La prevedibile Stoccarda
In questo periodo siamo abituati a parlare del tennis WTA come di un movimento estremamente equilibrato e imprevedibile, nel quale ogni risultato è possibile. Invece per una volta il torneo di Stoccarda è andato in controtendenza, con più conferme che sorprese. Dopo la rinuncia di Simona Halep per i postumi di Fed Cup, le prime due teste di serie erano Naomi Osaka e Petra Kvitova, ed entrambe sono approdate in semifinale. Che poi non si siano incontrate è dipeso non da una sconfitta ma da un forfait (di Osaka), e in finale Kvitova ha ribadito i valori del ranking vincendo contro Kontaveit in due set (6-3, 7-6).
Questo però non significa che in Germania non siano emersi temi interessanti. Cito quattro nomi: Azarenka, Osaka, Kontaveit e Kvitova. L’unica testa di serie importante caduta prima dei quarti è stata la campionessa in carica Karolina Pliskova, fermata 4-6, 6-3, 6-4 da Victoria Azarenka. Dopo la finale di Monterrey Vika ha dimostrato di essere di nuovo capace di un tennis di alto livello, anche su un terreno non ideale per lei come la terra battuta. Probabilmente non è ancora in grado di tenere il ritmo e la pressione dei tempi d’oro, ma tecnicamente i colpi si sono rafforzati rispetto a qualche mese fa, e questo le permette di misurarsi alla pari contro giocatrici davvero forti. Sommato al successo contro Kerber a Monterrey, questo è infatti il secondo della stagione contro una Top 10.
Il maggiore problema rimane la fragilità fisica. In Messico al successo contro Kerber aveva fatto seguito il ritiro in finale con Muguruza; in Germania dopo la vittoria su Pliskova è arrivato il ritiro contro Anett Kontaveit (5-7, 7-5, 3-0). Prima però abbiamo avuto modo di verificare che sul piano agonistico ci sono ancora scorie da smaltire sotto forma di “braccino”; e penso che sia soprattutto dovuta a questa banale ragione l’incapacità di chiudere il match una volta che si era trovata avanti 7-5, 5-4 e servizio di fronte ad Anett.
A Stoccarda la giocatrice per me più interessante da seguire era Naomi Osaka, alla prima esperienza sulla terra europea da numero 1 del mondo, e quindi con tutta un’altra attenzione rispetto allo scorso anno, quando aveva raccolto ben poco tra Madrid, Roma e Roland Garros. Devo confessare che dai due match che ha vinto non sono riuscito a chiarirmi del tutto le idee. Sul piano tattico c’è stato un aggiustamento dopo gli sbandamenti mostrati a Indian Wells e Miami: rispetto ai tornei americani si è rivista una maggiore attenzione nelle scelte di gioco, evitando i cambi lungolinea troppo frequenti e rischiosi del mese scorso, a favore di schemi più simili a quelli che le hanno permesso di vincere in Australia.
Il passaggio a vuoto che ha attraversato contro Donna Vekic (6-3, 4-6, 7-6) probabilmente è in parte dovuto al problema muscolare agli addominali che l’ha poi costretta al forfait; ma in parte mi è sembrato legato anche a distrazione mentale: semplici errori esecutivi, limitati una volta che il punteggio complicato (sotto 1-5 nel terzo set) l’ha “obbligata” a recuperare la concentrazione. Resta però il fatto che né Hsieh (battuta per la prima volta in carriera in due set), né Vekic si possono considerare delle specialiste della terra, e quindi nemmeno un punto di riferimento di primo livello per misurare il rendimento di Naomi sul rosso.
Ogni volta che la seguo ho la sensazione di una giocatrice di enormi potenzialità, in particolare per come riesce a ottenere vincenti dando l’impressione di avere ancora del margine. Poi però commette errori evitabilissimi che mi riportano alla realtà, perché nel bilancio di una partita di tennis è fondamentale la capacità di limitare i gratuiti, e certi errori di Naomi sono così gratuiti da risultare inattesi per una tennista del suo livello; anche perché quando ha vinto gli Slam era riuscita sostanzialmente a evitarli.
a pagina 2: Anett Kontaveit e Petra Kvitova