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da Parigi, il nostro inviato
Che delusione il match di Matteo Berrettini. Grande delusione per me che in lui credo tantissimo, come ho avuto più volte modo di scrivere. Ma purtroppo, e non voglio infierire perché non avrebbe senso, stavolta Berrettini è stato davvero “petit chapeau”, incapace di reagire alla maggiore aggressività del suo avversario, più giovane di tre anni e decisamente più determinato, più reattivo fin dalle risposte con le quali ha saputo spingere Berrettini fino in fondo ai teloni del campo. Il norvegese giocava con i piedi sulla riga di fondo, spingeva fortissimo con un eccellente dritto, Matteo remava e sbagliava molto di più contro un avversario regolarissimo. 38 errori gratuiti contro 20, 15 palle break concesse – contro le appena cinque procuratesi (e la cronaca di Laura Guidobaldi è puntualissima al riguardo) – e non si è avuto mai davvero la sensazione che Matteo potesse riuscire a far girare il trend della partita, anche se c’è stato comunque equilibrio fino alle fasi decisive di ogni set. I modi in cui Matteo ha subito i break erano evitabilissimi, errori proprio banali, palle corte che non erano corte, smash non impossibili a rete, dritti per lui solitamente banali in rete o fuori. Tanti, troppi.
È vero peraltro che certe volte basta pochissimo, anche un net, un momento fortunato e tutto può cambiare. Sul 3 pari nel secondo set, ad esempio, Ruud ha salvato una delle rare palle break con un ace di seconda. Di ace ne ha fatti soltanto 4, quindi insomma è stato abbastanza casuale e, appunto, fortunato. Ma nel complesso il norvegese figlio d’arte ha meritato ampiamente la vittoria, ottenuta del resto in tre set. Insomma questo 2019 che era stato così promettente grazie ai risultati di Fognini, Cecchinato e dello stesso Berrettini, per ora qui al Roland Garros, dove un anno fa Cecchinato centrò una stupefacente semifinale, le cose stanno andando a rovescio. Di undici italiani all’avvio del torneo ne sono già usciti nove prima della conclusione del secondo turno per il quale saranno impegnati Fognini con il mancino argentino Delbonis, n.75 ATP – bilancio dei confronti diretti 4-2 per il ligure – e il qualificato siciliano Caruso n.147 con l’esperto francese Simon, n.33. Due match per nulla scontati, anche se Fognini deve essere considerato leggermente favorito contro un avversario in forma dopo la semifinale raggiunta a Ginevra, e invece Caruso gioca contro pronostico.
I lettori mi scuseranno se non ripeto qui quel che hanno già scritto molto meglio e più puntualmente di me a proposito di tanti match chi li ha seguiti da vicino, e cioè gli inviati Vanni Gibertini, Ilvio Vidovich, Agostino Nigro e Laura Guidobaldi. Sapete di Dimitrov che ha battuto Cilic nel match dei delusi di questo primo pentamestre del 2019 (erano teste di serie n.4 e n.3 qui un anno fa!), l’infinita maratona vinta da Paire 11-9 al quinto su Herbert, l’inatteso nuovo exploit di Mahut su Kohlschreiber, la resistenza di Tsonga con Nishikori, la convincente vittoria di Wawrinka su Garin (ma ora con Dimitrov si vedrà di che pasta è fatto), il ritiro di Bertens che lascia via libera alla sola Karolina Pliskova per tentare di scavalcare Naomi Osaka. Del torneo femminile ha fatto un ampio resumé Vanni Gibertini.
E cosa altro è successo? Beh, quando sono in campo, ovviamente sul Philippe Chatrier, Rafa Nadal e Roger Federer come nella quarta giornata del Roland Garros, chiunque sia l’avversario e quantunque possa essere a senso unico il match, lo spettatore se ne va via felice e soddisfatto. Lo spettacolo di assistere alle esibizioni delle star vale il prezzo (caro) del biglietto. Ma cosa succederà quando le star di oggi, anzi degli ultimi tre lustri, non ci saranno più? La domanda sorge sempre più spesso, perché i Fab Four e anche le sorelle Williams sono inevitabilmente sempre più vicini al canto del cigno. E la preoccupazione perché i loro successori non siano alla loro altezza monta. Presso il pubblico, i media, gli sponsor.
