Spazio sponsorizzato da BARILLA
Che bello ritrovarsi al Roland Garros dopo la triste (per me) e imbarazzante (non per me, ma per la dirigenza FIT) ultima esperienza del Foro Italico. Sarà il mio Roland Garros n.44. Il primo fu nel 1976: vincitore Adriano Panatta. Indimenticabile. Se ci ripenso provo ancora una fortissima emozione. A proposito di Panatta… lo ringrazio di cuore. Nei giorni scorsi mi ha scritto un messaggio di solidarietà per quanto accadutomi a Roma.Evito di dire che cosa ha scritto per rispetto della sua privacy perché mi ha scritto un messaggio privato e sono anni che lui della FIT e dell’Innominato non parla più. Forse potete immaginarvelo.
Magari di quello straordinario trionfo, seguito a un match point cancellato al primo round al ceco Hutka, ne riparliamo. Nella prima giornata del Roland Garros 2019 – l’ultimo senza tetto, non mi fate pensare a un altro torneo con la sessione notturna, proprio non lo reggerei! – c’erano 36 incontri in programma, divisi in 6 campi (4 per campo) e 4 partite vedevano coinvolti tennisti italiani. Tre hanno perso, e accanto alle prevedibili sconfitte di Sonego con Federer e di Fabbiano con Cilic, è arrivata la grande delusione da parte dell’eroe di un anno fa, Marco Cecchinato, battuto da un doppista di 37 anni che solo grazie alla nona wild card attribuitagli dai francesi (e alla dodicesima in uno Slam) è entrato in tabellone. Sconfitta patita, oltretutto al quinto set e dopo aver vinto i primi due, quando cioè semmai avrebbe dovuto essere il francese il giocatore più provato.
Un brutto colpo anche per il morale del siciliano che ha concluso la sua conferenza stampa dicendo: “Finalmente non ho più punti da difendere!”. Deve essere stato un incubo per lui. Per tutto l’anno tutti non si è fatto che ricordargli quanto fosse pesante la cambiale in scadenza del Roland Garros. Da n.19 scenderà intorno a n.40. Certo quella febbre che lo colse a Montecarlo e lo costrinse a giocare in cattive condizioni a Monaco di Baviera non ha aiutato. Anche a Madrid e Roma non si è visto il miglior Cecchinato. Purtroppo neppure a Parigi.
Meno male allora che almeno Matteo Berrettini, partito maluccio è riuscito a rimontare Andujar, lo spagnolo che avevo visto vincere a Firenze lo scorso autunno il torneo challenger Aeroporti Toscana. Ha vinto in quattro set dopo aver perso il primo. Al terzo turno, se lui batterà il giovane norvegese Ruud e Federer sconfiggerà il tedesco Otte, Matteo incontrerà lo svizzero.
Credo proprio che, se in questa fase di ricostruzione del Roland Garros e del Philippe Chatrier e della nuova installazione del magnifico campo interrato fra le serre di Porte d’Auteuil e intitolato a Simonne Mathieu (la tennista francese che vinse il Roland Garros nel ’38 ‘ e nel ’39, la transalpina più vincente dai tempi della Divina Lenglen tanto cara a Gianni Clerici), mi trovassi a muovere eventualmente qualche critica all’organizzazione francese… non mi verrà tolto l’accredito stampa con qualche pretesto ridicolo. Certo che qui agli Internazionali di Francia c’è il campo intitolato alla Lenglen e un campo intitolato alla Mathieu, più quello all’ex grande presidente della federazione francese (e internazionale) Philippe Chatrier. In Italia abbiamo il magnifico campo Pietrangeli, non avremo mai finché ci sarà questo presidente un campo Panatta – e ditemi voi se vi sembra giusto e normale – ma è quasi più facile che venga battezzato un campo… Binaghi!
Qualche tempo fa è passato a miglior vita – nell’indifferenza di gran parte del mondo tennistico federale e nazionale Cino Marchese, un grande manager senza il quale gli Internazionali d’Italia non sarebbero quello che sono oggi. Fu lui, negli anni di crisi del torneo, quand’era dominato da tennisti sudamericani di scarso appeal a inventarsi il Villaggio Vip, a risvegliare l’attenzione della Roma mondana prima e poi quella degli sponsor poi. A me è dispiaciuto che non sia stato minimamente ricordato durante il torneo. Non mi stupisce che non ci abbiano pensato Sergio Palmieri, che era sempre stato suo antagonista, e Binaghi, però qualcun altro avrebbe potuto e dovuto farlo. Lo faccio io, nel mio piccolo.
Con Vanni Gibertini qui si notava – mini esempio di critica nelle prime 24 ore qui al Roland Garros – come nella enorme sala stampa provvisoria allestita nella zone del TennisMuseum in attesa della completa ricostruzione dell’area del Philippe Chatrier abbattuto un anno fa ci siano troppi pochi cestini. C’è ancora una grande confusione, va detto, fra i vari inservienti, hostess, reception. Tutto è talmente cambiato, che pochi sanno darti le istruzioni che servono per le entrate, i diversi ingressi alla tribuna stampa, le toilette sono pulitissime (ed è già una bella differenza) ma ci sono anche qui discrete code, e per il resto sembra un po’ di essere alle Olimpiadi: c’è un sacco di gente dappertutto e quando migliaia di volontari si sbizzarriscono nelle indicazioni più cervellotiche e sbagliate.
