dal nostro inviato a Parigi
TABELLONE FEMMINILE
RIMPIANTI SLOVENI – La Serbia in campo femminile sta vivendo le stesse difficoltà dell’Italia: con l’addio delle grandi campionesse – in questo caso le ex n.1 del mondo Ana Ivanovic e Jelena Jankovic – che non hanno trovato al momento delle degne sostitute. Aleksandra Krunic fa quello che può: qui a Parigi ha sfruttato al primo turno il ritiro dopo poco più di un set di Daria Gavrilova e poi ha lottato con la grinta che le è consueta con Lesla Tsurenko, cedendo solo 11-9 al terzo. Ma alla 26enne originaria di Mosca forse non si può chiedere di più di quello che sta facendo ed ottenendo: un buon posto fisso tra le prime 70-80 giocatrici del mondo. Lottava anche la giovane Ivana Jorovic che costringeva al terzo la statunitense Jennifer Brady.
La vendicava la slovena Polona Hercog, che la superava 6-4 al terzo, dopo che all’esordio aveva eliminato la tds n. 32 Sasnovich, anche qui al set decisivo, chiuso addirittura 8-6. Vien da dire che chi di terzo set ferisce di terzo set perisce, dato che al turno successivo era la 28enne di Maribor a capitolare per 6-4 nel terzo contro Sloane Stephens. Con pochi rimpianti però, considerato che il match l’aveva riacciuffato per i capelli annullando 4 match point nel secondo e senza avere poi reali chances di portare a casa la vittoria. Rimpianti invece per l’altra slovena, Dalila Jakupovic, che cedeva a sorpresa al terzo ad una giocatrice in difficoltà come la n. 238 del mondo Kurumi Nara (sebbene ex n. 32 e qui proveniente dalle qualificazioni) e perdeva l’occasione di sfidare Serena Williams su un palco così prestigioso.
E rimpianti anche per la grande promessa del tennis sloveno, la 18enne Kaja Juvan, che da lucky loser quasi faceva il colpaccio contro l’esperta Sorana Cirstea, che però la spuntava in rimonta 7-5 al terzo dopo che la teenager lubianese aveva servito per il match sul 5-4. Kaja ha ancora tempo, ovviamente, però vincere queste partite aiuta magari a crescere un po’ più velocemente.
CROAZIA SUGLI SCUDI – Protagonista assoluta è stata la Croazia, con Vekic e Martic che stavolta hanno oscurato le gesta di Cilic e soci. Donna ha fatto il suo dovere da n. 23 del seeding ed è arrivata agli ottavi perdendo solo un set, forse più per distrazione che per altro, contro la svedese Peterson. E la netta vittoria contro la coetanea Belinda Bencic aveva fatto sperare in patria che finalmente fosse giunto il momento del tanto atteso salto di qualità, che un quarto di finale Slam avrebbe certificato. Invece Johanna Konta ha ridimensionato le ambizioni della 22enne di Osijek: verrebbe da dire per l’ennesima volta, ma il modo in cui la britannica si è poi sbarazzata della finalista dello scorso anno, Sloane Stephens, consente invece di concedere a Donna tutte le attenuanti del caso.
Tutto sommato, parliamo di una giocatrice che da quest’anno è entrata stabilmente nelle top 25, ha raggiunto gli ottavi in due degli ultimi quattro Slam ed ha appena ventidue anni e mezzo: forse nelle valutazioni nei suoi confronti, Vekic sconta ancora le (troppe) aspettative create dalla sua vittoria al torneo di Tashkent nel 2012, appena sedicenne. Chi invece una sua nuova dimensione l’ha finalmente trovata, dopo i tanti guai fisici, è Petra Martic. La 28enne spalatina è filata via come un treno nei primi tre turni – compreso il doppio 6-3 alla n. 2 del mondo Pliskova – e si è incartata un po’ (anzi parecchio, come avrebbe detto il compianto Enzo Jannacci) solo negli ottavi contro l’esperta Kaia Kanepi, quando si è resa conto che il sogno dei primi quarti di finale Slam era veramente ad un passo.
Ma di grinta e di cuore (ma anche grazie al bel braccio che si ritrova) si è regalata quel sogno. Putroppo l’enfant prodige Vondrusova ha fatto svanire il (doppio) sogno successivo: la prima semifinale Slam e la top 20. Con qualche rimpianto per quel primo set sfuggito via nel tie-break dopo aver avuto tre set point consecutivi nel dodicesimo gioco. Ma la Petra vista qui a Parigi, se la schiena le darà tregua, a quella top 20 può puntarci, come ci aveva detto lei stessa dopo la vittoria negli ottavi: “Credo che la top 20 sia un obiettivo reale di questa stagione. Ma quello che ci aspetta da domani lo scopriremo.“
TABELLONE MASCHILE
GLI SCONTENTI – C’era poco da chiedere a Slovenia e Bosnia e poco infatti è arrivato. La nazione subalpina schierava Aljaz Bedene ed il qualificato Blaz Rola. Il primo strappava un set a Borna Coric ma di più il suo tennis – bello da vedere ma troppo leggero per impensierire seriamente un top 20 – non gli permetteva, il secondo perdeva nettamente la sfida tra qualificati contro lo svedese Ymer. Magari un po’ di più si poteva chiedere al bosniaco Damir Dzumur, uscito anche lui all’esordio contro la wild card francese Antoine Hoang, n. 146 ATP. Ma a parte i quarti di finale di Ginevra due settimane fa, la stagione del 27enne di Sarajevo è stata finora molto negativa e l’eliminazione parigina ne è purtroppo uno specchio fedele.
