In una giornata in cui l’unica testa di serie a saltare è stata Anette Kontaveit, estone n.17 del seeding e del ranking WTA battuta dalla ceca Karolina Muchova n.73, non si può dire che sia successo qualcosa di davvero straordinario.
Ciò anche se Zverev ha mostrato ancora una volta la curiosa idiosincrasia per i tornei dello Slam soffrendo fino al 6-4 al quinto per finalmente superare l’australiano Millman (che più in là della finale di Budapest con Cecchinato un anno fa non era mai andato). E anche se Naomi Osaka ha fatto vedere ancora una volta due cose: la prima è che la terra rossa non è davvero la sua miglior superficie perché prende troppi rischi e infatti è stata a due punti dal perdere il match con la slovacca Anna Karolina Schmiedlova, n.90 WTA, prima di cavarsela con il solito coraggio e finire dominando nel terzo set, sulla falsariga di quanto aveva fatto il giorno prima Serena Williams e senza bisogno di un ruggito degno del leone della Metro Goldwin Mayer.
Pensavo che Jarry potesse tenere ancor più testa a del Potro, ma non è riuscito che a strappargli un set, mentre tre francesi (dei 14 francesi in tabellone) hanno colto vittorie abbastanza prevedibili: Monfils con il giapponese Daniel e Pouille con Bolelli – sono i due francesi meglio classificati – Mannarino contro un altro dei nostri, Travaglia, che era stato avanti 7-6 3-1 e ha pagato caro l’essersi fatto sfuggire il secondo set anche se ha lottato fino al quinto (recuperando da 0-2 a 2 pari invano). Francia batte Italia 2-0, dunque.
Una delle storie più curiose del giorno, insomma, è quella che ha visto Fognini diventare virtualmente n.10 del mondo per un’oretta e mezzo, “Un sogno ma non un chiodo fisso” avrebbe spiegato Fabio – finché Khachanov… lo ha svegliato. Già, la vittoria di Kachanov ha consentito al russo di ri-sorpassare Fabio per 15 punti. Fabio dovrà fare un turno più di lui se vorrà scavalcarlo davvero e dovrà far match pari con del Potro che, per essere stato semifinalista l’anno scorso, ha cambiali più pesanti del ligure.
Prima dell’avvento di Internet e dell’on line, i ranking virtuali non esistevano. Non ci sarebbe stato verso di essere n.10 del mondo per un’ora e mezzo e nemmeno per un giorno soltanto, visto che il computer aggiorna settimanalmente le classifiche (o quindicinalmente quando è in corso uno Slam). Ma è stata una vicenda curiosa, cui abbiamo dato spazio in tempo reale, e che semmai – oltre a costituire un mezzo incubo per Fabio (checché ne dica… se ne è parlato talmente tanto che non poteva non pensarci e far finta di niente, soprattutto dopo che il trionfo di Montecarlo lo ha issato all’undicesimo posto quindici giorni fa) – fa riflettere soprattutto sui 40 anni di buco tecnico di vertice che ci sono stati in Italia dal 1979 a oggi, cioè da quando Corrado Barazzutti è stato l’ultimo top-ten italiano.
Se penso infatti che una piccola nazione di 8 milioni di abitanti come la Svezia ha avuto qualcosa come 17 top-ten nell’era Open e l’Italia che ha 60 milioni di abitanti soltanto due, Panatta e Barazzutti, mi sembra quasi incredibile. Vero che la Svezia da un bel po’ non ne ha più tirati fuori neppure lei, e allora si parla di cicli positivi e negativi e si giustificano i secondi grazie ai primi, però un ciclo negativo di 40 anni è tanta roba. Ed è per questo che si finisce per enfatizzare anche più del necessario l’ipotesi che finalmente Fabio riesca a rompere questo muro. “Se avessi avuto un’altra testa, sarei stato un top-ten da 10 anni” aveva detto (in mia assenza) Fabio a Montecarlo dopo la prima conquista di un Masters 1000 dai tempi di Panatta (Adriano vinse Roma nel ’76, non si chiamavano già 1000, ma insomma il torneo faceva parte di quel tipo di categoria).
Avrei potuto citare altri Paesi che hanno avuto molti top-ten, non solo USA e l’Australia, storici dominatori dell’era ante-Open, ma la Francia, la Spagna… Ho fatto l’esempio della Svezia – che ad un certo momento, a metà degli anni Ottanta, ebbe addirittura 4 giocatori compresi contemporaneamente fra i top 10, Wilander, Sundstrom, Jarryd e Nystrom cui si aggiunse il più giovane Edberg e poco dopo anche Kent Carlsson – per due motivi.
Il primo: è una Nazione piccolissima, dove d’inverno si fatica anche a giocare perché mancano i campi, con un ottavo della popolazione italiana. Il secondo perché… oggi Matteo Berrettini giocherà contro un promettente tennista di 20 anni, Casper Ruud (recente finalista al torneo di Houston) che è… norvegese. Beh nel caso della Norvegia, Paese scandinavo confinante con la Svezia di cui sopra, non solo non si è mai intravista neppure l’ombra di un top-ten, ma i top 100 (sì, cento) sono stati in tutta la storia di quel civilissimo Paese solo due. Appena due. E sono stati padre e figlio. Christian Ruud e Casper Ruud. Non è incredibile?
