti e 4 persi, a Roma di 7-1). Per arrivare quantomeno in finale al Miami Open e conservare così un posto nella top 10, il numero uno statunitense non ha dovuto affrontare nessun top 20: dopo aver eliminato il nostro Sonego, ha estromesso Ramos (unico al quale ha strappato un set senza l’aiuto del tie-break), due tennisti tra i primi trenta come Bautista Agut e Edmund e, in semifinale, un teenager in piena ascesa come Auger-Aliassime. Curioso notare anche come Isner, prima di Miami, nel 2019 avesse vinto solo sette dei diciassette tie-break giocati: aveva anche perso ben tre partite i cui set si erano conclusi tutti al gioco decisivo (due volte contro Opelka, una di esse era in un’occasione importante come gli Australian Open). In fondo, il tennis, come la vita, è una ruota.
14 – le partite vinte nel 2019 da Bautista Agut, in questa particolare graduatoria dietro solo a Federer, Medvedev e Tsitsipas (17), Monfils e Isner (15). Una serie di successi che – alla soglia dei 31 anni che compirà il prossimo 14 aprile – lo colloca nella top 10 della ATP Race, e lo riavvicina alla top 20 del ranking, una zona di classifica raggiunta per la prima volta nel 2014 e che ha frequentato con buonissima assiduità in tutte le stagioni successive, issandosi sino al numero 13 e non uscendo in ogni caso mai fuori dai primi 30 del mondo. Pur essendo nato sulla terra battuta e avendo una buonissima adattabilità sul rosso, ha raggiunto appena due delle sedici finali (vincendo quella di Stoccarda nel 2014) su questa superficie. Ha in bacheca titoli vinti in ogni condizione di gioco (erba di S’Hertogenbosh nel 2014, duro indoor a Sofia nel 2016), ma dove si esprime meglio è sul cemento all’aperto, superficie sulla quale ha vinto sei dei nove titoli e raggiunto tre dei soli quattro quarti di finale guadagnati nei Masters 1000 (miglior risultato in assoluto in questa categoria di tornei è la finale a Shanghai nel 2016). Quel risultato venne ottenuto sconfiggendo in semifinale il già allora numero 1 al mondo Djokovic, sconfitto per ben due volte in questo per lui sinora magico 2019. Quest’anno superando anche il campione serbo ha infatti vinto il ricco ATP 250 di Doha, e poi è arrivato per la prima volta nei quarti di finale di un Major (a Melbourne, sconfitto da Tsitsipas dopo aver eliminato Khachanov e Cilic).
Bautista si è confermato tra i giocatori più caldi di questo primo terzo di stagione, arrivando ai quarti a Miami dopo aver bissato il successo di Doha contro Nole (sono pochi i giocatori che possano dire di averlo sconfitto due volte consecutive). Come in Qatar, a Miami ha recuperato un set di svantaggio al numero 1 del mondo, prima di imporsi 1-6 7-5 6-3. In precedenza si era imposto senza perdere un parziale su Tipsarevic(7-6 6-4) e Fognini (duplice 6-4), ma nei quarti si è dovuto arrendere a Isner, vincitore in due tie-break. Ha ritrovato continuità, a livelli forse mai raggiunti prima.