L’accesso al Roland Garros è tutt’altro che agevole perfino per la stampa: tanti controlli, borse aperte e riaperte, misure di sicurezza impressionanti, alle borse, ai corpi, perquisizioni con ispettrici donne per le spettatrici, ispettori per gli uomini. Un gran fastidio ma d’altra parte la Francia ha molte ragioni per usare la massima prudenza.
Per chi fosse interessato a saperlo voglio segnalare che qui a Parigi naturalmente non c’è nessuna stupida, assurda, anacronistica regoletta che impedisca ad alcun giornalista di scrivere per più testate (è stata la scusa per ritirarmi l’accredito a Roma, per chi non lo ricordasse). Anzi viene proprio specificato che chi ottiene l’accredito può contribuire a più testate. Che è quello che fanno tutti i giornalisti anche in Italia. Nessuno o quasi lavora per una sola testata. Di certo non io come in FIT sapevano benissimo.
Eh sì, più penso a quanto è successo lo scorso weekend al Foro e più mi chiedo perché Baccini, Valesio e soci non si siano resi conto di essersi tirati addosso un boomerang assolutamente evitabile che certo non accrescerà la già discussa popolarità del presidente Binaghi. Quest’ultimo continua imperterrito a ripresentarsi quadriennio dopo quadriennio dal 2000 – dopo aver allora presentato come cavallo di battaglia elettorale il proclama “Nessuno dovrà restare sulla poltrona di presidente federale, di tutte le federazioni, per più di 8 anni!” – semplicemente perché nessuno ha altrettanta voglia di sbattersi per scalzarlo da quello scranno, soprattutto dopo le modifiche statutarie del 2009. Quelle modifiche furono appositamente scientemente studiate da Binaghi stesso e approvate in mia imbarazzata presenza per alzata di mano da un’assemblea stanca, disattenta e provata da tre ore di interventi su altre modifiche di poco conto.
Modifiche colpevolmente trascurate da un CONI dormiente che mai avrebbe dovuto consentirne l’entrata in vigore, per la Federtennis come per le altre federazioni che ne imitarono l’esempio rendendo di fatto impossibile ogni avvicendamento. Binaghi infatti, purtroppo, non è il solo presidente federale abbarbicato tenacemente alla propria poltrona da anni. Ce ne sono altri. E anche la nuova legge che ci ha messo anni per uscire e che ne limita il numero dei mandati, non si sottrae all’esempio Putin-Medvedev. Quando scattò lo stop per il prosieguo del mandato a Putin, questi trovò in Medvedev un presidente fantoccio che scaduto il suo periodo di reggenza restituì la poltrona a Putin i cui mandati erano tornati… vergini. Vedrete che succederà qualcosa di simile anche in FIT.
Tornando a ricordi molto più piacevoli al mio primo Roland Garros come dimenticare che quello che coincise con il trionfo di Adriano Panatta? Mi sarei atteso chissà quanti altri exploit italiani, ma – salvo che per le ragazze – non ci sono più stati. Anche questo Roland Garros è cominciato come la gran parte di quelli che ho vissuti dopo in campo maschile, fatta eccezione per l’edizione di un anno fa grazie all’exploit di Cecchinato. Infatti se non ci si poteva aspettare nulla di più da Fabbiano e in buona parte anche da Sonego, francamente che Marco potesse perdere da un doppista pensionato in singolare – anche se va detto che Mahut ha giocato benissimo, con la grinta inesauribile che manifestò nel 2010 a Wimbledon quando perse soltanto 70-68 al quinto – dopo aver vinto i primi due set era fuori da ogni pronostico.
E mi chiedo a questo punto: non sarà che i buoni risultati del tennis italiano di questo inizio d’anno abbiano creato aspettative un po’ troppo pesanti sulle spalle (forse ancora fragili) dei giocatori? Un conto è ottenere buoni risultati nei tornei 250, un altro negli Slam, che sono le prove che davvero contano ai più alti livelli.
A Fognini si chiede di confermarsi sui livelli di Montecarlo – che è un 1000 e quindi viene subito dopo gli Slam, anche se il ricordo di quel primo match contro Rublev acciuffato in modo quasi incredibile non può tranquillizzare – è n.11 del mondo e tutti vorrebbero che ce la facesse a entrare nei primi 10, e io non vorrei davvero che gli toccasse lo scherzo del destino patito da Silvia Farina che è stata n.11 e mille volte a un passo da entrare fra le prime 10 senza poi riuscirci. A Berrettini si chiede di dimostrarsi all’altezza dei due tornei vinti …ma già Ruud è un brutto pesce, per non parlare poi di Federer. A Cecchinato si chiedeva di far bene quasi come un anno fa…A Sinner si chiede di fare miracoli al di là della sua giovane età. Idem magari a Musetti. Insomma, anche se io ho pazienza da 40 anni è anche vero che il lungo, lunghissimo digiuno ha fatto crescere una grande fame in tutti noi. Ci sono tanti ragazzi italiani fra i primi 200 del mondo, una ventina. Ma ancora, sebbene questo sembrasse l’anno buono, forse non lo è ancora. Consentitemi di augurarmi di viverlo, prima o poi, anche se gli anni passano…e Binaghi, Baccini, Valesio sono sempre là!