Io ricordo a malapena un discreto giocatore, Erik Melander che giocava in Davis, ma non sfiorò mai i top 100, e poi Erik Ulleberg che giocò anche il doppio con il sottoscritto quando eravamo compagni di squadra all’Oral Roberts University di Tulsa Oklahoma nel 1973 – aveva un eccellente rovescio – ed era il n.2 della squadra per i sei singolari. Ma altri norvegesi competitivi non li ho mai più visti prima di Ruud senior che nel ’95 salì fino a n.39 del mondo. Curiosamente giocava bene sui campi in terra battuta, sui quali non era davvero nato. Arrivò in finale a Bastad, giocò bene anche in Messico, in Italia dove amava venire spesso. Era un gran regolarista, un difensore irriducibile, correva, correva e correva.
Ma, sapendo che Ruud junior sarebbe stato l’avversario odierno di Matteo Berrettini sono andato a cercarlo dopo che lui aveva finito di giocare il doppio. Così ho parlato a lungo ieri con Casper Ruud, gentilissimo e disponibilissimo. A 20 anni è considerato uno fra i giovani più promettenti del mondo, anche se il mio vecchio amico sudafricano Frew McMillan, uno dei più grandi doppisti della storia – con l’irascibile e discusso Bob Hewitt vinse un paio di Wimbledon e uno dei quali senza che i due perdessero mai il servizio – mi è sembrato dubbioso sulle sue prospettive. “Mi piace molto più il vostro Berrettini!”
Casper è oggi al suo best ranking, n.63. Gli piacerebbe qualificarsi per il Next Gen di Milano: “In questo momento sono il n.5, so che i posti sono solo 7, spero di farcela a mantenermi nell’elite”.
E magari speri pure di superare il best ranking di tuo padre, n.39, no?
Sorride: “Io ho 20 anni, lui diventò n.39 a 23 anni e mezzo, ho ancora più di tre anni per superarlo no? – sorride – Lui è anche il mio allenatore, da sempre, da quando avevo due anni e cominciavo a camminare nel campetto di tennis…di mini-tennis dovrei dire, che avevamo dietro casa a Oslo. Mi ha messo la racchetta in mano e via così… anche se ho fatto anche golf, sci, calcio e anche altro”.
Cosa ti ha insegnato soprattutto papà? E tecnicamente vi assomigliate in qualcosa?
“Per prima cosa a impegnarmi sempre con grande serietà. A fare vita da atleta. Non sono tipo da discoteca, da uscite nei club… ok, ho anche una ragazza e questo aiuta a non andare alla ricerca di eventi mondani. Per il tipo di tennis, beh, lui era più forte di rovescio, io sicuramente di dritto. Lui giocava più in difesa, io tendo a essere molto più aggressivo”.
Non deve essere facile avere un buon rapporto con un padre che è anche l’allenatore, anche se gli esempi si sprecano… ma che fate, parlate sempre di tennis dalla mattina alla sera?
“Per la prima parte della domanda è vero, ma noi abbiamo un ottimo rapporto, stiamo bene insieme. Magari non è sempre stato così, perché fra i 15 e i 18 anni un ragazzo ha più bisogno di aria… e così sono andato in Spagna, ad Alicante, e il mio primo allenatore era diventato uno spagnolo, Pedro Rico, anche se papà non mi ha mai abbandonato”.
Quale è il ricordo del momento più bello della tua carriera fino a oggi?
“Beh forse l’Australian Open del 2018, quando riuscii a entrare per la prima volta in un tabellone di Slam e battei Quentin Halys 11-9 al quinto! Poi, naturalmente la mia prima finale ATP a Houston recentemente, dove ho battuto diversi buoni giocatori, Dellien, Opelka, Granollers, Galan (prima di perdere la finale da Garin 63 al terzo) e insomma anche a Roma sono uscito dalle quali (Musetti, Kecmanovic) e poi in tabellone ho battuto Evans e… Kyrgios, sì quando ha gettato la sedia in campo e al terzo set si è ritirato. In termini di classifica il più forte che posso dire di aver battuto è lui…” e alza un po’ le spalle come per dire… mica è colpa mia se è matto!
A Madrid di matti ne aveva incontrato un altro, Benoit Paire. E ha battuto pure quello. Addirittura 61 61. Chissà cosa avrà mai preso a Paire. A Madrid Ruud ha perso al terzo da Ramos-Vinolas. Qui a Parigi ecco al primo turno un altro tennista che non sai mai come potrà giocare, Ernests Gulbis. Gli ha dato tre set a zero, nel terzo 6-0.
E su Berrettini che mi dici?
“Che è forte, che sta avendo una grande annata, batte bene, ha un bel dritto, di sicuro sarà un match difficile per me, lo gioco da sfavorito e ho poco da perdere”.
Commenti banali questi ultimi e mi nasconde qualcosa. Lo scopriamo grazie a una collega norvegese che ci racconta un dettaglio che la dice lunga su come i due Ruud preparino seriamente le loro partite: lavora per loro un analista svedese Oivind Sorvald che ha messo in video tutto ciò che fa Berrettini. E ieri lo hanno studiato in lungo e largo, punto per punto. Vatti a fidare dei norvegesi che non se la tirano!
Intanto chiudo con una nota… poco azzurra: di 11 tennisti, 9 uomini e 2 donne, in tabellone, al secondo turno abbiamo soltanto tre superstiti, Berrettini, Fognini e Caruso. Tutti gli altri a casa. Beh, poteva andare meglio, Cecchinato e Travaglia hanno perso in 5 set e potevano anche vincere, ma sulla carta Berrettini con Ruud e Fognini con Delbonis devono essere considerati favoriti. Quanto a Caruso con Simon no, il favorito è il francese, però una vittoria ora che il ragazzo siciliano è in fiducia e ha assaporato la gioia per il primo successo in uno Slam, non è una missione impossibile.