“È come tornare a casa” commenta Thiem. Parla, nel caso ci fossero dubbi, dell’incipiente stagione sulla terra battuta europea dove è chiamato a difendere (volentieri) 2.240 punti. A proposito di casa, tuttavia, sorprende che Günter Bresnik, il suo coach da ormai sedici anni, sarà temporaneamente sostituito da Nicolas Massu, che accompagna nei tornei il venticinquenne austriaco da quasi due mesi – scorto per la prima volta nel suo angolo a Buenos Aires. Insomma, come Ross e Rachel di “Friends”, Domi e Günter si prendono una pausa.
I primi indizi che qualcosa era cambiato si sono recentemente rivelati nei pressi di Vienna, dove Dominic si allena abitualmente, ma questa volta sotto la supervisione di babbo Wolfgang, tra l’altro anche coach di Sebastian Ofner e Dennis Novak. E pare che sarà proprio il padre ad accompagnare il numero 5 del mondo all’ATP 500 di Barcellona, in programma nella settimana in cui Massu ha un altro impegno e non potrà essere nel box a esultare e incitare, atteggiamento che, dice Dominic stesso, “mi fa bene”.
Dal canto suo, pur comprendendolo benissimo, Bresnik non può non far notare che “io non sono una claque che deve saltare in piedi dalla prima all’ultima palla”. A ognuno il proprio carattere, com’è giusto che sia. Non dimentichiamo che è stato l’uomo con il cappello di paglia a trovare e a definire Massu, “una soluzione fantastica in questo momento”, secondo le parole raccolte dall’Agenzia di stampa austriaca e pubblicate da Spox.com. Tra parentesi, la situazione è ottimale anche per Nicolas nelle vesti di capitano della squadra cilena di Coppa Davis; infatti, come lui stesso spiega, se prima incontrava i giocatori solo un paio di volte all’anno qualche giorno prima dei tie, ora ha l’occasione di seguire dal vivo gli incontri di Garin e Jarry quando partecipano agli stessi eventi dell’austriaco.
Nemmeno un mese fa, Thiem si è scrollato di dosso un bel po’ di pressione vincendo finalmente a Indian Wells il suo primo titolo pesante e, con due semifinali e una finale nelle ultime tre edizioni, è anche quest’anno tra i “secondi favoriti” al Roland Garros. Ma cosa proverebbe il coach che lo ha cresciuto trovandosi semplicemente davanti alla TV proprio in occasione del primo trionfo Slam del suo pupillo? “Mi farebbe male” ammette il quasi 58enne, “ma mi sentirei peggio se non dovesse mai vincere un Major. L’importante è che succeda ciò per cui ho lavorato con lui. Per quel che mi riguarda, non sono più vanitoso”. Perché vuole il meglio per il ragazzo di Wiener Neustadt e, se accadrà senza di lui, “sarà comunque fantastico”. Non a caso, ribadisce che “il mio fine ultimo come allenatore è che Dominic sia indipendente e prenda decisioni in autonomia”.
Solo una settimana prima, durante una conferenza stampa, Thiem osservava riguardo alla lunga relazione che “durante questo periodo, abbiamo trascorso insieme più tempo di quanto ne abbia passato io con i miei genitori e probabilmente lui con i suoi figli. È come un matrimonio: ci sono momenti belli e momenti brutti”.
Günter, che ha un contratto senza scadenza, entra poi nello specifico rispetto al ruolo dell’allenatore e sui rapporti a lungo termine. “Più lavori con qualcuno, più quella persona diventa – o dovrebbe diventare – priva di importanza. Come coach, ho un peso totalmente diverso per il suo successo sportivo se il giocatore ha cinque o quindici anni. È là che vengono gettate le fondamenta” spiega Bresnik. “Durante i primi dieci anni, quando inizi con uno così giovane, quindi tra l’età di dieci e vent’anni, il lavoro del coach è della massima importanza. Se fai qualcosa di sbagliato in quel periodo, non avrà possibilità di diventare un atleta di successo”.
Poi, dopo i primi tre anni di professionismo in cui giocatore ed esperienza del coach si equivalgono, conta solo il tennista. Un tennista, Dominic, che “è il più forte del mondo dopo Djokovic, Federer e Nadal, a parere mio e del 90% degli esperti. Lui non riesce mai la prima volta; non arriva in finale al primo tentativo e la vince, ma è sempre un andare avanti per gradi”. Come il suo tennis: il piacere nel mettere tanta fatica in ogni swing e, un colpo dopo l’altro, demolire l’avversario.