da Montecarlo, il nostro inviato
È un Dusan Lajovic sereno quello che si presenta in sala stampa. Certo non può essere felice, dopo aver perso la sua prima finale ATP, ma sereno indubbiamente sì. “Anche se non posso essere allegro come nei giorni scorsi, non c’è motivo di essere triste. Tra un paio d’ore, passata la naturale delusione per la finale persa, penserò a tutte le cose positive di questa settimana. Come al fatto che questa è stata un’esperienza del tutto nuova per me, che è il mio miglior risultato e che spero di ripetermi in futuro”.
Analizza la partita Dusan, e non è soddisfatto di come l’ha interpretata. “Lui era solido da entrambi i lati, si muoveva bene. Quando alzavo il livello ed ero aggressivo, riuscivo a mettergli pressione. Ma per diversi tratti del match non ce l’ho fatta. Ho commesso tanti errori non forzati. Una causa è stata il vento, un’altra era la pressione per la finale, per la situazione”. Ma riconosce i meriti di Fognini. “È stato un giocatore migliore oggi, lui sa come giocatore in queste condizioni ventose. Ha una grande mano, si muove bene. Penso che quando è concentrato e gioca bene, sulla terra è uno dei giocatori più difficili da incontrare. Oggi ci sono stati momenti in cui sentivo di non avere soluzioni per fare il punto”.
Un rammarico è quello di non aver sfruttato i momenti in cui la partita avrebbe potuto prendere un’altra direzione, come nelle due occasioni avute per portarsi sul 3-1 nel primo set. E poi all’inizio del secondo parziale. “Sì, ho avuto un paio di palle del game ed ho sbagliato due dritti. Credo sarebbe andata diversamente in quel caso. E anche nel secondo set, dopo che lo avevo controbrekkato. In quei momenti, dal punto di vista mentale, c’era molto equilibrio, eravamo molto vicini. Ma lui ha saputo gestire le emozioni e le situazioni meglio di me”. Le congratulazioni finali a Fabio sono anche, implicitamente, un incitamento a se stesso. “Ha tre anni più di me e sta giocando ora il suo miglior tennis. Mi dimostra che non è mai troppo tardi”.
Ma nel grande carrozzone sempre in movimento del tennis professionistico la finale di Montecarlo è già il passato e si deve pensare al domani. Un domani che per Lajovic si presenta ora con prospettive diverse, in primis in termini di obiettivi. “Per la stagione sulla terra l’obiettivo era quello di difendere un po’ di punti, come quelli di Madrid (era arrivato ai quarti, ndr) e degli altri tornei (semifinale a Lione e quarti ad Umago, ndr). Qui ne ho conquistati molto di più e quindi l’obiettivo ora è quello di continuare con questo ritmo, di rimanere sano e di fare una programmazione che mi permetta di essere pronto nei tornei più grandi, come questo”.
Sicuramente adesso ci sarà da gestire anche il passaggio ad una nuova dimensione, quella di top 25 (n. 24 per l’esattezza), e tutto quello che comporta. Come l’essere testa di serie nei tornei ATP, ad esempio. “Sì, le cose cambiano, in meglio, e il mio team ha molta esperienza da questo punto di vista, sia per quanto riguarda la programmazione che per tutto il resto. Spero che questo abbia un impatto positivo su di me. Essere testa di serie nei tornei presenta indubbiamente diversi aspetti positivi. Con la fiducia acquisita questa settimana, posso far bene nei prossimi tornei sulla terra e credo di poter migliorare ancora. Sarà magari per l’adrenalina della partita appena giocata, ma dopo una settimana come questa, con tutte le emozioni positive che ho provato, non vedo l’ora di scendere di nuovo in campo e affrontare il prossimo match”.
Il 28enne tennista serbo è carico e fiducioso, ma obiettivo nel valutare i suoi margini di miglioramento. “Ci sono ancora alcuni aspetti tecnici che si posso sistemare, ma quello che ritengo di poter migliorare molto è in quella capacità di concentrazione che hanno i top player. Loro al massimo possono regalare un punto a game, quando io in alcuni momenti del match ne concedo un paio, talvolta anche tre. Sono troppi. Questo è il prossimo passo che devo fare, che aiuterà molto il mio gioco: essere costante, far sì che ogni punto il mio avversario se lo debba conquistare. Non regalare nulla.”
L’ultima risposta è ad una nostra domanda che dal futuro lo rimanda per un momento al passato. A cosa direbbe al piccolo “Dule” (il soprannome con cui viene chiamato in Serbia, diminutivo di Dusan) che voleva giocare a calcio ma invece iniziò a giocare a tennis perché nella cittadina natale di Stara Pazova non c’erano altri corsi di avviamento allo sport. “Oggi gli direi che ha fatto bene, forse una settimana fa gli avrei detto il contrario! Comunque sia, ho riflettuto molte volte sul fatto che il tennis è la mia professione. E sul fatto che molte persone hanno un lavoro che sono obbligati a fare, ma che non gli piace. Io invece sono nella situazione di poter fare quello che volevo fare da ragazzino. E posso dire che è una gran cosa poterlo fare: non credo che in molti da piccoli volevano fare i contabili o cose del genere. Perciò è una bella cosa che il tennis possa essere il tuo lavoro. Devo essere grato per questo. E per tutto quello che il tennis mi ha dato.”