Eppure solo lo scorso anno di questi tempi Damir perdeva al quinto contro Zverev e stava per entrare nei top 25: sembra passato un secolo. Se Slovenia e Bosnia piangono, non ride molto neanche la Croazia. Che festeggia la vittoria di Ivo Karlovic su Feliciano Lopez nel match più “vecchio” del Roland Garros dal 1977, prima che il 40enne Ivo esca la secondo turno per mano dell’australiano Thompson, ma che avrebbe voluto festeggiare in modo diverso il sorpasso di Borna Coric ai danni di Marin Cilic come nuovo n. 1 croato. Perché l’avvicendamento è più demerito di Marin, che si è fatto rimontare un vantaggio di due set a uno da un redivivo Dimitrov al secondo turno, che merito di Borna, come ammesso onestamente da quest’ultimo in conferenza stampa: “Avrei preferito diventare il n. 1 croato perché avevo vinto uno Slam o ero arrivato in top 10”.
Parole che rilette due giorni dopo sono sembrate profetiche, quasi il 22enne zagabrese se la sentisse che la delusione sarebbe arrivata anche per lui, dato che al turno successivo cedeva 11-9 al quinto a Jan-Lenard Struff. In una partita in cui le occasioni per qualificarsi per la prima volta agli ottavi dello Slam parigino e fare un altro importante passettino verso la citata top ten Borna le avute.
(QUASI) GRANDE SERBIA – La parte del leone l’ha fatta sicuramente la Serbia, che già partiva con ben sei rappresentanti, come tutti gli altri paesi dell’ex Jugoslavia messi insieme. E Nole e soci si prendevano subito la scena, con Janko Tipsarevic che nel tentare l’ennesimo comeback rimontava orgogliosamente due set all’ottimo Dimitrov visto a Parigi, prima di arrendersi al quinto. Il 19enne Miomir Kecmanovic era bravo a passare un turno battendo al quinto lo statunitense Kudla, prima di cedere abbastanza nettamente in tre set a David Goffin, in un match in cui è apparso ancora un po’ immaturo dal punto di vista tattico per impensierire seriamente un giocatore di livello come il belga. Però il potenziale per crescere c’è. Ma i riflettori si accendevano soprattutto sugli altri membri della pattuglia serba: Krajinovic, Djere e Lajovic.
Il primo prendeva forse un po’ troppo alla lettera il fatto che a Porte d’Auteuil si giochi al meglio dei cinque set, tanto da vincere al quinto sia contro il n. 32 del seeding Tiafoe, che però quest’anno non ha entusiasmato sulla terra rossa, sia contro lo spagnolo Carballes Baena. E quando, a quel punto, sembrava dovesse essere la vittima predestinata di Stefanos Tsitsipas, Filip si ricordava di essere soprannominato “l’Agassi di Sombor” e soprattutto ricordava a tutti che se solo il fisico gli desse tregua sarebbe un gran bel giocatore. Il n. 60 del mondo costringeva infatti il giovane greco a scendere in campo per due giorni di fila, per un totale di più di tre ore e mezzo, prima di avere la meglio sul 27enne serbo. E solo per un soffio al tie-break del quarto, con Krajinovic che può recriminare per le occasioni non sfruttate (in primis il set point nel jeu décisif) per allungare la partita.
Non erano da meno le due teste di serie “minori” serbe, la n. 30 Dusan Lajovic e la n. 31 Laslo Djere, che – sempre al terzo turno – costringevano entrambi al quinto due top ten come Nishikori e Zverev. Djere la perdeva al fotofinish 8-6 del quinto e forse sta ancora pensando a quel 3-0 “pesante” che non ha saputo sfruttare nel parziale decisivo, mentre invece Lajovic cedeva di schianto dopo essersi trovato in vantaggio per due set a uno (curiosamente nello stesso modo dello scorso anno: anche dodici mesi fa il 28enne belgradese vinse 6-4 il terzo e poi perse nettamente gli ultimi due parziali 6-1 6-2) e rimpiangendo così quel break di vantaggio sprecato nel primo set che alla resa dei conti – come ha ammesso nel post match – gli è costato caro. Per entrambi comunque la conferma che nella loro nuova dimensione, attorno alla trentesima posizione mondiale, ci stanno bene e con merito.
Restava quindi – al solito – Novak Djokovic a difendere i colori serbi. Nole ha letteralmente passeggiato fino ai quarti di finale, perdendo appena 31 giochi nei dodici set giocati (vinti). Mentre scriviamo, il fuoriclasse belgradese si sta preparando per affrontare per la quinta volta in carriera Sascha Zverev, la prima in uno Slam. Dovrebbe trattarsi del primo ostacolo un po’ più impegnativo nella corsa di Djoker al secondo “Slam poker” della carriera. Usiamo il condizionale, perché il Djokovic visto finora ha impressionato, pur senza dover mai alzare i giri del motore (“La sua continuità è incredibile. Non cala mai” ha osservato Salvatore Caruso, che lo ha incontrato nel terzo turno), ma soprattutto perché in questi giorni la sua espressione, le sue parole, il suo sguardo, i suoi gesti, tutto testimoniava che Nole è qui con tutto se stesso per un solo obiettivo: alzare la Coppa dei Moschettieri domenica prossima sullo Chatrier.
“È tornato ad essere un muro” aveva detto John McEnroe, nell’evento organizzato da Eurosport la scorsa settimana a Parigi. Difficile dargli torto. E i muri, allo Chatrier, hanno finito di buttarli giù lo scorso anno…