da Parigi, il nostro inviato
Con buona pace per Fabio Fognini, cui rifacciamo i nostri migliori complimenti, ne deve mangiare di pasta e fagioli il ligure per stare alla pari con un altro connazionale del tennis. Perché Giulia Capocci, 27enne toscana, ma oramai stabilitasi a Bagnasco, della top 10 non sa che farsene essendo oramai classificata tra le prime cinque del mondo del tennis in carrozzina (numero 5 delle classifiche attuali).
Giulia aspetta a lungo l’intervista concordata col suo coach (scusa ancora Giulia..), sugli spalti del campo 7 (“non vedo l’ora di andare in hotel…”) dove parliamo con la tennista appena sconfitta nel suo primo Roland Garros (6-4, 6-2 il punteggio) dalla giapponese Yui Kamiji, n. 2 mondiale. Oggi (sabato), giocherà invece la semifinale del torneo di doppio, e questa volta Kamiji sarà al suo fianco. Le avversarie saranno le prime favorite del seeding, le olandesi De Groot e Van Koot.
Mettiamo in chiaro una cosa. Per chi volesse conoscere la storia di Giulia, il perché non gioca contro Anisimova e Konta, Google è a sua completa disposizione. Noi non ne parleremo, né glielo abbiamo chiesto. Né Giulia (ce lo fa capire) ne avrebbe voluto parlare. Abbiamo parlato con la tennista e con le sue ambizioni, con i suoi errori e con i suoi progressi. Le abbiamo chiesto opinioni ed abbiamo conosciuto un po’ meglio una disciplina non famosa. Siamo al Roland Garros, folks. Si parla di tennis.
Abbiamo parlato del match, visto sul campo n. 9, ma Giulia fa capire subito una seconda cosa. Che il tennis non esiste. O almeno che ne esistono due: uno che si chiama tennis in piedi e uno che si chiama tennis in carrozzina. E Giulia è allenatissima non solo a spingere la sua carrozzina Lab 3.11 lungo i campi in terra e cemento del mondo, ma anche a togliere di impaccio le persone.
Nel quarto d’ora rubatole mentre vorrebbe tornare in hotel, Giulia a sua volta ruba l’imbarazzo dalle parole di chi la intervista. E da buona madre socratica ci accompagna nel mondo del tennis in carrozzina, nella sua terminologia e nel match contro Kamiji. “Una partita che è girata su pochi punti, in cui ho avuto molte occasioni di vincere i game, ma lei è sempre riuscita ad alzare il livello del suo gioco. Sono stata anche un po’ troppo ansiosa. L’avevo affrontata al torneo di Amiéns la settimana scorsa, è stata più combattuta, e mi aveva anche battuto in Australia”.
Vedere Giulia giocare non è molto diverso dal vedere una qualsiasi tennista in piedi. Giulia è capace di servire a 140 km/h e nel match contro la giapponese la palla di Giulia viaggiava a velocità molto più sostenuta di quella della sua avversaria. La giapponese non è però a caso la numero due mondiale, ed è sembrata più a suo agio nella gestione delle peculiarità del tennis in carrozzina. Del resto Giulia prima di sedersi in carrozzina giocava già a tennis ed ha portato molto di quella passata esperienza in questa nuova.
Ride un po’ Giulia nel rispondere: “Diciamo che per il 60% gioco ancora come se giocassi tennis in piedi. In parte mi aiuta, ma in parte mi penalizza soprattutto dal punto di vista mentale. Da tre anni mi alleno a Bagnasco e da gennaio con Stefano Dolce, che ha seguito in passato atleti juniores di livello internazionale ma che è alla prima esperienza con un tennista in carrozzina”. Ritmi di allenamento? “Mi alleno tutte le mattine, l’orario è un po’ variabile per le esigenze di lavoro. Collaboro infatti con la Lab 3.11, la azienda che mi realizza la carrozzina che uso in competizione”.
E il tennis in carrozzina? Cosa cambia ad esempio tra la terra battuta e le altre superfici? “Non molto a dire il vero, specialmente quando giochi su questi campi perfetti che sembra di scivolare sul cemento! Certo, abbiamo dei settaggi differenti della mia carrozzina a seconda della superficie. Sulla terra c’è più attrito, si fa più fatica a spingere. A Wimbledon vedremo, non ho mai giocato sull’erba… cercheremo un campo per allenarci. L’obiettivo adesso è quello di giocare un po’ di meno ma meglio. Negli ultimi due anni ho giocato anche 22 tornei all’anno per una classifica che tiene conto solo dei migliori otto risultati”.
Nel tennis in carrozzina? Hai qualche punto di riferimento? “No, a dire il vero… ho conosciuto Esther Vergeer (la record woman olandese, imbattuta per 10 anni e 470 incontri e ritiratasi nel 2013 con la striscia di vittorie ancora aperta n.d.r.) ma non ho dei punti di riferimento”. E nel tennis in piedi? L’imbarazzo stavolta è di Giulia: “Beh… Roger! Tra le donne Serena, ma ultimamente ho conosciuto anche Thiem e non mi dispiace”.
Arriva Stefano Dolce e si commenta il sorteggio un po’ sfortunato che l’ha opposta per due volte al primo turno con Kamiji (i tabelloni sono ad otto giocatrici, con due sole teste di serie). Stefano la prende in giro: “Dai a Wimbledon ti capiterà direttamente la numero uno!”. La risposta di Giulia non la riportiamo su sua gentile richiesta… Un’ultima domanda è sulle sorprendenti semifinali femminili: “Io penso che sia un bene, perché dice alle ragazze che col duro lavoro si può arrivare avanti. È uno sprone a fare meglio il fatto che non ci siano i tre che dominano il tennis maschile. Tra gli uomini è più difficile arrivare lassù, ci sono troppi scalini”.
Scalini. Ha detto proprio così. E se lo dice lei, parola di Giulia.