Al terzo turno, Roger Federer ci arriva con il percorso netto di sei set vinti e zero persi. Un’eventualità dall’alta probabilità statistica (i bookmaker non invogliavano certo a investire sui suoi 3-0 contro Sonego e Otte, QUI la cronaca dettagliata), ma che lo svizzero non vuole sminuire nella stagione del suo ritorno su terra. “Avevo messo in conto anche lo scenario peggiore – racconta -, quello di poter scivolare in un primo turno a partire da Madrid. Invece mi trovo ad aver vinto un numero soddisfacente di partite anche a Roma e ad aver iniziato bene qui. Sono molto contento, spero di poter continuare in questo modo, anche se il prossimo impegno sarà più complicato“.
Purtroppo per gli appassionati italiani è saltato l’incrocio con Matteo Berrettini, ma la gran parte dei meriti è da attribuire al figlio d’arte Casper Ruud. “Conosco più suo padre di lui – sorride Federer -, pur non avendoci mai giocato contro. So però che è migliorato molto e si esprime bene su questa superficie. Ha detto che è un sogno giocare questa partita e lo capisco, penso a quando io mi ritrovai a 20 anni a sfidare Sampras a Wimbledon. A quell’età, più che l’avversario, conta trovarsi a giocare partite di un tale valore su un campo centrale come può essere lo Chatrier o il Lenglen. Dopo aver battuto Berrettini merita di essere arrivato a questo punto, va preso molto sul serio“.
Si parla anche di allenatori, nel giorno in cui Lucie Safarova ha chiuso la carriera raccontando che le decisioni più difficili le ha dovute prendere proprio riguardo al suo angolo. “Capisco cosa abbia voluto dire, il momento in cui ci si trova a dover scegliere in autonomia la propria guida tecnica è determinante, può influenzare anche la personalità se ci si trova sul finire dell’adolescenza. Andando avanti, credo sia difficile rimanere sempre con lo stesso allenatore, anche se ammiro quelli che lo fanno. Nel mio caso, sento di aver sempre permesso agli allenatori di esprimersi e di essere critici. Non è scontato quando sei a così alti livelli ed è tutto già organizzato e pianificato. Ma credo sia la predisposizione giusta da avere quando si sceglie un coach: vuoi che quella persona sia critica nei tuoi confronti e ti faccia uscire dalla zona di comfort“.
La serenità che Federer trasmette a chi gli sta intorno nella spedizione parigina desta ammirazione e curiosità. Ma un anno fa, di questi tempi, come viveva da casa le due settimane del Roland Garros? “Non ho visto tante partite perché avevo altro da fare, con quattro bambini che giocano per casa non è facile fermarsi due ore davanti alla tv. L’anno scorso ho seguito tre giochi del quarto di finale tra Cecchinato e Djokovic. Degli ultimi tre anni di questo torneo ricordo solo che c’era Nadal“. Ampi sorrisi, anche tra chi non gli crede.