Tanti ragazzini sognano di diventare degli sportivi, di poter guadagnarsi da vivere grazie alla loro passione. La stragrande maggioranza non ce la fa e quei pochi che invece ci riescono sono percepiti da molti come delle persone fortunate. Soprattutto quando la loro attività di atleta gli porta enormi benefici economici, come nel caso dei calciatori delle massime leghe europee o le star dello sport statunitense. Ma non è tutto oro quel che luccica e anche gli sportivi soffrono, piangono, si deprimono.
Hanno fatto scalpore al di là dell’oceano le parole di Kevin Love, cestista NBA per i Cleveland Cavaliers, vincitore del titolo NBA nel 2016, che guadagna oltre 24 milioni di dollari l’anno. Love ha parlato apertamente di aver sofferto di problemi di salute mentale, anche legati all’ansia di dover dare sempre un’immagine forte di sé, sia al resto dei colleghi che al pubblico. Durante una conferenza, il capo della NBA Adam Silver ha sostenuto che, nonostante la fama e il denaro, molti giocatori nella lega sono “genuinamente infelici”. Passando al calcio, Gianluigi Buffon ha recentemente dichiarato di aver sofferto di depressione. Così come l’ex difensore tedesco dell’Arsenal Per Mertesacker, arrivato a vomitare prima di ogni partita dallo stress. Diversi studi hanno ormai confermato un tasso di depressione insolitamente alto tra gli sportivi di massimo livello.
In particolare, il mondo del tennis professionistico è particolarmente stressante. Gli atleti sono sotto pressione in campo e fuori. In campo sono costretti a far fronte ad una competizione solitaria e continua, settimana dopo settimana, con ben poca tregua. Fuori dal campo, nel caso in cui non occupino le primissime posizioni mondiali, devono far quadrare i conti tra guadagni variabili e spese che possono essere molto ingenti. Al termine di una serie di otto sconfitte consecutive, il britannico Liam Broady, attualmente n.245 della classifica mondiale che vanta come migliori risultato in carriera il secondo turno raggiunto a Wimbledon nel 2015, non ce la faceva più a reggere tutto questo e ha pensato al ritiro.
“Non ero sicuro di voler andare avanti perché mi sentivo una persona infelice”, ha rivelato Broady. “Non mi piace lamentarmi troppo e solo alla fine della stagione ho compreso bene quello che stavo passando”. A causa della sua depressione, il 25enne tennista di Stockport ha messo dei muri attorno a sé, allontanando anche chi lo poteva aiutare. “Ho perso il contatto con un sacco di persone che mi vogliono bene, che è una cosa molto da maschi”. Ma è stata proprio una donna ad aiutarlo a superare questo momento buio, la sorella Naomi, anche lei tennista professionista. Inoltre Broady ha cominciato a farsi aiutare da un life coach.
Nella sua descrizione dell’ambiente del tennis emergono le stesse preoccupazioni denunciate da Love, con l’individualismo ad acuire la necessità di dover dimostrarsi forti mentalmente. “Il circuito è un mondo spietato, dove un cane mangia un altro cane”, ha proseguito con una certa enfasi. “Non devi mostrare le tue debolezze perché gli altri giocatori cercheranno di tirarti via il cibo dal piatto. Così come tu cerchi di farlo con loro”. Probabilmente non è l’unico che prova queste sensazioni. Ma ne ha parlato apertamente e forse anche in questa maniera è riuscito a venirne fuori.
E fare in modo che i tennisti possano condividere problemi e paure è l’obiettivo di “Behind the Racquet”, una pagina Instagram creata all’inizio di quest’anno dallo statunitense Noah Rubin, vincitore di Wimbledon Junior nel 2014 e n.142 della classifica mondiale. In ogni post, un giocatore o una giocatrice, coperti nella fotografia dalla propria racchetta, raccontano una storia, mostrando il loro lato più umano, senza timore di venir giudicati come deboli. Ad esempio, su questa pagina, la finalista degli US Open 2017 Madison Keys ha confessato di aver sofferto di un disturbo alimentare quando era più giovane. Il successo di questa iniziativa dimostra quante sofferenze interiori si possano nascondere dietro persone che sono riuscite a fare della passione per il tennis un mestiere, e talvolta piuttosto redditizio. Perché appunto dietro la racchetta ci può essere anche la depressione.