Si dice – e i fatti non tardano ogni volta a confermarlo – che ATP e ITF si parlino poco e male, ma non è che la comunicazione tra ATP e WTA funzioni troppo meglio. I quattro tornei della settimana, che tutto sommato si sono snodati decentemente a livello tecnico e proporranno altrettanti epiloghi interessanti, si concluderanno tutti assieme nello spazio di circa tre ore. Alle 15 Berrettini rincorrerà il secondo titolo in carriera sulla terra di Budapest contro Krajinovic, dopo appena un’ora prenderanno il via in contemporanea le altre tre finali: quelle femminili di Stoccarda (Kvitova vs Kontaveit) e Istanbul (Vondrousova vs Martic) e quella piuttosto attesa di Barcellona che vedrà in campo Medvedev e uno sfolgorante Thiem, che ha annichilito Nadal.
Se appare già difficile da spiegare la contemporaneità tra le finali dei due tornei più importanti della settimana, quelli di Barcellona e Stoccarda, è ancora più complicato immaginare il motivo per il quale né una telefonata né un colpo di telegrafo abbia permesso agli omini WTA della Porsche Arena e a chi staziona sulle rive del Bosforo con le stesse competenze di accordarsi per due orari differenti. Invece Kvitova e Vondrousova agiranno tristemente in sincrono a duemila chilometri di distanza, entrambe da favorite, per riportare la Repubblica Ceca (due titoli sinora, con Pliskova e la stessa Kvitova) in testa alla classifica delle nazioni più vincenti del variegatissimo 2019 al femminile, che al momento è comandata dagli Stati Uniti (Kenin, Keys e Anisimova).
Già lo scorso anno con sette titoli complessivi (+ la Fed Cup), e due anni fa con otto, nessuno aveva fatto meglio delle ceche: certo non vincono uno Slam da quasi cinque anni, ma sulla quantità non c’è nazione priva di stelle e strisce sulla bandiera che possa competere.
STOCCARDA – Se il quadrifoglio pescato da Kontaveit in semifinale – niente sfida con Osaka, ritiratasi per un fastidio agli addominali – si trasformasse in un trofeo ci stupiremmo assai. Quella di Stoccarda è una terra che premia le grandi colpitrici. Non è un caso che l’ultima finale in condizioni simili – a Madrid, dove non si gioca indoor… ma quasi – l’abbia vinta proprio Petra. Curiosamente, in quel torneo la ceca era andata in difficoltà due volte: al terzo turno contro Kontaveit e proprio in finale contro Bertens, che oppose una resistenza encomiabile così come l’ha opposta ieri in semifinale. Il pronostico sembra quasi obbligato: al massimo un altro terzo set, ma vince Kvitova.
ISTANBUL – Sarà più complicato per Vondrousova a Istanbul perché Petra Martic, chi la conosce sa di cosa parliamo, è in una di quelle settimane in cui le va parecchio di giocare a tennis. Non le succede poi così spesso, ma quando succede converebbe sempre accendere la TV (se la accedente oggi però, ci trovate Kvitova). Ci si aspetta una bella finale perché si affrontano due giocatrici intelligenti, dotate di un buon tocco, due che non tirano quasi mai a caso. Un numero su Marketa, classe 1999. Quest’anno ha vinto 19 partite perdendone soltanto quattro. Per fare un raffronto: Andreescu è a 29 vittorie (contando Fed Cup, qualificazioni e circuito 125k), Kvitova ne ha vinte 23, poi Bencic 22, Pliskova 21, Barty 20 (queste ultime tre aiutate dalla Fed Cup).
BUDAPEST – Al maschile, un occhio peninsulare di riguardo a Matteo Berrettini è d’obbligo. Battendo Krajinovic confermerebbe che Budapest tende a essere un feudo tricolore (terza edizione, abbiamo già un titolo e una finale che può ancora diventarlo) e soprattutto che il 23enne romano è un giocatore che ha selezionato i punti di forza giusti, oltre ad avere l’attitudine mentale ideale per nobilitarli. Se con un rovescio ancora parecchio migliorabile – ma già migliorato nel corso dei mesi recenti – si trova a un solo passo dalla top 40 e dal secondo titolo in carriera, significa che Santopadre ha fatto uno splendido lavoro e che preoccuparsi troppo dei risultati prima dei 20 anni è uno scrupolo eccessivo quando si lavora inseguendo gli obiettivi giusti.
I bookmaker danno Krajinovic leggermente favorito e si può anche essere d’accordo, ma a Matteo non manca assolutamente nulla per sovvertire il pronostico dei computer bettistici e confermare invece quello delle classifiche. Settimo atto stagionale tra Italia e Serbia, che ha visto la più dolce affermazione italiana in finale a Montecarlo e la più cocente delusione a Melbourne, dove proprio Krajinovic ha scippato a Cecchinato una partita che il palermitano aveva praticamente vinto. Bilancio 3-3: Berrettini può bissare il successo di ieri su Djere e confermare che in finale non c’è storia.
BARCELLONA – Dalla Catalogna, infine, vi abbiamo raccontato un po’ di storie grazie al nostro inviato Federico Bertelli. Fortuna e un pizzico di intuito ci hanno portato a intervistare i due allenatori che avrebbero poi portato i rispettivi allievi in finale: il santone Massu, che sembra aver reso Thiem ancora più forte, e l’altrettanto sorprendente Gilles Cervara che è riuscito nella miracolosa impresa di trasformare l’intemperante Medvedev – neanche troppo tempo fa uso alle proteste pittoresche e ai lanci di monetine (nell’aprile 1993, quando l’atto è diventato iconico a scapito di Bettino Craxi, Daniil mica era nato) – in un giocatore di tennis capace di vincere 49 (dicasi quarantanove!) partite negli ultimi otto mesi.
Secondo Bresnik l’allenatore incide ogni anno di meno fino a contare quasi niente nel pieno della carriera agonistica, dopo essere stato cruciale durante la fase dello sviluppo tennistico. La verità è che forse non tutti possiedono l’etica del lavoro che Thiem, il principale parametro di riferimento di Bresnik, può vantare da che ha imbracciato la prima racchetta. Per tanti altri ragazzi più scapestrati scegliere la guida giusta nel momento giusto può essere decisivo.
Difficile comunque, molto difficile, che la settimana di Medvedev possa arricchirsi di un’altra vittoria. In semifinale Thiem è sembrato tanto forte che, anche immaginando un Nadal un pizzico più competitivo, non siamo sicuri che l’esito sarebbe stato differente. In vista del trittico Madrid-Roma-Parigi, completando il puzzle con le incertezze di grado differente che affliggono Djokovic e Nadal e con l’imminente ritorno sul mattone di Federer, non è che ci sia da lamentarsi. Poi magari vince sempre lui, ma avere il concreto dubbio che possa finire diversamente è già più di qualcosa.