Due anni senza quasi match e con in aggiunta il carico delle tribolazioni legali si fanno sentire: al “secondo” rientro (Indian Wells 2018) Azarenka è lontana dalla miglior condizione, che per l’ultima volta si era vista proprio in occasione del Sunshine Double vinto nel 2016. Se tracciamo un bilancio del suo periodo di tennis più recente (partendo cioè da Indian Wells 2018), dobbiamo inevitabilmente prendere atto che Vika ha faticato parecchio a riprendere l’ascesa verso i posti migliori del ranking: questa settimana con i suoi 1001 punti in classifica si trova esattamente alla posizione numero 60. In più occorre tenere presente la carta di identità di una giocatrice che in luglio compirà trent’anni: come per qualsiasi atleta, anche per Azarenka ritrovare oggi la miglior condizione non è semplice come farlo da ventenne.
E se a Wimbledon 2017 avevo avuto creduto che per Vika le migliori del mondo fossero a portata di mano, e la differenza colmabile in tempi brevi, nell’ultimo anno sono diventato meno ottimista. Innanzitutto per il modo in cui si è sviluppato il suo rendimento nel tempo. Infatti, come già in occasione della parentesi del 2017 (accoppiata Mallorca/ Wimbledon), anche nell’ultimo rientro il meglio è arrivato al secondo torneo, Miami 2018. Ma poi c’è stata una flessione.
In Florida aveva sconfitto Bellis, Keys (per ritiro), Sevastova, Radwanska e nei quarti Pliskova, numero 6 del ranking. A smorzare l’ottimismo era stata la semifinale contro Stephens (che avrebbe vinto il torneo): Azarenka aveva cominciato abbastanza bene, ma poi Sloane aveva ingranato una marcia più alta e a quel punto a Vika era mancata la capacità di reggere il confronto (3-6, 6-2, 6-1). E vedere una come lei cedere sul piano della continuità, del ritmo e della pressione, lasciava perplessi, proprio perché la Azarenka dei tempi d’oro non aveva avversarie che potessero batterla su quel tipo di terreno.
Forse aveva anche inciso la stanchezza e la difficoltà a reggere il succedersi dei turni: c’era da smaltire la ruggine agonistica e superare la desuetudine al match quotidiano. E infatti quel 6-1 finale contro Stephens era in parte dovuto ai crampi che avevano cominciato ad affiorare nel terzo set.
Miami 2018 sarebbe stato il torneo più positivo della sua stagione del ritorno, con l’unico successo su una Top 10, Karolina Pliskova. Poi Vika avrebbe raggiunto al massimo solo dei quarti di finale (a San Josè contro Collins, e a Tokio contro Giorgi), conclusi entrambi nel modo peggiore: con un ritiro a partita in corso. Segno di un problema di solidità fisica nello sviluppo della settimana di torneo, causato dal susseguirsi dei match. Ma va anche ricordato che Azarenka è da sempre, storicamente, soggetta a frequenti ritiri.
L’aspetto a mio avviso più preoccupante dell’ultimo anno è però di tipo tecnico: l’involuzione a cui avevamo assistito prima di Monterrey. Facciamo un passo indietro: il punto forte della Azarenka che è arrivata per alcune stagioni (in particolare nel 2012- 2013) a giocarsela sul cemento quasi alla pari con Serena Williams, era la capacità di prendere progressivamente il controllo del palleggio, dominando sul ritmo. Ritmo anche vorticoso, riuscendo progressivamente ad avanzare durante lo scambio, sino ad asfissiare le avversarie. Per essere in grado di giocare così, occorre non avere debolezze nei colpi al rimbalzo, in particolare su quelli più usati, vale a dire i topspin. E infatti, anche se il rovescio è sempre stato il colpo più spontaneo di Azarenka, il dritto era consistente a sufficienza da farne una giocatrice sostanzialmente simmetrica, senza lati deboli.
Premesso questo, l’involuzione dell’ultimo periodo era emersa proprio nella crisi del dritto: il colpo meno naturale, più costruito, aveva cominciato a tradirla, con perdite di controllo anche vistose, e con una periodica e frequente inaffidabilità durante i match. Di conseguenza uno dei suoi schemi preferiti è spesso risultato controproducente. Mi riferisco allo scambio condotto in costante controllo, sino al momento giusto per entrare con i piedi nel campo e concludere in avanzamento; solo che se il colpo definitivo capitava dalla parte del dritto, l’errore era diventato frequente. Nel recentissimo match di Miami contro Caroline Garcia (perso 6-3, 6-4), più volte abbiamo assistito a questo problema, che possiamo immaginare ancora più doloroso da accettare per Azarenka, visto che in passato era uno dei suoi punti di forza.
Alle prese con questi sbandamenti tecnici, in questa stagione sono arrivate diverse uscite al primo turno, a cominciare da quella agli Australian Open 2019 contro Laura Siegemund. Ricordo che Siegemund è ancora in convalescenza agonistica dopo il grave infortunio al crociato del ginocchio che l’ha costretta lo scorso anno all’intervento chirurgico; tanto è vero che nel 2019 l’unica giocatrice fra le prime 80 del mondo sconfitta da Laura è stata proprio Azarenka.
Ecco, tenendo presente tutto questo, credo che il progresso mostrato sul cemento di Monterrey sia confortante; in particolare nella semifinale contro Kerber abbiamo rivisto finalmente efficaci gli antichi schemi di Azarenka. E dopo il successo contro Pliskova dello scorso anno, quello contro Angelique è stato il secondo contro una Top 10 dal suo rientro. Inevitabile la domanda: è davvero una svolta per la carriera di Vika?
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