Infatti quando sul centrale di uno Slam il programma presenta i loro più immediati rincalzi, come questo mercoledì, Sorribes Tormo contro Stephens (che pure è stato finalista qui un anno fa) Nishikori con Tsonga (che pure è stato a lungo l’idolo n.1 dei francesi e l’unico capace di issarsi a una finale di uno Slam dei transalpini in attività), Kuzmova contro Bertens, con l’olandese n.4 e sola assieme alla Pliskova che potrebbe essere n.1 del mondo a fine Garros, – o come martedì sempre sullo Chatrier (Millman-Zverev, Osaka-Shmiedlova. Halep-Tomljanovic e Daniel-Monfils), tutti arricciano il naso. Diciamo la verità: non è la stessa cosa.
Si dirà che anche quando finì l’era dei Sampras, Agassi, Courier e Chang si poteva credere che non ci sarebbero stati cambi all’altezza e invece sono spuntati i Federer e i Nadal. Idem quando finì prima ancora l’era dei Becker e degli Edberg. E prima dei Borg, McEnroe, Lendl e Connors. Però qui si sta parlando dei Fab Four che hanno vinto 55 dei 205 Slam dell’era Open e delle Williams che ne hanno vinti 30. Fanno 85! E non hanno ancora finito di vincere tant’è che i primi tre del mondo sono ancora Djokovic, Nadal e Federer, mentre Serena almeno a dispetto dell’età, della maternità e del sovrappeso, continua a essere considerata la tennista da battere quando un torneo conta davvero (e magari non si gioca sulla terra rossa parigina, dove pure ha vinto tre volte). Insomma sono stati fenomeni più straordinari di tutti quelli che già consideravamo straordinari.
Tutti i probabili successori messi insieme non arrivano a vantare un numero di Slam tale da riempire due mani. Da diversi anni, proprio da quando è finita l’era dei Sampras e Agassi, i migliori tennisti sono tutti europei. I dominatori del tempo che fu, australiani e americani, sembrano una razza in via di estinzione. I due aussies che parevano di maggior talento, Kyrgios e Tomic, hanno una testa che non è una testa, gli americani si sono salvati negli ultimi anni con gli over 30 extralarge Isner e Querrey, con un’annata ruggente di Sock, ma non hanno un vero cavallo su cui puntare: qui a Parigi gli è rimasto un solo giocatore, non straordinario, Taylor Fritz che non sarà favorito contro Bautista Agut. È l’anno peggiore per il tennis made in USA dal 2007, quando al secondo turno non arrivò proprio nessuno con la bandiera a stelle e strisce. Così ha provato a consolarsi il New York Times che ha preso per buono un abbaglio della WTA che nelle sue notes aveva sostenuto che per la prima volta nell’era Open non c’era nemmeno una tennista italiana al secondo turno. In realtà era già accaduto nel 1982, quando avevamo soltanto due ragazze in tabellone, Barbara Rossi e Sabina Simmonds che persero entrambe al primo round, come Gatto-Monticone e Paolini quest’anno. L’ho scoperto consultando un prezioso libretto statistico di Rino Tommasi (ahinoi fermatosi al 2007), segnalando poi la cosa a WTA e a Chris Clarey, il collega del New York Times.
Il campo intitolato a Simonne Mathieu è bellissimo, immerso nel giardino botanico di Port d’Auteuil, incastonato nelle verdi serre, ma è anche lontanissimo. Minimo 800 metri. Fognini mercoledì dopo il derby vinto con Seppi ha detto: “Arrivare fin là è come fare due riscaldamenti!”. Quando alla sera si legge il programma dell’indomani, in sala stampa la prima cosa che si fa è andare a vedere quale match è stato programmato là, sperando che non ci sia nulla di interessante! Nel programma di giovedì, in effetti, non ci si attende fuochi d’artificio: giocheranno Zverev, del Potro e Keys, ma contro avversari di scarso richiamo (QUI il programma completo).
Anche nel secondo match della sua rentree parigina, dopo un’assenza che pesava a tutti dal 2015, Roger Federer ha giocato da Roger Federer. L’avevano messo in campo domenica e, per ricambiare il favore, gli hanno dato un paio di giorni di riposo. Però il tedesco dal cognome che pare un refuso, Oscar Otte, 25 anni e n.144 di Colonia e lucky loser non si è lasciato domare senza combattere (64 63 63), ma sono sempre stati tre set più rapidi – 33 minuti in meno, a dispetto dei game ceduti (7 Nadal, 11 Federer) – di quelli necessari a Nadal per battere l’altro tedesco, il qualificato Yannick Maden 30 anni e n.114 di Stoccarda (e di cui avrete letto una flash).