14 (bis) – il best career ranking di Anett Kontaveit, raggiunto dalla 23enne estone dopo la semifinale nel Premier Mandatory di Miami. Uno dei piazzamenti più prestigiosi ottenuti in carriera da questa giovane tennista, capace sinora di vincere un solo torneo -S’Hertogenbosh nel 2017- e di raggiungere altre tre finali, tra cui quella più importante al Premier 5 di Wuhan lo scorso settembre, attualmente il risultato più importante della carriera. In quel torneo, dopo aver sconfitto Stephens (una delle nove vittorie contro top 10 sulle ventidue volte che le ha affrontate) al primo turno, si fermò nella partita conclusiva del torneo solo di fronte a Sabalenka. Dopo una buonissima carriera juniores – ha vinto l’Orange Bowl nel 2011 e raggiunto una finale e due semi nei Major – nel 2015 chiudeva il suo primo anno nella top 100, grazie anche agli ottavi agli US Open, miglior piazzamento negli Slam, bissato al momento solo altre due volte. Dopo aver concluso il 2016 senza acuti e uscendo dalle prime 100, due anni fa si è definitivamente imposta: non solo il suddetto titolo sull’erba olandese, ma anche le finali svizzere a Biel (duro indoor) e Gstaad (terra), piazzamenti che la facevano terminare come 34 del ranking WTA. L’anno scorso, la suddetta finale a Wuhai e le semi ai Premier di Roma e Stoccarda l’avevano fatta entrare per la prima volta nella top 20. Prima della Florida aveva vinto solo sette partite (la più importante contro Kvitova a Brisbane) nei sei tornei ai quali aveva partecipato nel 2019. Miami le ha permesso un balzo importante in classifica, grazie a successi molto sofferti – all’esordio contro Anisimova era sotto 1-3 al terzo prima di imporsi 6-3 1-6 6-4, al terzo turno si è imposta su Tomlianovic 7-6 2-6 7-6 e nei quarti contro la Hsieh ha rimontato da 0-4 nel parziale decisivo per vincere 3-6 6-2 7-5- e a un pizzico di fortuna (il ritiro della Andreescu a partita in corso). In lenta ma costante crescita.
18- le partite vinte nel 2019 da Roger Federer. Già è stupefacente che un tennista di 37 anni e mezzo in questi primi tre mesi dell’anno sia il solo ad aver vinto due tornei e risulti primo nella classifica Race (la graduatoria che considera i soli risultati nella stagione in corso). Se possibile, sorprende però ancora di più che il campionissimo svizzero sia primo anche nel numero complessivo di partite vinte. I campioni in età matura sono solitamente ancora capaci di picchi di rendimento altissimi, ma hanno grandi difficoltà a mantenere nel corso della stagione agonistica un livello alto di forma. Il numero di partite vinte tra l’altro andrebbe ancora incrementato con i quattro match di singolare vinti in Hopman Cup (per inciso, altra competizione vinta quest’anno da Federer assieme a Belinda Bencic). Una manifestazione i cui incontri non sono ufficialmente riconosciuti, ma, seppur probabilmente giocati senza la stessa tensione di una partita di un torneo ATP, restano comunque agonisticamente probanti. In ogni caso, la continuità di rendimento ad altissimo livello dello svizzero – questa settimana tornato a essere al quarto posto della classifica ATP è davvero un caso unico. La vittoria del Miami Open, 101 °titolo della carriera e 28°della categoria dei Masters 1000, toglie ogni dubbio sull’attuale qualità del tennis di un campione che da svariati anni non ha ormai più nulla da dimostrare.
Dopo aver perso a Melbourne in ottavi una partita piena di rimpianti contro Tsitsipas, il campione svizzero aveva trionfato per l’ottava volta a Dubai e raggiunto la finale a Indian Wells, persa di un soffio al cospetto di Thiem. Era legittimo attendersi un filo di stanchezza e di appannamento in Florida e invece Roger – dopo essere stato sotto di un set e aver dovuto annullare una delicata palla break nel settimo gioco del secondo parziale nel suo esordio contro Albot (4-6 7-5 6-3) – ha avuto un impressionante crescendo di forma. Ha infatti perso la miseria di ventinove giochi, nonostante abbia affrontato un tennista scomodo – a Basilea cinque mesi fa aveva vinto solo 6-4 al terzo – come Krajinovic (7-5 6-3) e si sia poi confrontato sia con due giovani emergenti in top 20 come Medvedev (6-4 6-2) e Shapovalov (6-2 6-4) che con due esperti e maturi top 10 oltre che eccellenti servitori come Anderson (6-0 6-4) e Isner (6-1 6-4). Numeri che confermano come quello di Miami sia stato – per picchi e continuità nel corso del torneo – il miglior Federer degli ultimi dodici mesi.